I novant’anni di mons. Cosimo Damiano Fonseca, primo rettore dell’Università della Basilicata

Un sacerdote, tra i massimi punti di riferimento della cultura italiana, al quale anche la città di Matera deve molto

Ha compiuto novant’anni mons. Cosimo Damiano Fonseca, sacerdote, studioso di storia medievale e della civiltà rupestre, docente universitario a Milano, Bari e  Lecce, primo rettore dell’Università della Basilicata, accademico dei Lincei. È uno degli ultimi esponenti del clero erudito, per secoli principale punto di riferimento della formazione culturale dei giovani, oltre a essere tra i più diretti testimoni delle grandi trasformazioni del sistema universitario italiano fin dai tempi del Sessantotto e delle prime contestazioni studentesche.

La cultura italiana nel suo insieme gli deve molto, ma particolarmente la nostra regione Basilicata. Può essere considerato il fondatore dell’Ateneo lucano all’indomani del terremoto dell’80, con l’idea profetica di una cultura che avrebbe potuto rappresentare la leva per la ricostruzione materiale e per la rinascita spirituale della regione. Grande è stato poi l’impulso dato da Fonseca, come abbiamo accennato, agli studi della civiltà rupestre nel Mezzogiorno e nell’area mediterranea, studi che hanno instradato soprattutto la città di Matera verso un nuovo orizzonte culturale.

Ciò avrà la sua straordinaria affermazione nel riconoscimento della città dei Sassi come capitale europea della cultura nel 2019, ma Fonseca già trent’anni fa, presentando una mostra al Meeting di Rimini sulle Chiese rupestri di Matera, affermava con forza il particolare valore storico, architettonico e culturale della civiltà rupestre, allora ancora in gran parte incompreso.

«Quando trent’anni fa circa iniziammo a far conoscere all’opinione pubblica nazionale degli studiosi il fenomeno rupestre» disse Fonseca al Meeting di Rimini del ‘93, «lo spazio era estremamente limitato. Vi fu grande meraviglia quando, nel 1962, al passo della Meldola, in occasione della II Settimana internazionale di studi medievali organizzata dall’Università Cattolica e dedicata all’eremitismo in Occidente nei sec. XI e XII, per la prima volta ci fu una relazione sugli aspetti archeologici dell’eremitismo del Mezzogiorno e una prima proposta di una carta archeologica degli insediamenti rupestri. Questo essere entrati in maniera modesta e rispettosa, valse a coloro che credevano in maniera sicura che si trattava di una pagina molto importante della civiltà e della cultura dell’ecumene mediterraneo, una carta di credito di indubbia udienza».

Erano anni in cui, come ricordava mons. Fonseca, «nell’organizzazione degli organismi di tutela dei beni culturali, per l’imperante presenza di determinate correnti culturali, a questo fenomeno o a fenomeni similari non veniva dato alcun rilievo di carattere storico, perché le sovraintendenze alle antichità concentravano la loro attenzione e la loro tutela solo alle manifestazioni storico-artistiche, archeologiche o pittoriche che terminavano col settimo e ottavo secolo. Le Sovrintendenze alle Belle Arti, invece, erano interessate solo dalla cosiddetta arte italiana, cioè con i secoli XIII e XIV sicché tra l’VIII e il XIII sec. c’era una sorta di terra di nessuno».

In questo senso si potrebbe dire che gli studi di Cosimo Damiano Fonseca hanno avuto, tra gli altri meriti, quello di essere orientati, per la prima volta, ad affermare quella continuità di cultura e di civiltà tra l’epoca medievale e la modernità, tra l’Oriente e l’Occidente.

Tanto altro si potrebbe dire di questo studioso, per la vastità del contributo che ha dato alla ricerca storica, ma più di ogni altra cosa sembra giusto considerare la sua vocazione sacerdotale. Mons. Fonseca è un testimone della volontà di vivere il sacerdozio nella sua pienezza. Non soltanto nella sua azione pastorale, oggi dominante tra i preti in maniera quasi esclusiva, ma anche nella scrupolosissima applicazione agli studi, nella faticosa attività di approfondimento della realtà in tutti i suoi aspetti per fare in modo che il messaggio cristiano sia il più possibile adeguato al contesto storico nel quale i cristiani sono chiamati a vivere e più chiari i principi morali da seguire.

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Paolo Tritto

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