L’invito “Vieni e vedi”, con cui papa Francesco introduce e titola il Messaggio per la 55ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, è l’invito di Filippo rivolto a Natanaele quando, dopo avergli annunciato l’incontro con il Messia che attendevano, si sente rispondere con scetticismo: «Da Nazareth può venire qualcosa di buono?». Dunque il possibile incontro più felice per la vita di un uomo nasce preceduto da un pensiero di sfiducia. Arroccato sulla base di un pregiudizio, di una valutazione che prescinde dall’incontro in sé, ma si basa sulla classificazione preconcetta di un luogo, di una città, di una storia. Ecco: alzi la mano chi non è mai incorso a un facile pregiudizio siffatto. Anche nelle nostre calde e accoglienti comunità cattoliche, questo schema di partenza ci è proprio. Ed è un male: lo capiamo subito. Perché non favorisce gli incontri, il dialogo, la costruzione del bene comune, la cooperazione nell’interesse generale. Addirittura, nel peggiore dei casi, è spesso foriero di scontri e conflitti.
E invece Filippo, e il papa con lui, invita a… darsi una mossa. In altre parole, a smuovere con coraggio quella facile e comoda posizione che si costruisce chi non ha voglia di mettersi in discussione. Dietro gli schemi dei pregiudizi (ne abbiamo spesso più di uno) si nascondono gli scudi di chi a comunicare con l’altro non ci tiene affatto.
E invece il papa spinge non solo ad andare ma, persino, a “consumare le suole delle scarpe”. Si dice così, nel mondo giornalistico, quando non erano il web e i cellulari a dominare, ma taccuino e macchina fotografica, microfono per registrare e occhi per vedere. E nascevano così i servizi giornalistici migliori. Andando di persona e – appunto – consumando le suole…
Ma – al di là dell’appello che il giornalista moderno coglie, non fosse altro per l’autorevolezza di chi davvero non può essere tacciato per uno “che non va” sul posto, anzi… – penso che l’invito sia rivolto un po’ a tutta la comunità dei fedeli e ai suoi componenti.
Per tre ragioni. “Consumare le scarpe”, in sostanza, vuol dire: primo, andare, ritornare, e poi riandare ancora. Non accontentarsi delle prime occhiate distratte e superficiali per tracciare un giudizio, ma entrare, finché è possibile nel cuore delle storie, soprattutto quelle più delicate e sofferte. Secondo: andare lontani. Svoltare dietro l’angolo di casa è troppo comodo, facile, scontato; nessun luogo, oggi, è veramente lontano (distanziamento forzato a parte), e nessun popolo o persona possono esserci indifferenti. E poi, infine, le scarpe consumate, spesso, sono anche scomode. Ma forse il Maestro ci ha insegnato vie comode e tranquille?
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