Gaza e il segreto della colomba

Una speranza di pace nel doloroso contesto della Terra Santa. Cosa fare in concreto?

All’indomani della raccapricciante strage del 7 ottobre, una strage contro innocenti giovani vite, su questo giornale richiamavano quanto scriveva Isaac B. Singer, Premio Nobel per la letteratura, in uno dei suoi racconti per i bambini, pubblicati anni fa in Italia da Mondadori col titolo “Storie per bambini”.

“Perché Noè scelse la colomba” è il titolo di uno di questi racconti. Sembra opportuno riproporre questo testo oggi, davanti all’angosciosa contingenza storica dei fatti di Gaza e dell’escalation israeliana che ne è derivata. Può essere utile, come fa Singer, partire dalla semplicità dei bambini per tornare a sperare. Può essere utile affinché noi possiamo tornare a dire qualche parola di speranza, per quanto sottile possa essere il filo della speranza.

Oggi da tutto il mondo si levano voci di protesta per quella che sembra a giudizio di molti una reazione spropositata, da parte di Israele. Sappiamo anche come la reazione israeliana sia diventata, in larga parte dell’opinione pubblica, spunto per mettere in discussione la permanenza di Israele nel territorio mediorientale e, in taluni casi, per tornare a criminalizzare il popolo ebraico, come purtroppo altre volte è stato visto nella storia.

Sono abbastanza evidenti le pericolose implicazioni sia di questi pregiudizi sia del pugno di ferro israeliano, ma noi vogliamo tornare alle parole di Isaac Singer e alla saggezza dei bambini ai quali egli si rivolge. Lo scrittore, nelle pagine dei suoi “Racconti per bambini”, riporta il dialogo tra un rabbino e il suo bambino, pagine nelle quali intende ricordare da dove proviene quel bene che tutti attendiamo e che attraverso la storia di Israele, ci ha raggiunto.

«Volevo sapessero che quel che Dio poteva fare duemila anni fa, può farlo anche oggi» dice il rabbino.

La speranza, ci suggerisce Singer, ha inizio, scaturisce dalla consapevolezza che Dio interviene nelle vicende umane e interviene a cambiare il corso degli eventi. Anche la pace è un miracolo, ma è un miracolo possibile alla luce della storia della salvezza, millenaria storia del popolo ebraico. A questo noi oggi dobbiamo credere.

Sempre in una di queste storie per bambini, l’ebreo Isaac Singer si sofferma, un po’ umoristicamente, sui momenti che hanno preceduto il varo dell’arca di Noè. Momenti, come si può ben capire, particolarmente concitati. La storia è nota: Noè avrebbe costruito un’arca con la quale poter scampare al diluvio imminente e in quell’arca avrebbero preso posto quelle creature che Dio riteneva dovessero essere salvate, a cominciare dalla famiglia di Noè. Fu allora, prosegue il racconto, che tutti gli animali cominciarono a levarsi uno contro l’altro e a vantare il diritto di essere ammessi nell’arca prima di tutti gli altri, manifestando chiassosamente le proprie ragioni.

Noè notò in quel momento, scrive Isaac Singer, che invece «la colomba se ne stava appollaiata da sola su un ramo e non provava nemmeno a parlare o a competere con gli altri animali». Noè rimase ammirato dalla mitezza della colomba: «La colomba ha ragione – disse Noè. – Non c’è bisogno di vantarsi e di competere. Dio mi ha ordinato di portare con me nell’arca creature di tutti i generi, domestiche o selvagge, uccelli o insetti. Gli animali gioirono quando sentirono queste parole e dimenticarono tutte le loro beghe. Prima di aprire la porta dell’arca, Noè disse: – Io vi amo tutti, ma poiché la colomba è stata modesta e silenziosa mentre voi litigavate e discutevate, la scelgo come mia messaggera».

Scoprendo che tutti erano ammessi in quell’arca dove avrebbero trovato la salvezza, “gli animali gioirono”. La pace scaturisce dal miracolo della gioia che la parola del Signore suscita. Il segreto della colomba sta proprio nella consapevolezza della bontà del Signore e della benevolenza del Signore verso tutte le sue creature, nessuna esclusa.

Per fortuna, conclude Singer, «ci sono al mondo più colombe che tigri, leopardi, lupi, avvoltoi e altre bestie feroci. La colomba vive felicemente senza litigare. È l’uccello della pace».

Nella martoriata terra palestinese, tra le tante cose di cui c’è estremo bisogno, è urgente anche capire dove sta il segreto della felicità della colomba.

Nelle catacombe romane di Domitilla c’è un graffito con il quale qualcuno, nell’antichità, ha disegnato una colomba con un ramoscello d’ulivo nel becco, quella colomba messaggera di pace dell’arca di Noè.

Sulle tombe di quei martiri non troviamo note delle persecuzioni, delle ingiuste condanne subite. Che pure portarono tanti di quei perseguitati alla morte. Nessuno sulle loro sepolture ha inciso propositi di vendetta. L’ignoto incisore delle catacombe di Domitilla, col suo incerto tratto ma anche col suo realismo, ha scelto invece la colomba col ramoscello d’ulivo nel becco. Ha voluto così lasciare un ultimo, definitivo messaggio di speranza. Perché mai la violenza, mai il male saranno l’ultima parola sulle dolorose vicende umane.

Questa pace è certamente difficile, come ha più volte sottolineato il cardinale Pizzaballa nel suo recente intervento al Meeting di Rimini. Essendo un miracolo, è impossibile agli uomini. E si può soltanto chiedere, “sperando contro ogni speranza” ha aggiunto il cardinale.

Per Pizzaballa, sono ormai tanti i documenti sottoscritti dai leader delle religioni che riconoscono la necessità di un’esperienza di quella fraternità universale auspicata da papa Francesco. Ma cosa fare in concreto? E cosa si può fare nella quotidianità dei rapporti umani? Anche qui ci vorrebbe un miracolo.

Uno di questi miracoli necessari e che il popolo continuamente chiede è indubbiamente quello del lavoro. Il lavoro è il miracolo che l’uomo chiede nella quotidianità della vita. Ce lo ricorda anche il Padre Nostro: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

Ingenti risorse finanziarie sono state impegnate per il popolo palestinese. Oggi sappiamo che quelle risorse sono finite prevalentemente per armare un popolo che certamente non chiedeva armi ma pane. Uno di questi miracoli che il popolo attende potrebbe essere quello di vincolare quelle risorse finanziarie alla creazione di occasioni di lavoro.

Il lavoro non genera soltanto pane con cui chi lavora può sfamare sé e la sua famiglia, ma ha una funzione altamente educativa. Perché lavorando insieme, soprattutto se quel lavoro coinvolge etnie diverse, cresce la consapevolezza di tendere tutti alla difesa del bene comune. Forse non sono necessario grandi programmi di politiche del lavoro che spesso si rivelano pure utopie. Forse basterebbe la testimonianza di qualche esperienza di lavoro, come si vede nelle esperienze del Progetto Policoro, per fare un esempio. E fare in modo che queste esperienze siano fatte conoscere attraverso i mezzi di comunicazione sociale, attraverso i social in particolare, che oggi sono accessibili a tutti.

Quando c’è lavoro, la pace è indubbiamente più forte. Basta poco per ricominciare.

Catacombe di Domitilla, Roma
Questa fotografia è stata scattata da  Dnalor_01
Viene rilasciata con licenza CC-BY-SA 3.0 (Wikimedia Commons)

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Paolo Tritto

Latest videos