Le profezie sono sempre rivolte al futuro e non trovano un riferimento immediato nella realtà presente. È sicuramente così e lo vuole la stessa logica. Ma forse, riguardo a questo, il libro dell’Apocalisse potrebbe rappresentare un’eccezione. Nel senso che il testo ispirato, se da un lato guarda agli ultimi giorni, dall’altro si può notare quanto sia applicabile alla realtà presente.
Mons. Vito Staffieri, sacerdote nato a Matera il 10 maggio 1885, è vissuto a cavallo di due secoli. Uomo di grande cultura, possiamo vedere come egli sottolinei il paradosso della stringente attualità di quel testo sacro in una sua pubblicazione del 1968 intitolata “Apocalisse di San Giovanni apostolo”.
Per Staffieri la storia sarebbe entrata nella sua fase più drammatica ed è forte il timore avvertito tra gli uomini per un esito tragico. «Gli stessi re e potenti della terra» scrive a pag. 12 del testo sull’Apocalisse, «”quando coeli movendi sunt et terra” si nasconderanno nelle spelonche e tra i massi delle montagne». Fa una certa impressione leggere queste parole in giorni come questi, dove si apprende che nell’apocalittico scenario mediorientale come in altre parti del mondo, molti leader sono costretti a vivere nei bunker, così simili a quelle spelonche, a quelle caverne di cui parla il sesto capitolo dell’Apocalisse: «Allora i re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello, perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?»
Non doveva essere difficile cogliere questi segni nemmeno ai tempi di don Staffieri se si pensa alla terribile realtà delle Guerre mondiali, dei campi di sterminio, dei totalitarismi, della violenza ideologica. La stessa cosa si potrebbe dire di eventi disastrosi come terremoti, carestie, o di sconvolgimenti in campo economico «e crisi di portata incalcolabile». Sorprende però che il sacerdote materano, insieme a questi più o meno ricorrenti sconvolgimenti, ne cogliesse altri che soltanto molto tempo dopo sarebbero diventati manifesti; come è il caso della crisi climatica che egli indica a pag. 15 del suo testo, dove scrive che «l’atmosfera sembrerà come impazzita con tutta la volta del cielo».
Qui vediamo come tutte le preoccupazioni che esprime la Chiesa contemporanea e il magistero di Papa Francesco in particolare siano in sintonia con le parole e la fede di un sacerdote vissuto un secolo prima.
La stessa sintonia, del resto, si riscontra quando viene presa in considerazione la posizione culturale che i cristiani devono assumere. Per essere in grado di cogliere quelli che la Chiesa chiama “i segni dei tempi” è necessario evidentemente essere attrezzati culturalmente. E, come fa oggi Papa Francesco, don Vito Staffieri invitava i cristiani a confrontarsi con i grandi autori della letteratura. Non è possibile, infatti, giungere a una capacità di giudizio senza un’adeguata formazione culturale.
Nelle pagine iniziali del suo scritto sull’Apocalisse, il sacerdote più volte si sofferma su questo. «Non vi è dubbio» scrive, «che la poesia e la letteratura, in genere, rappresentano una delle forze più nobili e più importanti dello spirito umano, che ricrea e raffina l’anima innalzandola a superbe altezze. […] Che spalanca il mondo del meraviglioso». Lo ha detto anche Papa Francesco, quasi con le stesse parole, qualche settimana fa, a proposito della «formazione di tutti gli agenti pastorali, come pure di qualsiasi cristiano. Mi riferisco al valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale».
Staffieri vedeva ciò anche nel ruolo di portata storica che ha avuto la lingua italiana. Basti pensare al bene comune di una patria che, sebbene dilaniata da poteri estranei alla propria storia, “come Lazzaro” risorse perché «tenuta aggrappata all’àncora della sua lingua e dei suoi grandi scrittori» (pag. 6).
Chi avrà la maturità per leggere i segni dei tempi potrà capire il senso delle profezie che si manifesteranno e a cosa il mondo va incontro. Un po’ tutti, già oggi, possono comunque vedere quanta violenza scuote il mondo intero. E con quanta angoscia si è costretti a seguire lo svolgersi delle circostanze storiche.
Ma i giorni dell’Apocalisse, i giorni dell’ira, ci ricorda don Vito Staffieri, sono anche i giorni in cui «il Figlio dell’Uomo glorificato scenderà dal suo Trono», i giorni in cui «vedranno il Redentore anche coloro che lo trafissero. […] Lo confesseranno anche i non credenti». Perché egli è colui che fa nuove tutte le cose.
Quello sarà anche il momento in cui risplenderà tutta la bellezza della Chiesa. Come è stato per le sette Chiese dell’Apocalisse, scrive a pag. 37, “fiammelle” che «brillavano simili alle stelle del firmamento». È un concetto che ribadisce con forza maggiore più avanti, a pag. 43: «Come dal disco solare partono i sette colori dell’arcobaleno, similmente nello splendore dello Spirito illuminatore, procedente dal Sole della Trinità, si rispecchia la bellezza trascendente della Chiesa».
Anche coloro che lo misero in croce, e lo mettono in croce oggi, riconosceranno Cristo. E un segno di questo, come oggi fa papa Francesco, Staffieri lo vede nella promessa della fratellanza universale che diventerà un’esigenza evidente a tutti. «La fratellanza» scrive a pag. 9, «la quale poteva essere considerata una bellissima materia, direi quasi facoltativa, ora è diventata obbligatoria, in tempi di bomba H. Essa è diventata “condito sine qua non” della sopravvivenza umana, come l’aria, tenuto presente che il conflitto può scoppiare anche contro la volontà delle potenze atomiche». Sarebbe stoltezza, cioè, confidare nelle capacità umane di controllare l’uso delle armi nucleari. Con la bomba atomica, dice, c’è il rischio «che il fuoco scoppia come nel fienile, quasi da sé, senza sapere com’è stato».
Quella della fratellanza non fu per mons. Staffieri, soltanto un’idea. A un progetto che intitolò “Cittadella della umana e cristiana fraternità Giovanni XXIII”, per accogliere poveri e bisognosi, si dedicò con tutte le sue forze, sebbene non ebbe modo di vedere realizzato questo suo proposito.
Se un mondo senza Cristo è un mondo in preda al terrore, lo stesso mondo, con la presenza di Cristo, ritrova la pace ed è generato a una vita nuova. Cristo: Presenza che trasfigura il mondo.
Mons. Vito Staffieri è morto all’età di 106 anni, un particolare per lui trascurabile poiché, come scrisse, davanti all’eternità «i secoli sono nient’altro che minuti». Con questa certezza nell’eternità, egli si presentò alla casa del Padre. Era il 5 agosto 1991, vigilia della Trasfigurazione del Signore, quella trasfigurazione che egli aveva saputo scrutare così nitidamente nell’apocalittico svolgersi della storia.
Di mons. Vito Staffieri presso la diocesi di Matera-Irsina è attualmente in corso un processo di beatificazione e canonizzazione.
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