Grande è il debito che ha la cultura italiana nei confronti di mons. Cosimo Damiano Fonseca, deceduto lo scorso 10 marzo a Massafra, dove era nato 93 anni fa. Fu ordinato sacerdote a soli 22 anni, grazie a una specifica dispensa papale che lo esonerava dal vincolo dell’età canonica fissata a 24 anni.
Laureato presso la facoltà teologica di Napoli, ottenne un dottorato in teologia e un secondo dottorato presso l’Università Cattolica di Milano dove ebbe come maestro Cinzio Violante, insigne storico del medioevo. Il quale, al termine della sua carriera accademica, nel corso di un lungo dialogo, volle consegnare proprio a Fonseca le sue memorie. Il testo di queste conversazioni fu pubblicato nel 2002 da Sellerio, col titolo “Le contraddizioni della storia”. Fu l’incontro con Violante a indirizzare Fonseca verso gli studi del medioevo e verso una feconda carriera universitaria.
Risalgono al 1961 le prime lezioni come docente di Storia Medievale presso la Cattolica di Milano. Nelle turbolente giornate dell’occupazione dell’ateneo da parte del movimento studentesco del Sessantotto, fu uno dei pochissimi docenti rimasti a presidiare Largo Gemelli, testimoniando con questo la volontà di difendere la continuità dell’istituzione universitaria in un momento in cui, da parte di molti, anche all’interno del mondo ecclesiastico, si riteneva esaurito il compito storico dell’Università Cattolica e addirittura il cardinale Siri, sebbene con motivazioni diverse, ne chiedeva esplicitamente la chiusura.
Tornato in Puglia, fu docente presso l’Università di Bari e poi presso la Facoltà di Lettere e filosofia di Lecce dove fu preside. In seguito al disastroso evento del terremoto dell’80 che devastò l’Irpinia e il potentino, si fece promotore dell’istituzione dell’Università della Basilicata di cui poi sarà rettore per dodici anni. Era animato in questo dall’idea che un’istituzione universitaria avrebbe potuto contribuire a risollevare materialmente e moralmente un territorio ridotto in macerie, un territorio che, già prima del sisma, era segnato da condizioni di grave arretratezza.
L’attività culturale di Fonseca non fu soltanto di carattere scientifico. Egli fu spinto soprattutto dal compito del cristiano di mettere a frutto i talenti che il Signore assegna a ciascuno. Con il suo lavoro culturale, il sacerdote ha cercato principalmente di dissodare e rendere fertile l’arido secolo presente.
Fu tra i primi a studiare e a valorizzare la civiltà rupestre che segna in particolare il territorio compreso tra Matera e la sua Massafra. Studi che fino a quel momento sfuggivano alla ricerca storica per la mancanza di strumenti appropriati di indagine. In occasione della presentazione di una mostra sulle Chiese rupestri di Matera, tenuta al Meeting di Rimini del ’93, affermò con forza: «Nell’organizzazione degli organismi di tutela dei beni culturali, per l’imperante presenza di determinate correnti culturali, a questo fenomeno o a fenomeni similari non veniva dato alcun rilievo di carattere storico, perché le sovraintendenze alle antichità concentravano la loro attenzione e la loro tutela solo alle manifestazioni storico-artistiche, archeologiche o pittoriche che terminavano col settimo e ottavo secolo. Le Sovrintendenze alle Belle Arti, invece, erano interessate solo dalla cosiddetta arte italiana, cioè con i secoli XIII e XIV sicché tra l’VIII e il XIII sec. c’era una sorta di terra di nessuno».
Legata a questo tipo di interesse scientifico è anche la Scuola di specializzazione in Beni archeologici di Matera istituita dall’Università della Basilicata, Scuola che fu diretta dallo stesso Fonseca, direzione che in epoca più recente è stata affidata a Massimo Osanna, passato poi a dirigere il Parco archeologico di Pompei, massimo sito archeologico italiano, e che oggi è Direttore generale dei Musei del Ministero della Cultura. È questo uno tra gli innumerevoli esempi che si potrebbero fare della fecondità culturale di Fonseca.
Come si diceva, enorme è il debito della cultura italiana nei confronti di Cosimo Damiano Fonseca, ma un particolare merito gli viene riconosciuto in quella “terra di nessuno” che fino a quel momento era stato considerato il meridione italiano. Con i suoi studi storici, Fonseca ha saputo restituire al territorio meridionale, a lungo ignorato, la dignità della memoria. E, insieme a questa, quella speranza che sempre germoglia insieme alla memoria.
Fonseca ebbe l’onore di accogliere presso l’ateneo lucano il papa san Giovanni Paolo II in occasione della visita apostolica in Basilicata nel 1991. Si era allora nel periodo pasquale e, nel discorso che rivolse in università, il papa polacco ricordò commosso i tragici giorni dell’80 in cui egli era accorso tra le rovine dei terremotati: «Quando sono arrivato qui, nel novembre del 1980, ho trovato quasi la morte, il mistero della Passione. Oggi troviamo i segni della Risurrezione».
Tre anni fa, su questo giornale, ricordammo mons. Fonseca al compimento dei novant’anni di età. In quella circostanza, egli concesse alla Gazzetta del Mezzogiorno un’intervista molto bella in cui dichiarò candidamente: «Mi sento ancora giovane».
Nel settembre scorso ha avuto la gioia di poter festeggiare i settant’anni di ordinazione sacerdotale, alla presenza del vescovo mons. Sabino Iannuzzi, nella sua comunità ecclesiale di Massafra. In quella occasione, don Cosimo – come lo chiamano i suoi – ha voluto consegnare ai presenti un’immaginetta-ricordo con quelle parole che al Signore rivolge il suo servo: «Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore» (Sal 116, 12-13).
Nella ricorrenza, al termine della celebrazione eucaristica, ai microfoni di Antenna Sud, disse: «voglio ancora mantenermi nella pienezza della mia vocazione». Questa “pienezza”, mantenuta fino alla fine dei suoi giorni, è stata forse il segreto della longeva giovinezza di Cosimo Damiano Fonseca.

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