Caritas, più della metà dei poveri non riceve il Reddito di cittadinanza. Ma oggi serve “più che mai”

Secondo il VI Rapporto di Caritas italiana sulle Politiche contro la povertà dal Reddito di cittadinanza sono rimasti esclusi anche i nuovi poveri della pandemia, in particolare coppie giovani con figli, e ci sono criticità nei percorsi di inclusione lavorativa. Nonostante ciò, il Reddito va mantenuto e “riordinato”, soprattutto dopo l’impatto sociale della pandemia. L’articolata analisi del monitoraggio Caritas.

Più della metà delle persone in condizione di povertà – il 56% – non usufruisce del Reddito di cittadinanza. Lo percepiscono invece il 44% dei nuclei poveri, soprattutto inoccupati, persone senza un lavoro e che non percepiscono sussidi di disoccupazione o altre forme di sostegno al reddito. Dal Reddito sono invece rimasti esclusi i nuovi poveri della pandemia, in particolare coppie giovani con figli, e ci sono criticità nei percorsi di inclusione lavorativa. Nonostante ciò, il Reddito va mantenuto e “riordinato”. Ci sono proposte concrete su come fare per raggiungere tutti e renderlo più efficace. “Superata l’emergenza, contro la povertà vanno predisposte risposte strutturali adatte alla società attuale”. E’ quanto emerge dal VI Rapporto sulle Politiche contro la povertà di Caritas italiana, che ha effettuato un articolato monitoraggio sul Reddito di cittadinanza, con focus group e consigli pratici su come riformulare questa misura introdotta nel 2019 per contrastare la povertà. Secondo i dati governativi circa 3,7 milioni di cittadini, di cui 1 milione e 350 mila bambini e ragazzi e 450 mila persone con disabilità, stanno usufruendo del Reddito di cittadinanza. La cifra stanziata nel 2020 è oltre 8 miliardi di euro. Se ha funzionato sulle fasce di reddito molto basse ci sono però degli esclusi:  secondo il rapporto Caritas si tratta dei “nuovi profili della povertà che hanno risentito in misura maggiore della pandemia”, ossia “quei nuclei caratterizzati da un’età giovane, la presenza di figli minori, la presenza di un reddito, seppur minimo”. Perciò Caritas propone “un’Agenda” per il riordino del Reddito di cittadinanza. Oggi la presentazione a Roma con il ministro del Lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando e Pasquale Tridico, presidente Inps.

“Oggi più che mai ne abbiamo bisogno”. “Una misura come quella del Reddito di cittadinanza va assolutamente tenuta e però va anche riordinata”,  afferma don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, durante la presentazione a Roma del rapporto: “Siamo qui per ribadire con forza che

il nostro Paese ha bisogno di una misura di contrasto alla povertà, oggi più che mai, soprattutto dopo il disastro economico della pandemia.

Ci sono migliaia di persone nel nostro Paese che non possono fare a meno di un sostegno economico, che non possono lavorare o che, pur lavorando, restano inchiodati a situazioni di profondo disagio economico”.

L’impatto della pandemia. L’incidenza massima dei nuclei che hanno avuto accesso al Reddito di cittadinanza nel 2020, in piena pandemia, riguarda la classe di redditi compresi tra 1.000 e 1.299 euro. Questo dato “può essere letto come un primo segnale dell’impatto del Covid 2019 sulle famiglie a reddito medio”. In particolare, “sono le coppie con figli minori a pagare le conseguenze più elevate”.

Gli esclusi. Il rapporto individua alcune caratteristiche delle famiglie povere escluse: tendono a risiedere al Nord, ad avere minori, un richiedente straniero, risparmi in banca superiori alla soglia consentita. Attualmente sono escluse dalla possibilità di richiedere il Reddito 4 famiglie straniere su 10. Il requisito economico di accesso che più di tutti restringe l’accesso alla misura alle famiglie in povertà assoluta è quello del patrimonio mobiliare (solo due terzi di queste lo soddisfa). Al Nord il numero delle famiglie che fruiscono del Reddito è il 37% di quelle in povertà assoluta, nel Centro il 69% e nel Sud il 95%.

Tra gli utenti Caritas. Riguardo al monitoraggio tra gli utenti Caritas emerge che il 55,2% di persone sostenute ha beneficiato della misura fra il 2019 e il 2020; inoltre il 56% di chi lo riceve presenta contemporaneamente tre o più forme di vulnerabilità.

L’inclusione lavorativa. Al 31 gennaio 2021, i nuclei beneficiari di Reddito di cittadinanza indirizzati ai percorsi di inclusione lavorativa sono, a livello nazionale, circa 530 mila, il 49% del totale dei nuclei indirizzati, a seconda delle loro caratteristiche, ai Centri per l’impiego o ai servizi sociali. I dati mostrano che al 31 gennaio 2021 il 5,1% dei percettori della misura non risultava tenuto agli obblighi, il 48,3% era stato indirizzato ai percorsi di inclusione sociale e il 46,6% ai percorsi di attivazione lavorativa con i Centri per l’impiego. Si tratta di un processo ancora lento e complesso, complicato dall’irruzione della pandemia.

L’identikit dei beneficiari tracciato nei focus group racconta di “persone molto deboli dal punto di vista lavorativo e in grandi difficoltà economiche, psicologiche e sociali. Non raramente sono persone che non hanno acquisito neppure il titolo di studio obbligatorio per legge, o giovani che non studiano né lavorano o in evidente ritardo con gli studi. Sono tutti dotati di smartphone, ma non sanno usarlo per effettuare ricerche su internet, non sanno redigere un curriculum vitae e, in alcuni casi, non parlano la lingua italiana”. Il 72% ha al massimo la licenza media mentre solo il 3% ha ottenuto la laurea. Tra i beneficiari il 21% non ha mai avuto un rapporto di lavoro alle dipendenze nella sua storia lavorativa. Gli under 30 e gli over 50 rappresentano rispettivamente il 34% e il 27% dei beneficiari tenuti al Patto per il lavoro. Gli under 30 sono più presenti al Sud e nelle isole, viceversa gli over 50 nel Centro-Nord.

I bisogni fondamentali: cibo, casa e bollette. Le condizioni di povertà ruotano attorno all’impossibilità di avere risorse adeguate per affrontare il soddisfacimento di tre bisogni fondamentali: la spesa per il mangiare, la casa e le bollette. Nonostante il Reddito di cittadinanza le difficoltà persistono “in particolare nei casi in cui l’importo riconosciuto è estremamente basso oppure non adeguato rispetto ai bisogni di vita”. Una delle criticità più segnalate è stata la sospensione del contributo al 18° mese, per cui bisogna tornare alla Caritas o da altre organizzazioni del privato sociali per chiedere di nuovo aiuto. Alcuni intervistati hanno affermato di vivere con disagio questa situazione e di provare una vera e propria “vergogna” ma allo stesso tempo di non essere in grado di acquisire una propria autonomia.

di Patrizia Caiffa dal sito del SIR del 16 luglio 2021

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