Duecento pagine a strisce, dove don Camillo e Peppone sono ritratti a china e parlano con le nuvolette. Una storia in sedici episodi rimontati apposta “per tabulas”, con rigore, nella loro letteraria originalità. Perché l’umorismo è una cosa seria e quindi Guareschi va preso così com’è, senza tagli nè censure. È il senso dell’operazione “film a fumetti” che gli editori milanesi di ReNoir Comics hanno intrapreso per rilanciare gli eroi della Bassa padana in versione graphic novel nel rispetto delle sceneggiature firmate dallo scrittore di Fontanelle di Roccabianca (ma una serie sui racconti è già in pista dal 2010, con diffusione europea e in Corea del Sud).
Dopo l’esordio con Don Camillo, uscito nel 2018, ecco il secondo volume della collana cinematografica, Il ritorno di don Camillo, che riprende il sequel del ’53 come l’avrebbe voluto l’autore delle novelle, cioè con un copione ripulito dalle glosse altrui e senza le “pecette” censorie di padre Fèlix Morlion, l’allora consulente del Vaticano per il cinema che vigilava sull’ortodossia del “Crocifisso che parla” e sulle scene più esposte alle critiche dei comunisti.
Nelle “strip” il bianco e nero ovviamente è rimasto ma i volti del parroco e del sindaco del borgo emiliano non sono più quelli che il grande schermo ci ha abituato a riconoscere nei cinque film (più uno incompiuto) della celebre saga del “Mondo piccolo” apprezzata anche in America. D’altra parte, si sa, a Giovannino non piaceva Fernandel nel ruolo del parroco. Con quella «faccia da cavallo» e il corpo non certo robusto, diceva Guareschi «non assomiglia affatto al pretone d’assalto» che lui aveva creato per i suoi racconti intrisi di fede, politica e umanità.
Un’opinione, quella su Fernandel, che lo scrittore mutò presto in ammirazione avendone constatato l’immensa bravura sul set e il perfetto affiatamento con il suo antagonista, interpretato da uno splendido Gino Cervi. «Don Camillo e Peppone li abbiamo rappresentati entrambi con il volto di Guareschi – spiega lo sceneggiatore del fumetto, Davide Barzi, un maestro del genere, che ha inventato storie per Dylan Dog, Nathan Never e per la serie dedicata a padre Brown – il prete ha la faccia di Giovannino da giovane, senza baffi, mentre il sindaco Giuseppe Bottazzi è Giovannino più adulto con i folti mustacchi e il fazzoletto rosso al collo, come appare nelle foto di scena del primo Don Camillo, perché fu proprio lui a interpretarlo (maldestramente) in un paio di ciak prima che fosse chiamato Cervi. Abbiamo deciso così – precisa Barzi – perché lo stesso Guareschi disse più di una volta che questi personaggi sono due aspetti della sua anima».
L’ambientazione, inoltre, non è più quella – a noi cara – di Brescello, il comune tra Parma e Reggio nell’Emilia che fu scelto da Duvivier, ma di un generico borgo padano, Ponteratto, sbocciato dalla fantasia dell’autore che in verità aveva pensato per i racconti alla sua Roccabianca: ma si tratta pur sempre di «quella striscia piatta di terra grassa distesa lungo la riva destra del Po fra Piacenza e Guastalla» dove non mancano la piazza con la chiesa e il municipio, la stazione e la casa del Popolo.
Ma l’autore del Diario clandestino, temeva soprattutto – e a ragione – che prestando la sua opera letteraria al cinema se ne riducesse il significato, che le storie, insomma, venissero stravolte in favolette. Cosa che in parte avvenne. Perciò la sua voce critica nei confronti dei produttori Angelo Rizzoli e Peppino Amato, del regista Duvivier e degli altri direttori dei film ispirati alle sue novelle si fece sentire con infuocate lettere e ammonimenti sul campo, non sempre ascoltati, però. Ecco perché, è stato «un faticoso lavoro di ricostruzione dello “script”».
«Abbiamo voluto levare – spiega Barzi – le censure preventive e quei passaggi della sceneggiatura nella stesura di René Barjavel che Guareschi non voleva nel film, e sostituire le scene e i dialoghi inseriti da Duvivier che non gli piacevano. Tagli e montaggio sono stati realizzati come li avrebbe voluti lui, usando la tecnica del “writer’s cut”».
All’opera grafica hanno contribuito ben tredici illustratori. Un lavoro che sarebbe piaciuto senz’altro a Guareschi, disegnatore satirico creativo e sperimentatore, formatosi al “Il Bertoldo” di Cesare Zavattini dove lavorò come capo redattore anche a fianco di Walter Molino («maestro inarrivabile») e di certo Giovannino avrebbe gradito rivedere il suo Don Camillo illustrato a fumetti, come lui stesso aveva voluto, a puntate, sulla rivista Il Candido nel 1946.
Nel libro edito da ReNoir Comics si vede il prevosto andare in esilio in una sperduta parrocchia di montagna, con l’amato crocefisso parlante e si possono leggere, legati tra loro con raccordi scritti “ad hoc”, anche gli episodi dell’alluvione del Po, del ritorno in paese dell’ex fascista travestito da indiano e dell’incontro di boxe nella Casa del popolo.
Ma ci sono pure scene mai viste prima, sempre puntigliosamente riprese dai racconti e dagli appunti dell’autore, questa volta con la supervisione del figlio Alberto che ha messo a disposizione l’archivio di famiglia custodito nella casa di Roncole Verdi.
«Non si tratta della semplice trasposizione del film che abbiamo visto sul grande schermo, ma di qualcosa di più sostanzioso» aggiunge Barzi. Il volume si chiude infatti con vasto dossier sulla complicata lavorazione del lungometraggio e comprende un ricco repertorio di foto, bozzetti e documenti d’epoca.
La copertina de Il ritorno di don Camillo – ReNoir Comics
Di Fulvio Fulvi da Avvenire di sabato 16 aprile 2022
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