L’arte che ci piace
L’Arcidiocesi di Matera – Irsina, con il supporto della Coop. “Oltre l’arte”, del Museo Diocesano e dell’Associazione “Maria SS. della Bruna”, ha avviato con successo il programma delle nove ricche serate di approfondimento culturale su alcuni dei tesori sino ad ora sconosciuti ai più della nostra città, statue e pitture, che fanno parte del patrimonio diocesano.
Gli incontri, ricchi grazie anche alla molteplicità dei contributi che li sostanziano, hanno luogo in diversi luoghi tra cui i siti che gestisce la Coop. “Oltre l’arte”. come la bella chiesa di S. Eligio in via del Corso, solitamente chiusa, o la suggestiva chiesetta di S. Biagio.
In una di queste serate, Logos ha intervistato gli organizzatori.
Si allega di seguito il programma del ciclo di serate.
Logos ringrazia gli organizzatori di questo interessante ed utile progetto e invita i lettori a prender parte a questi momenti di conoscenza del nostro patrimonio artistico ecclesiale locale. Patrimonio e incontri hanno un valore prezioso che supera di sicuro le nostre aspettative.
In ciascuno dei seguenti paragrafi sottostanti (si aprono cliccando sul titolo) si riporta le sintesi di alcune delle serate culturali di cui nella locandina allegata immediatamente qui sopra.
Si ringraziano Simone Ferraiuolo e Marco Pelosi per le foto.
Ricollocato in Cattedrale il busto di Mons. del Ryos dopo il restauro
A 300 anni dalla dipartita di S.E. Mons. Brancaccio, arcivescovo di Acerenza e Matera (ottobre 1722), che ha brillato per grande carità, Marco Pelosi ci offre uno spaccato sulla storia ecclesiale locale dell’epoca. L’attenzione va anche a Mons. Antonio del Ryos, predecessore di Brancaccio, introduttore del carro trionfale per la festa della Bruna e committente della volta in legno attuale della cattedrale, di cui in Cattedrale torna nell’occasione il busto ligneo di cui sono terminati i lavori di restauro.
Di seguito una descrizione per la comunità materana dei lavori di restauri del busto ad opera del responsabile di tali interventi di recupero, Pino Schiavone.
Dopo il restauro, la tela torna agli antichi splendori
In uno di questi incontri culturali proposti dalla Coop. “Oltre l’arte” è stata posta all’attenzione della comunità una bellissima tela che per oltre 25 anni ha riposato nei depositi della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Basilicata, sede di Matera, al freddo e all’umido.
Bellissimi sono i colori, tornati smaglianti, come nuovi, dopo il restauro appena concluso di questa che fu probabilmente una pala d’altare risalente – ci ha spiegato Marco Pelosi – a metà XVIII secolo, realizzata probabilmente ad opera di un membro della Confraternita della Pietà, attento alla corrente artistica del tempo sebbene la tela non manchi di qualche ingenuità.
E la pietà, ovvero il compianto di Maria su Gesù, è il soggetto e dovrebbe essere la denominazione dell’opera d’arte, sebbene il nome tramandato sia “Deposizione”.
Un’opera che – ha continuato Marco Pelosi – ha trovato collocazione prima nella chiesa della Pietà, sede di culto della suddetta confraternita, poi – sino al 1925 – in S. Giovanni Battista e, infine, nella chiesa del Carmine, già cappella del seminario, dove per essere adattata allo spazio al di sotto di un arco le furono tagliati gli angoli superiori.
L’arte della Parola
Un’immagine tratta dal Vangelo di Giovanni, ha fatto notare don Pasquale Giordano, biblista, che con il suo ricco intervento ha aperto la serata accostando efficacemente il passo evangelico all’illustrazione che avevamo davanti agli occhi durante la serata:
“Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio!».
Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!»
E da quel momento, il discepolo l’accolse con sé”.
Giovanni 19,25-26
Maria, nel dipinto figura centrale dietro Gesù, e Giovanni, a destra, in piedi, si guardano tra loro, interagiscono gesticolando con le mani, che soprattutto in Giovanni sembrano, come dice il Vangelo, rappresentare accoglienza.
In alto, sono gli strumenti della passione: la corona di spine, le tenaglie con cui sono stati staccati i chiodi dalla croce per poterne deporre Gesù, la canna con cui fu porto a Gesù l’aceto quando chiese da bere, ma soprattutto la veronica, svolazzante nel dipinto. Strumenti di morte che, innalzati dagli angeli, come vuole l’evangelista Giovanni diventano strumenti di gloria e sembrano così riecheggiare le parole di Isaia:
“Trasformeranno le loro spade in aratri e le lance in falci”
Isaia 2,4
E tuttavia il racconto di Giovanni non è pedissequamente rappresentato nella pala: mancano due uomini – Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo (Gv 19,38-39) – e due donne: per Giovanni, assieme a Maria, erano sotto la croce “la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala” (Gv 19,25).
Ed è la croce che domina la scena, così – riprendendo il concetto Marco Pelosi – il dipinto potrebbe essere inteso anche come una esaltazione della croce.
Il restauro
Oltre 200 ore di sapiente restauro spalmate su due anni ci sono volute per riportare gli antichi splendori un dipinto lacero, deturpato da funghi e microrganismi, dalle condizioni climatiche improbe dei depositi delle soprintendenza, già impropriamente restaurato a fine XIX secolo ridipingendolo con colori diversi e più forti dell’originale – ha raccontato Pino Schiavone, responsabile della Impresa “Etruria” che – con il suo team – ha curato i restauri.
Espressione di passione e di perizia, come ha commentato Rosangela Maino che ha sapientemente moderato la serata, ma anche di tanta ansia, dato lo stato in cui l’opera versava. Il tutto ha richiesto prima l’utilizzo di disinfestanti per eliminare i microrganismi, di solventi dopo, e anche di un ferro da stiro a temperatura controllatissima con cui far aderire una pellicola. E far tornare a parlare questa bellissima pagina di vangelo, qual è stata ogni opera d’arte – biblia pauperum – nella storia, che troverà a breve collocazione nel Museo Diocesano di Matera.
“È questa l’arte che ci piace”: sono queste le parole con cui Rosangela Maino ha concluso il suo intervento di collante tra i vari relatori e con cui ci piace suggellare questo piccolo contributo che ne fa memoria.
attribuita a Domenico Conversi, seconda metà del ‘600
Incontri che hanno lo scopo di mostrare alla comunità opere che per essa hanno un valore didascalico e non solo culturale: questo il senso delle serate curate dalla Coop. “Oltre l’arte” giunte al quinto di nove momenti.
D’altra parte, se l’arte non ha sui fruitori effetto di svelamento della Verità o di un valore alto, di spiegazione di verità di fede (l’arte era nei tempi antichi la “Bibbia dei poveri”) o morali, che senso avrebbe il genio o la fatica dell’artista?
La presentazione della tela di S. Scolastica ci ha riportati in una Matera benedettina, caratterizzata dalla presenza di due monasteri: S. Eustachio, presso la Cattedrale, e S. Lucia, prima “alle Malve”, poi “alla Civita”, infine “al Piano”.
S. Benedetto e i monasteri: faro in tempo di decadenza
Una Matera in cui, probabilmente, l’“hora et labora” era guida non solo della vita nei monasteri ma anche dell’etica della gente comune. Infatti – ha sottolineato don Luciano Micheli nella sua introduzione – la regola benedettina, sapiente sintesi di altre regole precedenti, non serve esclusivamente da guida equilibrata alla vita dei monaci, ma può esser regola di ogni vita.
E S. Benedetto e i monasteri furono scrigno, propulsori e seme di cultura, Vangelo, nuovi traguardi di civiltà in un‘epoca di crisi, non molto diversa dalla nostra. Un cambiamento d’epoca, la fine dell’Impero Romano d’Occidente, segnava quel tempo e – l’espressione si deve a papa Francesco – non di meno i nostri giorni. E i barbari invasori recepirono il segno che stava tracciando Benedetto: nasceva una nuova Europa. “Dobbiamo riferirci ai santi benedettini se vogliamo ripartire”, ha concluso don Luciano nell’introduzione.
Una tela così grande per la santa da Norcia
Una tela del Seicento, la cui paternità potrebbe essere di un Domenico Conversi da Ariule (oggi Oriolo, in Calabria), come esprimerebbe il monogramma DCA a stento visibile nella parte centrale in basso, che Marco Pelosi ha cercato di farci notare. Ma completata da altre mani e nel tempo goffamente ritoccato.
Una tela monumentale, perché grande era il rilievo che S. Scolastica aveva in una città in cui – abbiamo detto – era rilevante la spiritualità benedettina.
Una tela maldestramente tagliata, per adattarla ai luoghi che di volta in volta la ospitavano: fatto evidente, se la figura principale, Scolastica, non è centrata. Prima collocazione, il monastero di S. Lucia alla Civita, presso l’attuale Porta Pistola – seconda sede della comunità benedettina, dopo quella di S. Lucia alle Malve. I crolli del monastero non preservarono la tela dalle intemperie prima che venisse ricollocata nella chiesa delle Ss. Lucia e Agata ‘al Piano’ (‘alla fontana’, ovvero l’attuale chiesa di S. Lucia, accanto alla successiva ed ultima sede del monastero): in una cappella laterale, di fronte ad un altro dipinto di Giovanni D’Oppido con S. Agata, S. Francesca Romana e S. Vincenzo Ferrer: due trittici, l’uno di fronte all’altro.
S. Scolastica con i discepoli di S. Benedetto
Mauro e Placido, discepoli di S. Benedetto: fondatore di un monastero in Sicilia e abate il primo, primo priore dell’Abbazia di Montecassino il secondo.
Mauro a destra di Scolastica reca il libro della “Regola del maestro”, su cui leggiamo: Timorem Domini docebo vos . Currite dum lumen vitae habetis, ne tenebrae mortis vos comprehendant, et quaerens, ovvero: “vi insegnerò il timore del Signore» (Sal. 33,12). «Correte finché avete luce di vita; che non vi colgano le tenebre della morte» (Gv. 12,35)”. Le insegne abbaziali – mitria e pastorale – sono portate dall’angelo nell’angolo in basso a destra della tela. Mauro è un’aggiunta successiva: sembra spuntare dal nulla con il solo busto.
S. Mauro Abate, che ha lasciato il proprio segno ad esempio nel nome del paese di S. Mauro Forte
S. Scolastica è rappresentata secondo l’iconografia tradizionale con il libro e la colomba e anche lei, badessa, con il pastorale.
S. Scolastica, fondatrice delle monache benedettine
A sinistra, infine, Placido, discepolo prediletto di Benedetto, un attimo prima del martirio. La spada vibra in alto prima di essere scagliata contro di lui e in alto sono già pronte la corona di gloria e la palma del martirio.
Martirio di S. Placido
Sotto la spada sembra esserci un sipario: una nuova scena che si apre oppure il retaggio di un edificio in un secondo momento eliminato dal dipinto. Un edificio è analogamente presente nella tela di S. Agata, anch’essa con tre personaggi, che un tempo era posta di fronte a quella di S. Scolastica.
Diversi sono i ripensamenti, emersi in fase di restauro, guidato da Pino Schiavone, rispetto alla prima stesura: due tra i tanti la traccia visibile di un pastorale oppure una ripetizione dei gioielli sul braccio dell’angioletto. O anche un S. Placido goffo e rigido sottostante a quello attuale, emerso nel restauro.
Così, con la quinta serata di questo ciclo è stata posta all’attenzione del pubblico l’ultima tela restaurata del monastero di S. Lucia “al piano”, di cui a breve è prevista la ricollocazione nel Museo Diocesano. Una serata di conoscenza del patrimonio artistico locale ma anche della figura di un santo, Benedetto, oggi poco conosciuto, eppure patrono e forza unitiva d’Europa.
[…] Qui il link alla presentazione dei principali eventi culturali https://www.logosmatera.it/eventi-culturali-diocesani/ […]