Come sembra il nuovo Parlamento “giù al Sud”

L'ossimoro La Russa-Fontana, i due presidenti delle Camere espressione della stessa maggioranza ma che indicano due direzioni divergenti

Chissà che idea si sono fatti gli italiani del nuovo Parlamento, oltre al mantra della riduzione del numero dei parlamentari. Un provvedimento che vorrebbe andare nella direzione di un taglio della spesa pubblica e che presto rivelerà quale reale consistenza avrà sui conti pubblici. Siamo comunque davanti a una riduzione della spesa pubblica nell’ordine dello “zero virgola” e che poca cosa sarà perfino per il bilancio interno delle stesse Camere. Comunque, evidentemente, questa non è tra le principali questioni sul tappeto.

Per quella che è la realtà che è venuta a determinarsi a livello nazionale e internazionale, tante saranno le questioni che si porranno in maniera piuttosto urgente. Sarà in grado il Parlamento di farvi fronte? C’è a questo riguardo più di un legittimo dubbio, legato soprattutto a una legge elettorale che ha prodotto – bisogna dirlo – storture enormi. È sotto gli occhi di tutti come le liste elettorali sono state formate. Ci riferiamo, per la precisione, al colpo di mano con cui nei territori sono stati “paracadutati” candidati, poi risultati eletti, che non hanno nella maniera più assoluta alcun rapporto organico col territorio che sono chiamati a rappresentare in Parlamento. In altri tempi, sarebbe stata questa una ragione sufficiente per invocare una nuova legge elettorale e nuove elezioni. Ma, come si è detto, ci sono oggi questioni ancora più urgenti.

Per tutte queste ragioni e per queste palesi criticità è difficile dire cosa questo Parlamento possa rappresentare oggi per gli italiani. Per chi vive nelle regioni meridionali è chiara principalmente una cosa. È chiaro che questo Parlamento rappresenta un calderone nel quale convive tutto e il contrario di tutto. E non ci riferiamo alle naturali contrapposizioni tra maggioranza e opposizione. Quanto a contrapposte idee di nazione.

Lo abbiamo visto con l’elezione dei presidenti delle due Camere, La Russa e Fontana che, per chi guarda da “giù al Sud”, come si dice, è un ossimoro perfetto. Da un lato Ignazio La Russa che nel discorso di insediamento propone l’istituzione della Festa per la nascita del Regno d’Italia, evento che realizzò l’unificazione nazionale; dall’altro la Lega che mette a capo della Camera dei deputati Lorenzo Fontana, la testa d’ariete degli autonomisti. Il presidente Fontana, nel suo discorso di insediamento ha invocato «le autonomie previste dalla Costituzione. L’omologazione è uno strumento dei totalitarismi». Una frase che ci fa capire che il Presidente Fontana ha letto la Costituzione al rovescio, anteponendo il Titolo Quinto sull’autonomia delle Regioni all’articolo 5 secondo il quale la Repubblica è “una e indivisibile”.

Al Presidente Fontana vorremmo porre una semplice domanda: ci spieghi la differenza lessicale tra omologazione, per lui tanto pericolosa da vederci addirittura una minaccia totalitaria, e integrazione. È una domanda legittima. Perché da noi “giù al Sud” non si riesce a capire come si possa conciliare il processo di integrazione, che è un caposaldo dell’Unione europea, con l’autonomia differenziata delle Regioni. Un’autonomia che gli scaramucciatori della Lega in questi anni hanno di nascosto – evviva la trasparenza! – portato avanti nelle riunioni a porte chiuse delle Camere. Fontana dice oggi che «la ricchezza dell’Italia risiede nella sua diversità». Quale sarebbe questa diversità? La diversità tra un’Italia di serie A e un’Italia di serie B? E di quale ricchezza si parla? Della ricchezza del Nord, probabilmente; perché “giù al Sud” di questa ricchezza non se ne vede l’ombra.

Se veramente questo processo di autonomia differenziata fosse stata una cosa così desiderabile, non avrebbero tali scaramucciatori agito da carbonari. E comunque, quello che costoro si sono guardati bene dal far sapere all’opinione pubblica, lo ha rivelato recentemente il quotidiano Avvenire. In soldoni, scrive Roberto Petrini su questo giornale, si tratta di ciò: «nel dettaglio Lazio, Campania e Calabria dovrebbero cedere ogni anno, e per sempre, 2,7 miliardi a Emilia Romagna, Lombardia e Veneto». Nel suddetto “dettaglio” non sono citate piccole regioni come la Basilicata. Perché nel frattempo, con ogni probabilità, saranno state dichiarate insolventi.

Giriamo ora al Presidente La Russa la stessa domanda che abbiamo rivolto a Fontana per sapere se la proposta di istituire una Festa del Regno d’Italia sia cosa seria. Non tanto nelle sue intenzioni rispetto alle quali non abbiamo ragione di dubitare. Ma rispetto alla realtà dei fatti. Le conseguenze di un’autonomia differenziata come è concepita dal Presidente Fontana potrebbe provocare una profonda, insanabile e pericolosissima frattura nel paese. Una festa come quella proposta da La Russa sarebbe perciò soltanto folklore, sarebbe la celebrazione nostalgica di un’unità nazionale che nei fatti non ci sarebbe più. Perché andare a parlare di unità nazionale “giù al Sud” sarebbe come andare a parlare di corda a casa dell’impiccato. Ci scusi il Presidente La Russa per il crudo paragone. Inoltre, che senso avrebbe dichiararsi patrioti, come dichiara il suo partito, in una patria divisa?

Lino Patruno sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 21 ottobre invita la società civile meridionale a mobilitarsi contro questa che definisce “una polpetta avvelenata”, a mobilitarsi «seguendo la Chiesa che lo ha già fatto da tempo». Perché, spiega Patruno, «con l’autonomia differenziata e le sue conseguenze, il Sud rischia di vedere ancora scendere il livello dei suoi diritti sociali già tutti al di sotto del minimo costituzionale. Sanità, trasporti, scuola, università, asili nido, assistenza agli anziani e ai disabili. Insomma rischia di stare peggio. Fino al punto che almeno uno dei suoi ospedali e una delle sue università potrebbero chiudere ogni mese per mancanza di mezzi. E vedere anche le sue infrastrutture scendere ancora da quel 50 per cento in meno rispetto al Centro Nord».

Montecitorio
Foto palazzochigi

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Paolo Tritto

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