Democrazia al bivio, tra partecipazione e disimpegno

Alla vigilia di ogni "competizione elettorale", espressione che tradisce il senso di una lotta piuttosto che di un civile confronto per la costruzione del bene comune, torna la domanda sulle ragioni che spingono a scegliere la partecipazione al voto piuttosto che la protesta individuale del non voto.

Presentando il tema della 50° Settimana sociale dei cattolici in Italia che si svolgerà dal 3 al 7 luglio 2024 a Trieste, mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania e presidente del Comitato organizzatore, ha citato un articolo pubblicato sulla Rivista del Clero italiano a firma di Marc Lazar, professore universitario di Storia e Sociologia politica all’Institut d’études politiques di Parigi, che studia da anni lo sviluppo della democrazia nei paesi occidentali.

Le ricerche dello studioso d’oltralpe si sono concentrate in particolare sulla crisi dei sistemi democratici e sulle dinamiche sociali ad essa collegate: guardato da un’altra prospettiva il tema si presta ad essere declinato in positivo, così da essere messo al centro dei lavori della prossima Settimana sociale che si propone per l’appunto di tornare “Al cuore della democrazia” riscoprendo il valore del verbo partecipare.

Il progressivo calo di partecipazione alle consultazioni elettorali è di solito interpretato come una conseguenza, sebbene non la sola, di quella “stanchezza democratica” riscontrabile in gran parte dei paesi europei con Francia ed Italia in testa.

La permanenza di forti diseguaglianze sociali, l’aumento delle povertà, l’occupazione in calo o sempre più spesso a rischio inducono a ritenere che la democrazia non sia più in grado, almeno nelle forme rappresentative attuali, di garantire risposte ai problemi della vita sociale.

In un saggio del 2018 il già citato Marc Lazar descriveva la metamorfosi delle democrazie in popolocrazia, espressione che fa riferimento allo sviluppo di movimenti politici che pretendono di incarnare il popolo sovrano denunciando le élite al potere, partiti ed istituzioni, per poi consegnare la guida del popolo al leader di turno.

C’è chi fa notare che, da questo punto di vista, non sembrano esserci differenze tra movimenti di destra e di sinistra: la volontà popolare, tanto esaltata ad ogni elezione, rischia di risolversi in una commedia (“democrazia recitativa”) dove ognuno è chiamato a recitare una parte il cui copione sarà riproposto identico alla tornata successiva.

Ma allora che senso ha la parola partecipazione? Dove trae origine? Quali ragioni la giustificano?

Per la Dottrina sociale della Chiesa la politica, quale forma più compiuta di cultura, non può che trattenere come preoccupazione fondamentale l’uomo: “l’uomo integrale, l’uomo tutto intero, in tutta la verità della sua soggettività spirituale e corporale” (Giovanni Paolo II Allocuzione all’Unesco 2 giugno 1980).

Se la responsabilità nella costruzione del bene comune, compito primario della politica, fosse appannaggio esclusivo di chi si candida a governare, verrebbe negato il ruolo della società civile, ricca di quelle comunità intermedie (associazioni, imprese, cooperative, enti del terzo settore) che sono centri di vita e di azione sociale dove si gioca la libertà e la creatività delle persone.

Ogni persona è messa in azione, coscientemente o incoscientemente, da alcune esigenze elementari che costituiscono il tessuto di cui ogni uomo è fatto: esigenza di felicità, di verità, di giustizia.

Sono queste esigenze che guidano l’espressione personale e sociale dell’uomo: ogni persona è così sollecitata ad uscire dalla propria individualità, sempre alla mercè del potere, per entrare a far parte di un popolo in cui ognuno ha un ruolo insostituibile da giocare. 

Si scopre allora che “avere a cuore il proprio bene” significa “avere a cuore il bene dell’altro”.

E’ da qui che nasce la cultura della responsabilità e della partecipazione, dimensione irrinunciabile per ogni cristiano.

Ce l’ha ricordato Mons. Salvatore Ligorio, amministratore della Diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo nell’ultimo Messaggio pasquale scritto prima di passare l’incarico al suo successore, mons. Davide Carbonaro: “La Resurrezione di Gesù ha anche un suo risvolto umano e sociale, perché come dice san Giovanni “chi non ama il fratello che vede non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,21). E amare il fratello significa anche operare per la sua promozione umana.

Ha poi aggiunto: “Siamo alla vigilia di una importante scadenza elettorale che interpella tutti e sento di dover rivolgere un caldo invito a non disertare la partecipazione alle urne e allo stesso tempo a pretendere dai candidati risposte concrete, veritiere, credibili e fattibili ai bisogni della gente”.

Questo invito alla partecipazione al voto non può essere scambiato, in mala fede, come appello a sostenere una parte politica a danno di un’altra, considerando il giudizio, ampiamente condiviso dai Vescovi italiani, circa la presenza dei cattolici in politica.

Basterà ascoltare le parole di mons. Luigi Renna nella recente intervista al nostro giornale: “I cattolici non sono presenti in un unico schieramento politico ma sono presenti ovunque. Sono presenti soprattutto nella società civile e devono far sentire sempre più il peso di un pensiero che non delega la soluzione dei problemi”.

Scegliere la via del disimpegno, giustificandola come forma di protesta, ultimamente velleitaria e priva di incidenza, significa condannarsi all’impotenza e alla negazione del primato della persona, la cui coscienza è irriducibile ad ogni potere.

Da tale rischio ci ha messo in guardia il filosofo ceco Václav Bělohradský che nell’86 riportava queste osservazioni sulla rivista L’Altra Europa: “Così potremmo sintetizzare l’essenza di ciò che ci minaccia: gli Stati si programmano i cittadini, le industrie i consumatori, le case editrici i lettori ecc. Tutta la società, un po’ alla volta, diviene qualcosa che lo Stato si produce”.

La democrazia rappresenta un argine a questo rischio ed è anche la forma più valida di governo (vedasi l’articolo di Logos a firma di Paolo Tritto). Questa affermazione discende da due ragioni: la democrazia assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche, garantendo la possibilità di eleggere i propri governanti; al tempo stesso assicura la possibilità di sostituire i governanti in modo pacifico.

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Erasmo Bitetti

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