Viviamo un tempo sospeso e guerriero, pieno di angoscia e paure dove nessuno attende più nulla e noi stessi non ci sentiamo più attesi da nessuno. Siamo diventati tutti banali e superficiali, incapaci di riflettere e pensare, vogliamo tutto e subito nel mentre la frenesia del consumo ci divora.
Abbiamo perso la capacità di gustare le cose, di capire gli eventi, di stupirci per le meraviglie che pure ci circondano, tutto si spegne nell’orizzonte in cui ci muoviamo che spesso diventa scetticismo e disperazione. La Chiesa, invece, ci propone qualcosa di diverso, un tempo di Avvento che vuol dire tempo di preparazione, di speranza di attesa per la venuta di un Bambino che si fa uomo, che conosce bene la nostra vita e ascolta ogni nostro desiderio.
Ma per gustare la festa oltre che attenderla bisogna “prepararla” con attenzione e stupore facendo una disamina interiore dei nostri comportamenti, guardando dentro di noi e verso gli altri, per una sorta di conversione personale e comunitaria. E’ indispensabile chiedersi se siamo uomini di pace o di odio, di perdono o rancore, di farci interpreti del grido dei poveri e dei diseredati della terra che banalmente vuol dire: visitare una persona sola o ammalata, partecipare come volontario ad iniziative in loro favore, destinare una somma di denaro per vera solidarietà, pregare per la pace.
Lo scenario mondiale di guerre e disordini cui assistiamo, può indurci alla paura e all’egoismo, l’Avvento invece ci invita alla fiducia ed alla speranza, è il richiamo che qualcosa di buono sta per accadere nella nostra vita: una sorta di azzeramento di tutte le ingiustizie.
San Tommaso scriveva che “la speranza è l’attesa di un bene futuro”. Tempo dunque di gioiosa attesa e di fiduciosa speranza, “pellegrini di speranza” per iniziare il cammino del ritorno a Dio, perché “se qui sulla terra l’uomo attende la venuta del Signore, lassù – nel cielo – Dio attende il ritorno dell’uomo”.
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