Diritti umani, la scoperta: le “ispezioni” al confine per controllare gli abusi della polizia croata sono “annunciate”. I migranti (soprattutto afghani) ricacciati in Bosnia.
Il ronzio dei droni radiocontrollati dalla polizia croata accompagna un bel pezzo di cammino lungo i sentieri sulla frontiera. «Ci catturano sempre, anche di notte al buio», racconta un afghano dolorante, giunto al respingimento numero 54. Quello che non sa è che gli aerei utilizzati dall’Europa per segnalare i migranti ai guardacoste libici adesso vengono impiegati anche su queste frontiere. Dove, si scopre adesso, perfino le «ispezioni indipendenti» per individuare gli abusi della polizia croata sono concordate in anticipo con le autorità.
Uno dei tracciati nei Balcani del velivolo Frontex “Osprey 1” – Sergio Scandura / Radio Radicale
Come nel Mediterraneo gli equipaggi di Frontex danno la caccia ai migranti sui barconi da riconsegnare agli aguzzini dei campi di prigionia, nei Balcani puntano i teleobiettivi tra costoni, dirupi, foreste fittissime, segnalando poi alle squadre croate sul terreno la posizione dei profughi. La conferma arriva dal tracciato di una nostra vecchia conoscenza. È “Osprey 1”, l’aereo di Frontex tante volte individuato sulla scena di diversi naufragi e che per un po’ aveva volato ordinando alle piattaforme pubbliche che monitorano i voli di oscurarne la rotta. E’ riapparso negli ultimi tempi mentre perlustra l’intero confine tra Croazia e Bosnia, sempre tenendosi all’interno dello spazio aereo Ue. Il tracciato, miglio per miglio, è stato scoperto e reso pubblico da Sergio Scandura, di Radio Radicale. Ancora una volta l’agenzia di Bruxelles adopera le sue armi non per soccorrere i profughi e verificare che possano aver diritto alla protezione umanitaria. L’intero arsenale viene dispiegato per una guerra non dichiarata agli esseri umani, pur sapendo a quale trattamento andranno incontro se respinti, in Croazia come in Libia.
«Ho detto alla polizia che volevo chiedere asilo. Vengo dall’Afghanistan e non voglio tornare nel paese dei taliban», racconta un capofamiglia rispedito indietro in malo modo, nonostante un neonato tra le braccia della madre e due bambini aggrappati al padre. «Non c’è modo per entrare legalmente in Europa», si lamenta mentre maledice il maltempo che ha bagnato la legna e stanotte, nella radura di Velika Kladusa, non ci sarà neanche un fuoco da accendere.
Ademir Veladžić
Sul terreno, intanto, le ruspe messe in campo dal governo bosniaco hanno spazzato via gli accampamenti informali dove le famiglie attendono il momento buono per tentare l’attraversamento. Le pale dei caterpillar fanno volare per aria le tende, mentre le pesanti ruote sfasciano quel che rimane. Avviene sotto lo sguardo dei bambini. Qualche madre,come si vede nel video di Ademir Veladžić, corre a salvare almeno le scarpe. Altri, a gruppetti, si avviano subito attraverso i campi di granoturco, per nascondersi ed esaminare la possibilità di una partenza anticipata verso la Croazia. Molti, esausti e disperati, vengono riportati indietro, in un accampamento del governo a Sarajevo, 400 chilometri più a sud. «Abbiamo perso anche questa volta – ci dice una ragazza mentre tenta di salvare una tutina rosa sporca di fango –. Ritenteremo in primavera». Il marito è sconsolato, avrebbe voluto trascorrere la stagione più brutta in Europa, in un luogo caldo per la sua bambina. Gli toccherà una misera tenda e i bagni in comune.
Nello Scavo
A Bihac l’edificio per famiglie straniere gestito grazie all’Oim ha fatto enormi passi avanti. L’italiana Laura Lungarotti, a capo dell’agenzia Onu per i migranti in Bosnia, è riuscita dare vita nuova a una struttura prima fatiscente che ora offre un tetto, cibo caldo e anche attività di istruzione. La convivenza di più gruppi familiari nello stesso stanzone non è sempre facile. L’affluenza in inverno aumenterà, ma è difficile offrire assistenza stabile quando non c’è alcuna possibilità di chiedere asilo all’Unione Europea. «Le famiglie sanno che ad attenderle c’è solo il “game” e il muro della polizia croata, ma non si arrendono e quando se ne vanno da qui – spiega un operatore sotto lo sguardo vigile di un poliziotto bosniaco che intende e parla un ottimo italiano – è perché tentano il game».
Anche nel campo di Lipa, dove si attende l’apertura dei nuovi container nel quali potranno essere ospitati fino a se persone, ci sono segnali di miglioramento, tuttavia giudicati insufficienti dalla delegazione di europarlamentari socialdemocratici che nei giorni scorsi hanno svolto un sopralluogo. “Siamo lontani da uno standard accettabile soprattutto in relazione ai fondi stanziati. Continueremo a vigilare”, scrivono in una nota Pietro Bartolo, Elisabetta Gualmini, Alessandra Moretti e Pierfrancesco Majorino. “A gennaio avevamo visto il dramma della gente in mezzo alla neve. Ora la desolazione dell’incertezza: tra viaggi tentati e progetti d’accoglienza difficili – scrivono gli eurodeputati dem -. Nel campo sono ospitati centinaia di afghani e pakistani, ma mancano i servizi di base e quelli attivati probabilmente non saranno più sufficienti quando con l’avvicinarsi dell’inverno ci saranno i nuovi arrivi dei cittadini afghani in fuga dal loro Paese”.
Se la situazione non è perfino peggiore, molto lo si deve alla generosità di tanti donatori e a lavoro di organizzazioni come Ipsia-Acli, coordinati da Silvia Maraone che (come spiega nella videointervista) non si nasconde la preoccupazione per i prossimi mesi.
La barriera tra Ue e passi balcanici è fatta anche di menzogne di stato che cominciano a sfaldarsi. Le ispezioni sul confine croato, disposte per assicurarsi che non vi siano violazioni da parte degli agenti, sono in realtà una farsa. Mai, infatti, gli ispettori erano riusciti a trovare conferma dei maltrattamenti. Ora sappiamo il perché: le ispezioni vengono concordate in anticipo.
Ancora una volta sembra che il “sistema Libia” abbia fatto scuola. A Tripoli gli osservatori Onu possono ispezionare i centri di detenzione solo dopo aver ottenuto il permesso con molti giorni di anticipo rispetto alla data stabilita. E anche in Croazia viene apparecchiata una scenografia di comodo. La conferma arriva direttamente dalle autorità di Zagabria, con un documento clamoroso. Mentre il ministero dell’Interno ribadiva che il «meccanismo di sorveglianza è indipendente», un documento ufficiale afferma il contrario.
Rispondendo a una richiesta di accesso agli atti del “Centro studi per la pace” di Zagabria (Cms) il segretario di Stato Terezija Gras afferma che il «meccanismo di sorveglianza sul trattamento da parte degli agenti di polizia dei migranti irregolari e dei richiedenti protezione internazionale», avviene attraverso «visite annunciate al confine».
Di Nello Scavo, inviato a Zlopoljac (Bosnia – Erzegovina) dal sito di Avvenire di sabato 6 novembre 2021
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