Grottole. Di nuovo in festa, questa volta per S. Antuono

È tradizione grottolese festeggiare S. Antonio Abate il lunedì e il martedì dopo la Pentecoste, alla fine del tempo “forte” Pasquale, rinviando a questa data per opportunità meteorologiche la festa che cadrebbe liturgicamente il 17 gennaio. Folle di pellegrini sono accorse anche quest’anno dai paesi limitrofi la notte di Pentecoste, in cui iniziano così sentiti festeggiamenti.

È tuttora grande la devozione dei grottolesi per S. Antonio Abate (Tebaide, 251-360 d.C.), uno dei primi asceti della storia della Chiesa, il fondatore del monachesimo, stimato grande consigliere e pertanto detto anche “Magno”, invocato come protettore contro gli assalti satanici e le eresie (tanto diffuse ai suoi tempi: ricordiamo l’arianesimo e, di conseguenza, il concilio di Nicea), associato alla protezione degli animali domestici, essendo immaginato da essi circondato, in particolare dal porcellino “Antonino”, nel deserto.

Così, a lui si rivolgevano gli antichi all’insorgere di manifestazioni ai tempi considerate diaboliche. Ad esempio, l’herpes zoster, popolarmente detto “fuoco – appunto – di S. Antonio”. Così nel XIV secolo, la Regina Giovanna I d’Angiò fece voto che se suo figlio fosse stato liberato da tale morbo avrebbe diffuso in tutto il Regno di Napoli la devozione al santo monaco egiziano, facendo erigere in suo onore santuari, cappelle e chiese. E tanti ne sorsero in Basilicata (Tricarico, Oppido L., Montemurro) e Campania, tra cui il S. Antuono di Altojanni. E a Grottole in tante case e tantissime masserie vi è un’immagine di S. Antuono.

Nel 1371 dovrebbe essere sorto il complesso monastico di Altojanni, ove risiedevano monaci-medici capaci di curare, tra l’altro, il “fuoco di S. Antonio” e ospitavano gli ammalati in un ospedale-lazzaretto, attivo poi sino all’800, per lo meno come foresteria per i pellegrini. Forse già vi era una più piccola chiesa intitolata a S. Antuono, come una scritta sull’architrave del santuario attesterebbe. Se così fosse, il voto della Regina Giovanna avrebbe concorso all’ampliamento, alla decorazione con affreschi – purtroppo poi coperti da altre raffigurazioni –  e alla realizzazione del complesso monastico-sanitario. Altri ampliamenti si ebbero nel XVIII sec.: la chiesa venne suddivisa in navate e decorata con stucchi e all’inaugurazione era presente il vescovo di Irsina. Alla statua lignea di S. Antuono del ‘300 posta sull’altare maggiore della navata centrale, fu allora aggiunta una ulteriore statua del ‘700, un mezzo busto in cui trova posto un osso del santo che giunse grazie all’interessamento di un parroco grottolese.

Sebbene la ricorrenza liturgica di S. Antonio Abate cada il 17 gennaio, giorno d’inizio del carnevale, per comodità metereologiche a Grottole si è sempre festeggiato il lunedì e il martedì successivi al giorno della Pentecoste, una volta terminato il tempo “forte” della Pasqua. La comunità da sempre è in fermento per trascorrere sulla collina di Altojanni, due giornate di festa, in cui l’elemento sacro e quello profano si mescolavano in modo indissolubile.

La festa di una volta

Si andava a Sant’Antonio Abate a dorso di mulo inghirlandato, carico di masserizie, e anche di sedie per accomodarvisi visto che la permanenza sul monte si estendeva a due giorni. Non pochi erano coloro che andavano a piedi, come anche oggi, d’altronde. S’incontravano donne che, per adempiere un voto, salivano scalze fin sul colle, ferendosi i piedi tra cardi, spine e sassi. Si marciava per circa tre ore e dalle bisacce spuntavano fiaschi di vino che annunciavano i momenti di gioia conviviale che avrebbero seguito i momenti spirituali.

Si partiva in pellegrinaggio per Altojanni anche dai centri vicini, in particolare da Ferrandina, Salandra, Grassano, Craco.

Appena giunti sul monte, nel massimo raccoglimento, in preghiera o cantando, si compivano (come anche oggi, d’altronde) tre giri intorno alla chiesa. Un modo, secondo la consuetudine, per poter entrare in rapporto con il Santo e tributargli onore e venerazione.

Il vero momento di preghiera era la celebrazione della santa messa, presieduta dal Vescovo o da un sacerdote ospite, sia il lunedì sia il martedì mattina dopo Pentecoste.

E, dopo quest’ultima celebrazione, la processione accompagnata da numerosi ceri votivi, i “cirii”, che a volte pesavano più di trenta chili e dei quali il più grande era costituito da 1200 candele. Il “cirio” veniva offerto al Santo e portato a spalla da quattro fedeli che chiedevano o avevano ottenuto una grazia. Il tutto accompagnato da squillanti canti.

Tutto il resto della giornata era occasione per stare insieme e condividere il cibo e il vino per far risuonare sulla collina i canti e le musiche che allietavano la festa. Al ritorno della statua in chiesa, la gente si sparpagliava per la campagna, alla ricerca di angoli più ombreggiati per stendervi tovaglie e poggiarvi le cibarie. Fra tanta animazione, si trasportavano le sporte e si accendevano focherelli con sterpi e frasche. In poco tempo nell’aria si diffondeva il profumo dell’arrosto sulla brace e si vedevano visi allegri e spensierati. Più tardi si sentivano delle voci intonare canzoni popolari che esprimevano in modo schietto e immediato il desiderio di ballare. Venivano fatte passare delle funi a cavallo dei robusti rami delle querce e si creavano altalene su cui i più giovani si sbizzarrivano. E poi la festa continuava sulla strada del ritorno a Grottole.

La festa di oggi

Non è tramontato l’uso devozionale del pellegrinaggio dal centro di Grottole, che molti compiono a piedi, ma nel primo pomeriggio del lunedì. E giunti sul colle è sempre valido l’uso dei tre giri attorno al santuario. Da Ferrandina è ancora viva la tradizione di arrivare a piedi, ma il pellegrinaggio è organizzato in questi ultimi anni nella notte di Pentecoste, per gli impegni lavorativi del lunedì. Così il santuario anche quest’anno il giorno di Pentecoste era già aperto all’alba. Molti poi tornano, o giungono dagli altri paesi vicini, il lunedì sera con le auto.

È ancora viva la tradizione della processione che segue la solenne celebrazione eucaristica, ma questo avviene il lunedì sera. Poi, in una zona della collina detta “Calvario”, c’è l’atto di affidamento delle comunità presenti a S. Antuono, quindi si fanno altri tre giri intorno al santuario e si rientra in chiesa con l’effige del santo. Tutto il momento è accompagnato dalla banda, dalle preghiere e dai canti: ultimo, il suggestivo inno a Sant’Antuono. Assieme alla statua tradizionale di S. Antuono ve n’è una più piccola portata dai bambini per renderli partecipi e trasmettere questa devozione alle giovani generazioni. Se i “cirii” sono un ricordo del passato, oggi ne rimane solo uno per non dimenticare cosa fosse (v. le due foto seguenti).

Lunedì 20 maggio, quest’anno, vede in santuario la presenza di don Fabio Vena, giovane sacerdote pisticcese, parroco a Salandra, che presiede la messa delle 11, e Mons. Nicola Urgo, vicario arcivescovile della Diocesi di Tricarico, che presiede la solenne celebrazione delle ore 18:30.

Il tradizionale pellegrinaggio di comunità del pomeriggio di lunedì 20 viene guidato da don Michele Francabandiera, già parroco di Grottole, e prevede il raduno alle ore 14 presso le “Tre Croci” (per chi intenda andare a piedi; invece alle 16:30 con partenza dalla “Taverna” per chi intende andare in bus, costo 5€ A/R).

La festa sul colle dura sin dopo la mezzanotte del lunedì, considerando che molti dei presenti hanno fatto tanta strada per arrivare sino a S. Antuono.

La devozione delle comunità è visibile attraverso i doni per la festa (il piedistallo in foglia oro di Craco, la tovaglia di Bernalda) o gli ex-voto portati al santo per grazia ricevuta.

Un altro momento rituale la benedizione del panino alla fine della celebrazione e poi condiviso tra i presenti o portato agli ammalati devoti di S. Antuono.

Il martedì è la “festa dei grottolesi”. Dopo la celebrazione eucaristica del mattino, il santuario chiude e il resto della festa si svolge nel paese.

In paese, custodita nella chiesa di S. Pietro, vi è una bella statua lignea di scuola napoletana del santo eremita, robusta ed espressiva nello sguardo, che fece realizzare nel 1891 la devota e abbiente famiglia grottolese Danzi, a vantaggio di chi, per salute ed età, non sarebbe potuto andare ad Altojanni. La statua viene portata prima del solenne pontificale del martedì sera in Chiesa Madre, che quest’anno officerà Mons. Salvatore Ligorio, già vescovo di Matera-Irsina, e dopo la celebrazione eucaristica, svolge il giro del centro storico accompagnata dalla banda.

Il santuario viene riaperto il 17 agosto, per celebrare un’altra eucaristia per gli emigranti che non hanno potuto partecipare alla festa dei giorni seguenti la Pentecoste.

Una festa tanto sentita dai grottolesi che, ogni anno, puntualmente si ritrovano tutti sul monte. Anche quelli che alle volte si definiscono atei. L’augurio che dalle pietà popolare si possa passare alla fede.

U’ puorc de Sand Antuòn: Antonino

Era tradizione che la sera del 17 gennaio venisse offerto un maialetto a S. Antuono. Si poneva una scrofa ai piedi della statua e tutta la cucciolata era posta ad una certa distanza. Una volta che si consentiva ai cuccioli di raggiungere la mamma, il maialetto che arrivava primo era ritenuto sacro a S. Antuono: da quel momento in poi veniva chiamato “Antonino” e gli si tagliavano le orecchie e la coda a metà. Mentre la scrofa e gli altri maialetti tornavano in campagna alla vita normale, Antonino rimenava in paese dove girava liberamente e quando capitava che si venisse visto dietro un uscio era considerato un segno propiziatorio per la famiglia che lì abitava e che magari gli offriva qualcosa da mangiare. Il maialetto sacro a S. Antuono veniva ingrassato e allevato con rispetto dai grottolesi, essendo segno della predilezione del loro protettore, in attesa che qualche giorno prima del successivo 17 gennaio venisse poi macellato gratuitamente e le parti messe in vendita ad offerta libera, acquistate con generosa offerta dai grottolesi in devozione al Santo e il ricavato veniva poi devoluto alla Chiesa o alla festa.

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Giuseppe Longo

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