“Cammino materano”: sulle orme del Santuario di Picciano, nella prima Giornata Europea del Patrimonio a Matera  

La prima Giornata europea del Patrimonio si è aperta sabato 28 settembre con un convegno presso l’Archivio di Stato di Matera sul “Cammino materano” dedicato al Santuario di Picciano e alla presenza benedettina tra Puglia e Basilicata.

Le Giornate Europee del Patrimonio, promosse dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione Europea dal 1991 per far conoscere la ricchezza del patrimonio culturale ed incoraggiarne la salvaguardia, costituiscono un’iniziativa coordinata in l’Italia dal Ministero della Cultura che ha scelto come tema dell’edizione 2024 il “Patrimonio in cammino”. In realtà il tema si richiama al manifesto europeo “Routes, Networks and Connections” che invita a riflettere su come percorsi, vie di comunicazione e connessioni di reti favoriscono, oggi come nel passato, relazioni e scambi fra popoli e culture.

A Matera il 28 e 29 settembre le “Giornate” si sono svolte su varie tematiche ed in diverse location della città. Una delle più interessanti manifestazioni si è tenuta presso l’Archivio di Stato in cui l’attenzione dei numerosi cittadini pervenuti in sala si è posta sul Santuario di Picciano e la sua storia. Diversi e tutti bravi i relatori che si sono avvicendati nelle varie relazioni che hanno affrontato ognuno un aspetto particolare e suggestivo della storia di Picciano dalla nascita come insediamento benedettino intorno all’anno mille, al suo vivere e svilupparsi nel Medioevo fino all’inizio del ‘700, all’abbandono e alla successiva rinascita come luogo di preghiera, che vive oggi un nuovo fulgore di monachesimo obbediente alla regola benedettina della Congregazione monastica olivetana dell’Ordine di San Benedetto.

I lavori sono stati aperti dal saluto del Direttore dell’Archivio di Stato di Matera Pietro Sannelli che ha descritto il senso della manifestazione e la funzione cittadina dell’Istituzione Archivio di Stato che a Matera sta vivendo un momento di rilancio e sviluppo grazie all’inserimento nell’organico di un gruppo di giovani operosi e motivati.

Ha fatto seguito la proiezione di un interessante e inedito docufilm, denominato “Profondo sacro”, scritto e diretto da Gianni Maragno, che ha moderato i lavori dell’intera mattinata.

Il prof. Donato Giordano O.S.B ha aperto le relazioni parlando sul tema: “Il Santuario di Picciano. Una presenza significativa ai confini appulo-lucani” circa la presenza e il cammino storico del Santuario di Picciano svoltosi per almeno un millennio. Infatti, padre Giordano, tralasciando l’epoca precristiana di cui si hanno notizie non certe sotto il punto di vista storico, ha illustrato tutto il percorso del Santuario sin dalla nascita intorno all’anno mille, grazie ad un insediamento benedettino, proseguendo successivamente prima con la presenza dei cavalieri templari e successivamente con i cavalieri Giovanniti (dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme poi diventato Sovrano Militare Ordine di Malta) che stabilirono un Feudo poi diventato Commenda, che è durato per ben 500 anni.

Durante questi anni l’insediamento sul colle, che nell’epoca feudale è stato trasformato in un vero e proprio fortilizio, è diventato florido, ricco anche di attività economiche, con la devozione a Maria SS di Picciano che è andata sempre più crescendo fino ad estendersi in altre regioni come l’Abbruzzo. La devozione per la Vergine di Picciano si estese anche verso sud fino a Malta dove a La Valletta, nella concattedrale, è collocata una sua riproduzione. Il santuario della Madonna di Picciano sorge su una modesta altura ai confini nord-orientali tra la Puglia e la Basilicata, laddove l’altopiano murgico degrada verso la grande depressione della fossa Bradanica.

Concattedrale di La Valletta dove esiste una copia della Madonna di Picciano

Le tracce più antiche di presenza umana – continua padre Donato Giordano – sono state rinvenute ai piedi del colle, nelle grotte lungo la gravina (chiamati grottini), rifugio naturale e particolarmente adatto ad attività di scavo e di modellamento. I reperti archeologici – i più antichi risalgono al Paleolitico Medio-Inferiore (circa 300.000 anni fa) – attestano una immemorabile e continua attività litica e, successivamente, pastorale.

A oggi – sostiene Don Giordano – resta difficile ricostruire con precisione le diverse fasi storiche e gli eventi che si succedettero sul colle, almeno fino alla costruzione del monastero, successivamente divenuto santuario mariano. La vicinanza del colle “gemello” di Timmari – in cui c’era un’importante santuario precristiano del sec. IV a. C. – ha indotto qualcuno a formulare l’ipotesi della presenza di un santuario precristiano anche a Picciano, verosimilmente officiato con un culto collegato alle sorgenti e a una divinità femminile, sul tipo della divinità ctonia di Kore-Persefone (come a Timmari, e altri luoghi dell’antica Lucania). In particolare, alcuni busti fittili di questa divinità, rinvenuti nella stipe votiva di Timmari, sono stati posti in relazione con l’attuale statua a mezzo busto della Madonna di Picciano.

È stato appurato – sempre da studi riportati anche nel volume “MONACI, CAVALIERI E PELLEGRINI AL SANTUARIO DI PICCIANO” dal suo autore don Donato Giordano – che tra l’età del Bronzo e la prima età del Ferro, il bacino idrografico della valle del Bradano fu interessato da un’intensa attività di scambi, traffici ed esperienze di vario tipo, incluse quelle a carattere religioso. In questo modo, Picciano si inserisce in un reticolo viario di collegamento tra i santuari pre-cristiani dell’antica Lucania che, a partire dalla costa ionica (Siris Heraclea), risalivano la valle del Bradano. Questa direttrice viaria ha costituito nei secoli successivi una rete di tratturi dove si snodavano gli spostamenti del bestiame in transumanza dalle montagne dell’Abbruzzo fino al mare.

Ed è proprio in occasione della transumanza si è sviluppata ulteriormente la devozione alla Madonna di Picciano delle popolazioni delle regioni limitrofe, oltre quella esistente delle popolazioni locali. Infatti, si racconta che un pastore abruzzese, dopo aver ricevuto l’apparizione della Madonna, ricevette l’ordine di costruire sul colle una chiesa in onore della Vergine, cosa che avvenne e che ha alimentato per secoli la pratica dei pellegrinaggi dall’Abbruzzo fino a Picciano. Un racconto curioso è dato dal fatto che questi pastori con i loro soldi fecero costruire una riproduzione della Madonna collocata a Picciano che veneravano durante i loro passaggi. Ma in un’occasione, contrariati da un divieto imposto dai cavalieri del Feudo, trafugarono la statua e se la portarono nella chiesa di Santa Caterina di Castel del Monte in provincia di L’Aquila, dove attualmente ancora esiste.

Infine, don Donato, ha affascinato i presenti dilungandosi, anche se sommariamente, sull’excursus storico dell’insediamento di Picciano ma non ha trascurando di parlare delle vicende che hanno fatto evolvere l’aspetto strutturale dai primi edifici fino all’attuale ristrutturazione della chiesa e alla edificazione del monastero che si imponeva nel momento del ritorno dei benedettini della Congregazione monastica olivetana intorno al 1950. I monaci olivetani avevano deciso di inviare in loco un gruppo di loro fratelli per formare una vera e propria comunità monastica. Quando i primi monaci giunsero sul colle di Picciano trovarono ben poco. Alcuni vecchi locali più o meno rimessi a nuovo, altri in rovina, la chiesa da restaurare, nessun coro, nessuna aula capitolare, nessuna biblioteca o archivio, pochi ed essenziali servizi da poco attivati e mal funzionanti. Il da fare era tanto e con grande spirito di sacrificio questi primi monaci si diedero molto da fare lavorando sodo e riuscendo a portare avanti anche un probandato monastico che accoglieva alcune decine di ragazzi. Don Donato, nel parlare di questi avvenimenti, ricorda i primi monaci ritornati a Picciano, come d. Casimiro Masetti, seguito a ruota da d. Cleto Campoli e d. Ugo Panebianco, che si diedero da fare per creare le basi e spianare il lavoro degli altri monaci che successivamente, fino ad oggi, hanno creato un fulgido complesso monastico moderno con una comunità attenta nell’osservanza delle regole benedettine.

Alla corposa ed appassionante relazione di don Donato Giordano, ha fatto seguito quella interessante del prof. Giovanni Caserta (“Santuario di Picciano tra pietas, storia sociale e storia civile”) per le osservazioni su usi e costumi connessi alla devozione mariana ed ai pellegrinaggi a Picciano del popolo materano.

Il prof. Carlo Dell’Aquila, in qualità di discendente della nobile famiglia dei Gattini di Matera, ha relazionato poi sul tema: “Il Bali Michele Gattini, Gran Priore di Napoli e Sicilia 1913 – 1930, storico dell’Ordine di Malta”. Interessante è stato questo excursus sulla famiglia Gattini per il loro secolare impegno nella vita cristiana (con i cavalieri dell’Ordine di Malta) con le tante opere letterarie, ricerche storiche ed anche archeologiche realizzate a Matera ed in altri luoghi dove questa importante famiglia ha operato.

Ultima relazione, molto interessante, è stata quella di Salvatore Longo sul tema: “Il bosco e il frazionamento del feudo di Picciano”. Longo ha avuto modo di approfondire la storia di Picciano raccogliendo elementi e dati molto significativi. Intanto, chiarisce che nei secoli passati il toponimo difesa, diffuso soprattutto nel meridione, non aveva un significato militare ma veniva usato per definire una proprietà privata preclusa ai cittadini per la fruizione degli usi civici. Ma fu anche denominata feudo, termine utilizzato per indicare un possesso fondiario diversamente da quanto accadeva per il territorio posseduto dai baroni che possedeva una particolare giurisdizione; basti pensare alla commutazione delle pene detentive in pene pecuniarie, oppure al controllo delle strade gestito con la richiesta di un pagamento per il loro uso. Una situazione davvero arcaica che ebbe fine con la Repubblica partenopea del 1799. Il feudo della collina di Picciano risultò esteso poco più di mille ettari ed appartenne dalla fine del XIII secolo ai Cavalieri di Malta (1392). Al feudo, si aggiunse nel tempo un grande patrimonio di immobili e di fondi rustici, che complessivamente formarono una commenda amministrata da un commendatore, membro dell’ordine medesimo.

Longo, ha approfondito bene l’argomento definendo con precisione gli aspetti contrattuali esistenti nel Feudo, gli aspetti patrimoniale e le risorse produttive esistenti nel Feudo. Nella ricognizione delle risorse è emerso che l’attività economica della difesa ebbe un impulso dall’azione esercitata dal commendatore Silvio Zurla (1674) che promosse iniziative per l‘ampliamento del numero dei pozzi di acqua (risorsa sempre molto preziosa) e per il miglioramento dell’azienda agricola dei Grottolini. Infine, la commenda concesse sempre in fitto la difesa senza mai gestirla direttamente. La flora esistente sul territorio era molto varia ed era composta da un querceto, dalle essenze di visciglio (cerri), dal lentisco, dal ginepro (macchieto) e da una varietà di erbe la cui estensione risultò 17 versure, ossia 21 ha sufficienti per l’allevamento di almeno cinquecento capi di bestiame. Inoltre, Longo ha poi fatto, dai documenti contrattuali della Difesa, una ricognizione di regole circa la raccolta di frutta ed altri prodotti della terra dove erano stabiliti obblighi e divieti per i fittuari. 

All’inizio dell’ottocento – continua Longo – si apre un nuovo capitolo della vita sociale ed economica del meridione, essendo mutata la situazione politica imposta dal governo dei Francesi nel Regno di Napoli (1806-1815) che introdussero imprevedibili cambiamenti. Tra l’altro, la loro legislazione impose la soppressione degli ordini religiosi ed il conseguente incameramento dei beni ecclesiastici che furono successivamente venduti. Non diversamente accadde per la commenda di Picciano che fu soppressa con la legge del 14-2-1807.  Tuttavia il dominio dei Francesi ebbe breve durata, essendo stati allontanati nel 1815 con il conseguente ritorno della dinastia Borbone che restituì i beni invenduti agli antichi proprietari e fra questi vi fu la difesa di Picciano, come conferma un contratto di fitto stipulato nel 1817.

Le proprietà ecclesiastiche furono nuovamente incamerate dalle leggi eversive nel 1866 emanate dal Regno d’Italia, attuando la liquidazione dell’asse ecclesiastico. Anche i beni ecclesiastici di Matera non furono risparmiati. Allora il Demanio, non avendo avuto acquirenti, concesse in fitto la difesa e per agevolare la sua vendita frazionò quel territorio in ampi lotti.

La frammentazione della difesa – conclude Longo nella sua bella relazione – causò la perdita definitiva della sua connotazione originaria, conservata per tanti secoli ad opera dei Cavalieri di Malta che esercitarono un ruolo incisivo e fecondo nello sviluppo dell’economia locale. Dal punto di vista storico, il suddetto passaggio rappresenta un insostituibile riferimento per cogliere il radicale cambiamento apportato dalle idealità innovatrici che svilupparono una diversa situazione sociale attraverso l’applicazione di nuove leggi che diedero vita a rinnovati comportamenti. Da quel momento ad oggi permane un lasso di tempo sufficiente per valutare con serenità questo passaggio che, pur avendo sottratto immensi beni agli enti ecclesiastici – il cui completo risarcimento avvenne in sede concordataria con lo Stato italiano – induce alla riflessione sui cambiamenti avvenuti che determinarono la scomparsa di una particolare civiltà, innescando  allo stesso tempo lo sviluppo delle vicende attuali.

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Domenico Infante

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