Dellabona: ora parte la sfida al cancro. La rivoluzione dei vaccini Rna

L’immunologo: “40 gli studi avanzati. C’è già il primo tumore che risponde, il melanoma. Possiamo usarli per attivare o inibire la risposta immunitaria. Era impensabile fino a 4 o 5 anni fa”.

“I vaccini Rna messaggero hanno funzionato contro il Covid-19, ora quest’arma è puntata contro il cancro. 40 studi internazionali sono in fase clinica 1 e 2, e c’è già un tumore che mostra una risposta efficace, il melanoma. Lo dico a bassa voce, ma la sensazione è di essere molto vicini a una svolta”. L’immunologo Paolo Dellabona, direttore della divisione di Immunologia, trapianti e malattie infettive dell’Irccs San Raffaele di Milano, vive da decenni nei laboratori: Torino, Losanna, Strasburgo, poi Milano. Risponde alle domande mentre il suo sguardo è catturato dalle immagini 3D che gli arrivano dai vetrini di un microscopio a risoluzione 8K. Sono aggeggi dalla tecnologia raffinatissima – oltre che costosissima – che sembrano dettargli, negli ultimi mesi, molte conferme.

Si aspettava questa facilità nel “cambiamento di rotta” dei vaccini?

Mi sarei meravigliato del contrario. Le piattaforme vaccinali basate sull’Rna messaggero nascono per scopi diversi dal Covid-19. Moderna è stata creata per utilizzare l’Rna sulle malattie genetiche, BioNTech per studiare vaccini contro il cancro: i co-fondatori, i coniugi di origine turca Ugur Sahin e Ozlem Tureci, sono famosi ricercatori nell’immunologia dei tumori. Essendo, quella dell’Rna, una piattaforma duttile e malleabile, in pochi mesi è stata adattata al virus Sars-CoV-2.

Ci sono già dei risultati?

Sì, diversi. Oltre ai buoni test sperimentali sul melanoma, BioNTech ha scoperto che, modificando la struttura dell’Rna, si può non solo attivare ma anche inibire la risposta immunitaria. E questa possibilità potrebbe servire, per esempio, dopo un trapianto, per offrire più tolleranza rispetto al rigetto, bloccando quelle risposte autoimmuni che si generano nel paziente. Insomma, potremmo scatenare una risposta immunitaria ma anche inibirla. Sono opportunità insperate anche fino a 4 o 5 anni fa.

Quali sono gli obiettivi dei vaccini anticancro?

Gli m-Rna sono diretti per ora contro i tumori per i quali l’immunoterapia, attivata con gli anticorpi monoclonali, ha funzionato. L’idea è di non usare i vaccini da soli ma di utilizzarli in modo complementare per supportare la risposta immunitaria e aumentare la percentuale di pazienti che ne beneficiano.

Quanti pazienti traggono vantaggio oggi dagli anticorpi monoclonali?

In percentuale, fino al 30-40% dei pazienti oncologici, dipende dal tumore.

E se si aggiungesse un vaccino efficace?

Con il vaccino si può immaginare di spingere questa risposta portandola al 70-80%.

Per quali tumori?

Il melanoma, come detto, ma anche il carcinoma polmonare, i tumori testa-collo, il carcinoma mammario triplo negativo, che è molto aggressivo e che mostra risposte interessanti agli anticorpi. Sono studi lunghi ma che porteranno a migliorare il successo terapeutico.

Sono solo speranze o c’è di più?

L’efficacia e la potenza di questi vaccini sono già palpabili nelle malattie infettive. Quindi sono più di una speranza. L’utilizzo primario dei farmaci Rna è con i vaccini, ma l’uso può essere allargato.

Cioè?

Un altro approccio di immunoterapia, questa volta cellulare, è basato sulle famose Car-T (una terapia che preleva le cellule del paziente con cancro, reingegnerizzandole in laboratorio per metterle in grado di uccidere il tumore, ndr), usate per i tumori ematologici. L’idea è: invece di operare una modifica geneticamente stabile, si pensa di fare una modifica in modo transitorio, utilizzando gli m-Rna e attenuando la tossicità delle Car-T.

E’ ipotizzabile un simile trattamento anche nei tumori solidi?

Dalle ultime ricerche emerge un’efficacia anche nei tumori solidi. Occorre però una manipolazione genetica dei linfociti T (un tipo di globuli bianchi attivi nella risposta immunitaria, ndr) sempre più complessa.

Sbaglio o i linfociti T ci regalano sempre sorprese?

I linfociti T sono studiati da quasi un secolo, abbiamo conoscenze molecolari molto raffinate. Ma si continuiamo a scoprire cose nuove su queste cellule, soprattutto sulla loro adattabilità nelle varie situazioni fisiologiche e patologiche.

Quali altri novità emergono dalla fucina BioNTech?

Stanno provando a iniettare Rna messaggeri direttamente nel sito tumorale per produrre molecole immunostimolatorie. Queste ultime sbloccano il sistema immunitario e innescano un circolo virtuoso a cascata, rendendo il tumore suscettibile alla risposta dei vaccini Rna e all’immunoterapia con gli anticorpi. Un’altra possibilità è veicolare con mRna la produzione degli anticorpi che attivano il sistema immunitario. Invece di iniettare l’anticorpo sotto forma di proteina, viene iniettato nell’Rna messaggero che produce quello stesso anticorpo. Tutto sta nel saper dosare durata e localizzazione della produzione del farmaco. L’Rna messaggero permette di far questo.

La vittoria sul cancro nascerà dalla combinazione di più terapie?

Prendiamo il melanoma, che è uno dei tumori coperto adesso da una quantità di linee terapeutiche efficaci. Che sono basate in buona parte sull’immunoterapia ma anche su terapie farmacologiche con inibitori specifici. L’immunoterapia agisce dall’esterno, i nuovi inibitori direttamente sul tumore: dalla combinazione di questi due approcci si arriva al successo terapeutico. E così oggi la maggior parte dei pazienti con melanoma ha una prospettiva terapeutica a lungo termine estremamente importante, può convivere con una malattia cronicizzata. I tumori mortali sono quelli metastatici, non quelli primari, che in gran parte possono essere eliminati dalla chirurgia. Il problema è curare le metastasi. E’ difficile guarirle ma i nuovi approcci combinati, con una forte base immunologica, stanno dando prospettive di sopravvivenza a lungo e lunghissimo termine.

La strategia contro il melanoma può essere usata per altri tipi di cancro?

Direi per tutti i tumori trattati con anticorpi monoclonali: il tumore polmonare non a piccole cellule, i tumori testa-collo, quelli del tratto urinario, ma in generale si sta testando per tutte le neoplasie. Inoltre, per la prima volta è stata approvata una immunoterapia trasversale per i tumori che hanno particolari alterazioni genomiche, che rappresentano il 10% del totale. E’ un altro passo avanti determinante per la medicina.

E per chi non risponde all’immunoterapia?

Negli altri casi si sta sperimentando la combinazione della stessa immunoterapia con la chemio e la radioterapia, e anche con i vaccini. L’idea è di andare adesso su tutti i tumori colpendo con terapie combinate. Questo è un capitolo enorme, che investe la ricerca mondiale. Ci sono più di 1.000 studi clinici in corso, che sarà complicato persino analizzare. Alcuni studi stanno mostrando soluzioni promettenti. E’ un lungo e dispendioso percorso che non dobbiamo interrompere, pur considerando i tanti fallimenti che ci saranno, come accade sempre prima delle grandi scoperte.

A cosa porteranno questi studi?

Tutto questo lavoro, per il quale noi del San Raffaele siamo in prima linea, ci sta portando a capire perché, somministrando lo stesso farmaco, un paziente risponde e un altro no. Vogliamo adattare terapie personalizzate alle caratteristiche genetiche e genomiche di ogni malato. Oggi siamo molto più vicini a sapere come fare a trattare ciascun paziente con la combinazione giusta di farmaci.

Che ruolo ha l’Italia in questi studi?

Siamo una nazione leader nel campo dell’immunologia e dell’immunoterapia dei tumori. Cito due tra i padri fondatori di queste discipline: Giorgio Parmiani, scomparso recentemente, e Guido Forni. Tutti e due hanno svelato meccanismi immunologici fondamentali. Facendo scuola nel mondo. Per continuare a far questo occorre sostenere ricerca e sviluppo, e farlo con più convinzione, perché l’alto potenziale del nostro Paese non corrisponde a quanto sviluppiamo.

Di Vito Salinaro dal sito di Avvenire di mercoledì 29 settembre 2021

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