Da tempo, la dottrina della Chiesa dedica grande attenzione al rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale. L’elezione di Papa Francesco e la pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ hanno reso ancora più vivo questo interesse, nonostante non sia facile per tutti riuscire a vedere quale rapporto possa esserci tra l’ambiente e la dottrina cristiana, se non con la fede stessa.
Ciò non deve sorprendere se anche il Papa ha confessato una volta che nemmeno lui in un primo momento riusciva a cogliere questo nesso. Ha ricordato a questo proposito che quando lavorava alla preparazione della Conferenza dell’episcopato latinoamericano in Brasile, ad Aparecida, faceva fatica a comprendere l’importanza attribuita alle proposte che pervenivano, come la tutela della foresta amazzonica, pensando che queste cose non c’entrassero con l’evangelizzazione.
Papa Francesco capì allora l’importanza di una conversione ecologica. È un concetto che ha indubbiamente messo in discussione la posizione del cristiano, un concetto secondo cui la fede non si dovrebbe limitare a interessare i rapporti dell’uomo con Dio, ma anche il rapporto dell’uomo con l’ambiente che lo circonda, cioè con tutto ciò che Dio ha creato.
A pensarci bene, è questa un’evidenza elementare nell’esperienza personale. Se io vado a trovare a casa un amico e gli distruggo l’arredamento, c’è da mettere in dubbio la sincerità dei miei sentimenti di amicizia. E’ evidente che questo comportamento porta inevitabilmente a spezzare i legami di amicizia. Diceva Papa Francesco nel messaggio del 1° settembre scorso, in occasione della Giornata per la cura del creato: «Abbiamo spezzato i legami che ci univano al Creatore, agli altri esseri umani e al resto del creato. Abbiamo bisogno di risanare queste relazioni danneggiate, che sono essenziali per sostenere noi stessi e l’intero tessuto della vita».
Abbiamo bisogno, dunque, di una conversione ecologica. Se n’è parlato recentemente numerose volte nella nostra Chiesa di Matera-Irsina, particolarmente in occasione dell’assemblea sul delicato tema della gestione dei rifiuti radioattivi, assemblea promossa dalla delegazione della pastorale sociale della Conferenza episcopale della Basilicata e dalle realtà del laicato cattolico regionale.
In questa occasione, il nostro Arcivescovo don Pino ha opportunamente osservato che, sebbene la necessità di una conversione ecologica sia stata rilanciata con decisione dal magistero di Papa Francesco, è da tempo che questa preoccupazione è presente nell’insegnamento della Chiesa, soprattutto nel Concilio ecumenico Vaticano II.
Basta guardare alla storia della Chiesa per rendersene conto. A proposito della conversione ecologica, infatti, è sorprendente e illuminante la storia personale di Fritz Schumacher, un importante economista, tra i principali punti di riferimento della cultura ambientalista, durante gli anni del Novecento e anche oggi. Fu proprio il confronto con la dottrina sociale che in quegli anni Papa Leone XIII andava consolidando a spingere Schumacher non soltanto verso una conversione ecologica ma anche alla scoperta della fede.
Fritz Schumacher è stato un economista nato in Germania ai primi del Novecento e naturalizzato inglese. È stato, tra l’altro, uno dei principali punti di riferimento sul tema dello sviluppo sostenibile. Di lui è stato detto che un suo libro, Small is Beautiful (Piccolo è bello), è uno dei cento libri che hanno maggiormente influenzato la mentalità occidentale nell’ultimo secolo.
Non bisogna considerare Piccolo è bello un’esposizione teorica sulle emergenze ambientali. Si farebbe torto con questo a Schumacher il quale fermamente credeva che “un briciolo di esperienza vale più di una tonnellata di teorie”. Egli pensava, semplicemente, che ogni uomo ha diritto a un po’ di felicità e a poter vivere in quello che egli chiamava “un mondo migliore”.
Seguendo i suoi studi di economia che gli meritarono gli apprezzamenti di un autorevole economista come Keynes, e seguendo l’esperienza concreta della vita soprattutto nelle società dell’Estremo oriente, Schumacher si era convinto che questo “mondo migliore” consisteva nella possibilità di disporre di quelle poche cose che sono veramente necessarie nella quotidianità e, inoltre, nella possibilità di vivere in una comunità e in un ambiente accoglienti. Non avrebbe senso, dunque, saccheggiare l’intero pianeta, accaparrare risorse enormi, quando invece l’uomo si accontenta di quel poco che gli basta per vivere bene la propria giornata.
Purtroppo, Schumacher dovette sperimentare sulla sua pelle quanto cozzasse con i grandi interessi dell’economia la sua critica a un modello economico che si poggia sull’idea – che in realtà è una povera illusione – di una crescita continua del benessere, nonostante la limitatezza delle risorse disponibili, particolarmente quelle derivanti dai combustibili fossili. Schumacher venne sempre più ostacolato ed emarginato nella società del suo tempo. Ma non si perse d’animo. Benché a quel tempo fosse un ateo, cominciò a guardare con ammirazione alla ricchezza della dottrina sociale cristiana e in questa trovò corrispondenza di quegli ideali di giustizia, di temperanza e di uno sviluppo sostenibile cui egli si era ispirato per tutta la vita.
Qualche anno prima di morire chiese di ricevere il battesimo nella Chiesa cattolica. Era giunto alla conclusione che il singolo uomo, soltanto con le sue forze, non può fare molto per migliorare le condizioni di vita dell’umanità, ma potrebbe fare comunque qualcosa. Disse: «Non so suscitare da me stesso i venti che potrebbero sospingere noi, o la nostra nave, verso un mondo migliore. Ma posso almeno issare la vela».
Pensava che, in questa maniera, quando il vento dello Spirito si leverà, spingerà tutti a vele spiegate verso quel mondo migliore cui tende ogni uomo.
Fritz Schumacher apre il suo libro intitolato Guida per i perplessi con una frase latina di Sant’Agostino: “Nulla est homini causa philosophandi, nisi ut beatus sit” – L’uomo non ha alcuna ragione di filosofare, se non per cercare la felicità.
In questo libro Schumacher esordisce raccontando di una sua visita a Leningrado, così si chiamava la città russa di San Pietroburgo durante il regime sovietico. Negli anni del comunismo chi si recava in visita in Unione Sovietica doveva obbligatoriamente essere accompagnato da un “interprete” imposto dal partito che era, in realtà, un informatore della polizia politica.
Un giorno, scrive Schumacher, «stavo consultando una mappa per capire dove mi trovavo, ma non ci riuscivo. Intorno a me potevo vedere diverse chiese enormi, ma nella mia mappa non c’era traccia di chiese. Alla fine un interprete venne ad aiutarmi e mi disse: “Nelle nostre mappe non indichiamo le chiese”. Contraddicendolo, puntai il dito su una chiesa che era segnata molto chiaramente. “Ah, ma questo è un museo” mi rispose, “non è quella che chiamiamo una ‘chiesa vivente’. Solo le ‘chiese viventi’ non sono mostrate sulle mappe”».
Se per l’uomo contemporaneo, concludeva Fritz Schumacher, è difficile trovare la strada della felicità è perché egli non è stato educato a riconoscere i segni che, all’interno della mappa della vita, possono indicare il luogo dove trovare ciò che maggiormente interessa l’uomo. «Durante tutti gli anni di scuola e università» scrive, «mi erano state fornite mappe di vita e conoscenza su cui difficilmente riuscivo a trovare traccia di cose che mi stavano a cuore, e che pure mi sembravano avere la più grande importanza per la condotta della mia vita».
È come se qualcuno, come succedeva nella Russia sovietica, abbia cancellato dalla mappa della vita le indicazioni delle “chiese viventi”, di quelle comunità vive nelle quali l’uomo può trovare piena accoglienza. Perché per la propria felicità è necessario, secondo Schumacher, che l’uomo viva in un ambiente accogliente, in un luogo dove possa sentirsi a casa.
La conversione di Fritz Schumacher, avvenuta nel settembre del 1971, è stato un fatto sicuramente sorprendente, se si pensa alla critica radicale che inizialmente egli rivolgeva al Vangelo; per esempio, al precetto evangelico “ama il prossimo tuo”. Per Schumacher si dovrebbe ricercare il bene della società nel suo insieme e non tanto quello degli individui. Come ricorda la figlia Barbara, diceva che più che “aiutare i poveri e i malati” bisognerebbe “combattere malattie e povertà”.
È evidente, in affermazioni come queste, l’influenza di un’impostazione ideologica secondo la quale ci si dovrebbe preoccupare soltanto di ciò che è universale, senza attardarsi sui bisogni concreti delle singole persone. È una posizione che pretende di mettere da parte i casi particolari, anche la vita in fondo, dal momento che la vita si manifesta sempre in qualche forma particolare.
Col tempo su Schumacher cominciarono a piovere critiche inaspettate ma sempre più insistenti, finché una volta un giornalista del New Statesman lo accusò pubblicamente e in maniera sprezzante di essere “un economista cattolico”. Per la verità l’accusa non era priva di fondamento perché Schumacher aveva cominciato già a manifestare apprezzamento per la dottrina cattolica e per la filosofia di San Tommaso d’Aquino.
In realtà, egli era un ateo profondamente convinto e il suo interesse per il tomismo, per esempio, era di carattere puramente scientifico. Perciò, in quel momento si indignò per il giudizio espresso da quel giornalista. Ma da allora, poco alla volta, cominciò ad approfondire sempre più la cultura cattolica, passando dal sommo poeta Dante Alighieri a Chesterton, aiutato in questo da un amico di famiglia di Chesterton stesso, Christopher Derrick, docente universitario e recensore di The Times Literary Supplement.
A un certo punto, come ha scritto Joseph Pearce, Schumacher «si accorse che le persone con cui era d’accordo erano tutte cattoliche». Un giorno, per giunta, di ritorno da un lungo viaggio in Tanzania, trovò sua moglie che in sua assenza aveva preso l’abitudine di andare a messa con regolarità in una chiesa cattolica. Come se non bastasse, anche sua figlia poco tempo dopo gli rivelò di voler seguire lo stesso percorso religioso della moglie. In un primo momento Schumacher reagì aspramente, ma quando la figlia gli comunicò che sarebbe stata ricevuta nella Chiesa cattolica, le scrisse un affettuoso biglietto di auguri e di “piena approvazione”. Rimase disarmato quando poi la ragazza gli disse: non vedi che dicono di te che sei un cattolico, perché non lo diventi davvero?
È proprio vero che la famiglia è un ambito privilegiato della trasmissione della fede. Schumacher cominciò a frequentare la parrocchia cattolica accompagnando la moglie e la figlia; poi, col parroco locale, padre Scarborough, iniziò un rapporto di grande amicizia. Come ricorda sempre Pearce, l’affetto di Schumacher per questo sacerdote cresceva di giorno in giorno. E sulla semplicità di questo affetto sbocciò la sua imprevedibile conversione.
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