È una tradizione che sta riprendendo sempre più vigore la festa di S. Biagio a Matera.
Il cuore ne è l’antica chiesetta di S. Biagio, riaperta al culto tre anni fa, situata in pieno centro storico, all’incrocio tra via T. Stigliani, appunto via S. Biagio e via S. Cesarea.
Chi è vissuto nella zona ricorda il fervore con cui, per tempo, le donne della zona facevano a gara per preparare i classici tarallini di S. Biagio che poi venivano distribuiti, al costo di una piccola offerta volontaria, all’ingresso della chiesetta. Per qualche anno, complice la chiusura della chiesa, la tradizione si è arrestata.
Quest’anno, vuoi per il clima primaverile di sabato, vuoi perché ormai – riaperta la chiesa – i materani stanno riprendendo gusto ad andarci, vuoi per gli eventi culturali che hanno avuto luogo lo scorso anno, tanti fedeli sono accorsi a S. Biagio, partecipando ad una delle cinque messe della giornata o fermandosi anche solo per pregare qualche minuto oppure solo per visitare la chiesa che solitamente è chiusa. E la novità di quest’anno erano proprio i tarallini all’ingresso!
Ma il viavai non dovrebbe essersi esaurito sabato visto che don Biagio Plasmati, che è il cappellano, ha detto che intende celebrare ordinariamente la S. Messa il mercoledì alle 17:30.
Cuore della giornata la celebrazione eucaristica delle 11, gremitissima, presieduta da don Biagio Colaianni, vescovo eletto di Campobasso-Bojano – che da poco aveva pronunciato la sua professione di fede come vescovo nel salone degli stemmi in Episcopio – e concelebrata con don Biagio Plasmati.
“Chiesa di Dio, popolo in festa”, le parole del canto d’inizio, pienamente intonato con la situazione: un popolo numeroso che dava, appunto, l’idea di essere Chiesa orante: in festa, tra l’altro per la nuova nomina che riguarda don Biagio.
Il martirio non è un atto eroico che riguarda solo qualcuno che, appunto, ricordiamo come martire, ma un’offerta quotidiana della propria vita che ci interpella tutti e per qualcuno ha visto il martirio cruento come atto conclusivo, ha sottolineato don Biagio nella sua omelia.
Dopo ogni celebrazione, la preghiera a S. Biagio e il gesto rituale di benedizione della gola con le candele incrociate, accompagnato dalle parole: “Per l’intercessione di S. Biagio, vescovo e martire, il Signore ti liberi dal mal di gola e da ogni altro male”. Sì, S. Biagio, prima di essere vescovo di Sebaste e di subire il martirio nel 316, era stato medico. E prima di morire si racconta che abbia miracolosamente liberato un ragazzo a cui era rimasta incastrata in gola una spina di pesce.
L’interrogiativo sul martirio
Proprio sulle cause del martirio del vescovo Biagio, all’indomani dell’Editto di Milano (313), sono sorti diversi interrogativi: forse un dissapore proprio tra Costantino e Licinio – i due “Augusti” cognati che insieme avevano firmato l’editto che conferiva libera di culto ai cristiani – culminato nel 325 quando Costantino farà strangolare Licinio a Salonicco. Strumento del martirio fu un pettine con cui veniva cardata la lana, che – tra l’altro – don Biagio Colaianni ha inserito nel suo stemma episcopale; quindi la decapitazione.
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