Green Pass, un lasciapassare per la salute

Per ottenere il Green Pass, il certificato verde che permetterà di muoversi con maggiore libertà in Italia e di viaggiare da luglio in sicurezza in tutta Europa, ci si potrà rivolgere anche al proprio medico curante. Ma i problemi non mancano.

Al momento dell’imbarco in aeroporto si è soliti ricevere il cortese invito a mostrare i documenti.
Ad un mio collega italiano ma di carnagione scura capitava puntualmente che l’addetto alla sicurezza, cambiando registro, sfoggiasse con impeccabile accento british un – Pàssport, Sir – che suscitava l’ilarità dei presenti.

Dalla metà di giugno ci sarà poco da ridere: la richiesta del passaporto, parliamo di quello sanitario, sarà rivolta non solo a quanti viaggiano per cielo e per mare, o debbano spostarsi in regioni arancioni o rosse, ma anche a chi accompagni gli sposi al banchetto nuziale, a quanti desiderino visitare un anziano in RSA o passare una serata in discoteca.

Il garante della privacy si è affrettato a precisare che, per evitare discriminazioni ed a tutela dei dati sensibili, a nessun lavoratore potrà essere chiesto di esibire tale documento, anche con il suo consenso.

Sul sito del Ministero della Salute è possibile consultare la Guida alle certificazioni verdi per il Covid: domande e risposte sono raccolte sotto la voce FAQ (Frequently Asked Questions), acronimo inglese che sta per Domande poste di frequente.

La certificazione verde Covid-19 potrà essere rilasciata in tre casi

1. avvenuta vaccinazione 

2. avvenuta guarigione

3. dopo test negativo per la ricerca del Sars- Cov-2 (sia antigenico che molecolare)

Nel primo caso la certificazione sarà rilasciata, in formato cartaceo o digitale, dalla struttura sanitaria o dal Servizio Sanitario Regionale di competenza. La validità andrà dal quindicesimo giorno dopo la somministrazione della prima dose fino alla data prevista per il completamento del ciclo vaccinale  e di nove mesi dal completamento del ciclo vaccinale.

Nel secondo caso la certificazione sarà rilasciata, in formato cartaceo o digitale, dalla struttura ospedaliera presso cui si è effettuato un ricovero, dalla ASL, dai medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. La validità sarà di sei mesi dalla data di fine isolamento.

Nel terzo caso la certificazione sarà rilasciata dalle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, dalle farmacie o dai medici di medicina generale e pediatri di libera scelta che effettuano tali test. In questo caso  la validità sarà di sole 48 ore dal prelievo

Dal 1 luglio 2021 la certificazione verde made in Italy confluirà nel Digital Green Certificate, il certificato verde europeo – Green pass – che faciliterà gli spostamenti negli stati membri della Comunità europea.

Tra il personale sanitario abilitato al rilascio delle certificazioni c’è qualche preoccupazione sia per il timore che l’aumentato carico burocratico tolga spazio all’attività clinica sia per delle criticità già emerse.

Evidenzierò quelle rilevate nella nostra regione e meritevoli di attenzione da parte del Generale Figliuolo.

Il certificato di avvenuta vaccinazione è rilasciato, di regola, all’atto della somministrazione del vaccino in contemporanea con la registrazione sul Portale di Poste italiane: era previsto che tutti questi dati venissero poi riversati in modalità telematica sia sul Portale Giava dell’Anagrafe nazionale vaccini, accessibile a tutti i medici di famiglia, sia sul Sistema Tessera Sanitaria e sul Fascicolo Sanitario Individuale (FSE), consultabile da ogni cittadino mediante SPID.

Ad oggi questo trasferimento non è ancora avvenuto: il medico curante non ha la possibilità di consultare la lista dei propri pazienti vaccinati presso le postazioni aziendali e comunali, non può rilasciare copia di avvenuta vaccinazione nel caso il certificato cartaceo fosse andato perso, né può rintracciare quanti, pur fragili per età o patologie, per ragioni diverse non siano stati ancora vaccinati.

Ai pazienti ultra fragili vaccinati a domicilio, non dal proprio medico curante ma da equipe composte da volontari e dipendenti aziendali, non è stata rilasciata alcuna certificazione scritta: è giunto loro solo un SMS con l’indicazione della data prevista per la seconda dose.

Questo è anche l’unico dato che possa ottenere un cittadino che acceda al portale di Poste italiane, nessun riferimento invece è rintracciabile quanto a tipo di vaccino, lotto e data della prima somministrazione.

C’è ancora un discreto numero di residenti in regione censiti come affetti da Covid ma in realtà guariti perché in possesso di un tampone ritornato negativo dopo un periodo di positività. Essi non rientrano però nel conteggio fornito dalla Task force e rischiano di non ricevere il certificato digitale di avvenuta guarigione fintanto che il responsabile dell’Ufficio di Sanità pubblica non ne aggiorni lo stato sul Portale Covid della regione Basilicata. C’è inoltre il paradosso che quant’anche il documento fosse presente in piattaforma esso potrà essere visualizzato, stampato ed inoltrato al paziente da operatori delle ASL ma non dal medico curante!

Come sarà possibile che queste informazioni, inaccessibili perfino ai medici curanti, possano confluire in una banca dati nazionale e poi condivisi da luglio a livello europeo per consentire il rilascio di una certificazione digitale?

Dobbiamo sperare che la pubblica amministrazione italiana affidata alle cure del ministro Brunetta, artefice della digitalizzazione dei certificati medici di malattia, sappia cimentarsi con questa nuova prova. Non dubitiamo della volontà riformista dell’intera compagine governativa a guida Draghi ma riteniamo che sia ancora necessaria l’azione di coordinamento da parte del Commissario straordinario per tenere insieme le variegate tessere ed i diversi sistemi informativi ed anagrafici della sanità italiana.

Ci permettiamo di porre all’attenzione del Generale Figliuolo e a quella del Comitato tecnico scientifico un problema ancora irrisolto, quello dei pazienti che, contratta l’infezione in forma asintomatica senza aver ricevuto alcun tampone, risultino positivi al test sierologico (spesso con titoli anticorpali elevati) e quindi di fatto guariti: al momento queste persone non possono ottenere il green pass se prima non vengano vaccinate, data l’impossibilità di risalire alla data esatta della loro siero conversione.

È noto però che, per motivi di sicurezza e di opportunità, la vaccinazione va rinviata di 3-6 mesi in chi ha già contratto la malattia. Cosa consigliare a questi pazienti? Come non discriminarli sul piano dei diritti individuali? Confidiamo in una risposta autorevole.

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Erasmo Bitetti

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