Come è bello innamorarsi a Potenza

La storia d’amore di Giovannino Guareschi ed Ennia Pallini, alias “la Margherita”.

Alberto Guareschi ha pubblicato recentemente per BUR-Rizzoli “Caro Nino, ti scrivo”, una raccolta delle lettere inviate a Giovannino Guareschi – “Nino” lo chiamavano a casa – o da lui spedite nei tredici mesi in cui fu detenuto nel carcere di San Francesco a Parma, dove scontava una condanna per diffamazione a mezzo stampa.

Quello che accadde in tribunale durante il relativo processo è cosa nota, come note sono le polemiche che tale condanna suscitò per l’eccessiva durezza della pena e per la discutibile trasparenza – come si direbbe oggi – nelle fasi del dibattimento. Tutto quello che avvenne in quelle concitate circostanze, come si diceva, è cosa nota. Meno noto, per ovvi motivi, è ciò che in quei lunghi mesi avveniva dentro al carcere di Parma e nei pensieri del carcerato.

Oggi, con la pubblicazione di Alberto, figlio di Giovannino Guareschi, viene fuori il contenuto della corrispondenza epistolare dell’autore delle storie di don Camillo e Peppone. Non tutto ovviamente. Una buona parte del libro è occupato dalle lettere che Giovannino e la moglie Ennia Pallini, alias “Margherita” – come viene ribattezzata nella finzione dei racconti guareschiani – si scambiavano quasi giornalmente. Si tratta dunque di qualche centinaio di lettere. Ma la corrispondenza pervenuta da ogni parte del mondo ha in totale una consistenza davvero imponente, con circa 27mila tra lettere e cartoline.

Tutte sarebbero rimaste lì, nell’impossibilità materiale di sfogliarle tutte. Ma la pandemia del Covid un bel giorno – si fa per dire – dilagò e costrinse il mondo intero a starsene chiusi in casa. Non fece eccezione, inevitabilmente, nemmeno Alberto Guareschi che si ritrovò nella fortunata situazione di avere a propria disposizione tutto quel tempo libero che fino a quel momento gli era mancato e che sarebbe stato necessario per aprire quei 232 pacchetti nei quali suo padre aveva sigillato tale materiale da destinare, come a lui piaceva, ai posteri.

Tra le tante curiosità che si possono leggere negli scritti selezionati da Alberto, ce n’è una che, riferendosi alla nostra regione, ha suscitato in noi un interesse particolare. Due cenni riportati nei saluti finali di due lettere scambiate tra marito e moglie, dove entrambi usano l’insolita formula “ti penso come ai tempi di Potenza”.

Poiché conosciamo bene la città di Potenza e trovando poco realistico attribuirle qualcosa di particolarmente romantico, siamo stati spinti a verificare presso lo stesso Alberto Guareschi cosa ci fosse di così romantico in quel misterioso saluto.

Illuminante è stata la risposta che ci ha dato Alberto: «Il periodo di Potenza per i miei è stato molto importante perché hanno scoperto di volersi molto bene…»

Suo padre Giovannino ha fatto il militare a Potenza. Questo si sa. Un po’ come si sa che Totò ha fatto il militare Cuneo. E se a Totò Cuneo poteva sembrare dall’altra parte del mondo, ancor più lontana appariva Potenza a Guareschi.

Per di più, Guareschi giunse a Potenza in un momento per lui particolarmente difficile. Scrive Oreste Del Buono, nel suo libro “Amici, Amici degli Amici, Maestri”: «Giovannino Guareschi a ventisei anni non aveva più potuto rinviare la prestazione del servizio militare perché non aveva dato abbastanza esami a giurisprudenza e si era trovato in viaggio per l’Accademia militare di Potenza».

Questo inconveniente provocherà purtroppo rovesci a catena: al Corriere Emiliano, dove Guareschi lavorava, approfitteranno dell’allontanamento per licenziarlo. In quel tempo, inutile dirlo, non vi erano molte delle garanzie sindacali che ci sono oggi. Il padrone della casa che aveva affittato non sarà meno cinico: vedendo in pericolo le entrate dell’affitto, non tardò a dargli lo sfratto. Senza un lavoro e senza una casa, Guareschi dovette cominciare a fare i conti con problemi economici abbastanza seri. Anche perché finire a Potenza significava veramente finire in una città tagliata fuori dal resto del mondo e dal mercato del lavoro.

Le premesse per farsi prendere dallo sconforto c’erano tutte e, tra l’altro, una caserma militare non è propriamente l’ambiente ideale per tirarti su, soprattutto quando sei giudicato – sono sempre parole di Oreste Del Buono – «il più scassato aspirante uscito dalle scuole addette all’istruzione degli ufficiali di complemento».

Invece, proprio qui capita qualcosa. Come ricordato, secondo Alberto Guareschi «il periodo di Potenza per i miei è stato molto importante perché hanno scoperto di volersi molto bene…».

Non si sa se Giovannino Guareschi ed Ennia Pallini si siano effettivamente innamorati passeggiando per le scomode strade di Potenza. Normalmente avviene che due persone si innamorano dopo essersi incontrati in un determinato posto, dove hanno scoperto di piacersi. Questo avviene normalmente, ma chi pensa questo non conosce veramente Guareschi per il quale tutte le cose che accadono non accadono come normalmente accadono.

Non sappiamo, si diceva, se Ennia abbia realmente raggiunto il suo Giovannino in quel di Potenza. A naso, però, siamo portati a escluderlo. E se fosse così, vuol dire che i due hanno scoperto di essere innamorati nel momento in cui sono stati costretti dalle circostanze alla lontananza. E ciò vuol dire anche qualcosa del grande potere dell’amore che è capace di rendere vivo e presente ciò che è fisicamente assente. Perciò, pur inseguiti dalla cattiva sorte e cacciati di casa, anche se si è fisicamente soli, non si è più soli. Diceva il grande teologo italotedesco Romano Guardini: «Nell’esperienza di un grande amore tutto ciò che accade diventa un avvenimento nel suo ambito».

Tutto cioè viene riportato e assume significato nell’ambito di questo amore. Anche la dura esperienza del carcere che vive Guareschi viene vissuta dentro la fioritura di un amore che ha il nome di una donna. Tante volte durante la prigionia, forse per rincuorare Ennia, la donna che che egli chiama “la vedova provvisoria”, Guareschi dice che «nella mia cella è sempre primavera».

Come nell’11 gennaio 1955, quando le scrive: «In un certo senso mi pare d’essere ancora allievo ufficiale alla scuola d’artiglieria di Potenza. Può darsi che, quando sarò “fuori”, mi sembrerà d’essere in prigione».

Come dev’essere bello innamorarsi a Potenza. Come dev’essere bello innamorarsi così. Dando all’amore il significato che ne dava Romano Guardini, quando parlava dell’amore come di un ambito in cui tutto avviene e che tutto contiene. Quest’ambito, nella storia d’amore di Giovannino ed Ennia, rimase sempre qualcosa che chiamarono Potenza. «Mio caro» gli scriveva Ennia il 21 giugno del ‘55, «io, sola, in ogni angolo e Potenza a tutto spiano… ma non ho trovato nulla, neanche una lettera profumata perché hai nascosto tutto!»

Ogni uomo dovrebbe amare così. E dovrebbe avere qualcosa di simile a Potenza, dove conservare gelosamente tutto ciò che si ama.

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Paolo Tritto

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