Giovanni XXIII, il ritorno alla tenerezza di Cristo

Sessant'anni fa moriva il papa buono. Un ricordo

Ricorrono i sessant’anni dalla morte del carissimo papa Giovanni XXIII e questa circostanza mi induce per una volta a mettere da parte valutazioni di carattere giornalistico per offrire al lettore un personale ricordo che vuole essere, pur nella sua semplicità, una testimonianza riguardo a ciò che ha significato la novità di questo pontificato per il mondo intero.

Avevo appena sei anni e mio padre volle portarmi con sé in un viaggio al quale presumo attribuisse un particolare valore. Viaggiamo in autobus e facemmo una prima tappa alla Fiera campionaria di Napoli, dove mio padre acquistò un go-kart a pedali in modo che io potessi tonificare i miei arti inferiori, atrofizzati per gli esiti di una poliomielite che mi aveva costretto per due anni a letto, paralizzato.

Poi avremmo fatto tappa a Roma, dove si erano stabiliti dei parenti. Una volta nella capitale, andammo alla basilica di San Pietro con la speranza di poter vedere il papa. Fummo fortunati perché era in corso non ricordo quale celebrazione dove era atteso l’arrivo di Giovanni XXIII. Allora, all’interno della basilica di San Pietro, il pubblico non veniva canalizzato in maniera disciplinata, ma era una calca scomposta nella quale ognuno si faceva largo a spintoni per raggiungere le posizioni migliori.

Mio padre si diede da fare anche lui coi suoi gomiti per portarsi a ridosso del previsto passaggio di Giovanni XXIII. Nonostante ciò, io ero troppo piccolo per potere arrivare a vedere il papa, perciò mio padre mi sistemò sulle sue spalle dalle quali la mia presenza sovrastava la folla. Ma questo sarebbe bastato ad attirare l’attenzione del papa su di me? Mi suggerirono allora di gridare “viva il papa” non appena mi sarebbe passato davanti.

Poco dopo, benedicente, fece il suo ingresso nella basilica vaticana Giovanni XXIII assiso sulla sedia gestatoria. Come mi era stato detto, cominciai a gridare “viva il papa”, ma una suora che era di fianco a me mi invitò a gridare con ancora più forza in modo che il papa, al mio richiamo, potesse rivolgere il suo sguardo verso il settore dove eravamo. Nell’ingenuità di un bambino, cominciai a urlare come un forsennato.

I miei sforzi non furono vani perché il papa si voltò, fissò il suo sguardo su di me per alcuni secondi, sorrise divertito alle mie scomposte acclamazioni, poi mi impartì la sua benedizione con quella benevolenza che lo caratterizzava. Tutte le volte che Giovanni XXIII viene definito il “papa buono” il mio pensiero va allo sguardo che mi rivolse allora, al suo divertito sorriso e alla sua benedizione.

Per tutta la vita mi sono domandato a cosa mi chiamava quella benedizione, così personale, che Giovanni XXIII mi rivolse in quella occasione e se non ho deluso le aspettative del papa, della Chiesa intera, su di me. Come a quell’incontro va il mio pensiero quando sento ripetere le parole del papa buono nel discorso alla luna: “date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa”. Quella carezza, quella tenerezza del papa, io l’ho avvertita fisicamente e ancora l’avverto.

Leggo oggi sul quotidiano Avvenire quello che scrivono Marco ed Elisa Roncalli a proposito di Giovanni XXIII e della gente “che aveva creduto alla sua sincerità, che si era sentita oggetto della sua attenzione e tenerezza: per Martin Heidegger i due fenomeni costitutivi del nostro esistere ma, secondo Heinrich Böll, rimasti assenti troppo a lungo nei messaggeri del cristianesimo”.

Giovanni XXIII ebbe il coraggio di dare l’avvio a Concilio ecumenico che sapeva di non poter portare a termine. Sapeva anche però che è Cristo che porta a termine ciò che egli ha iniziato. La stessa cosa evidentemente vedeva nel suo messaggio di tenerezza che non può non scaturire se non dalla carezza di Cristo verso ognuno degli uomini.

Giovanni XXIII
RiccardoP1983, Public domain, via Wikimedia Commons

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Paolo Tritto

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