Autonomia differenziata: a chi serve?

Nei giorni scorsi al Parlamento è stato approvato definitivamente il progetto di legge sull'Autonomia differenziata. Quali sono le prevedibili conseguenze? A chi serve?

L’Autonomia differenziata sta polarizzando il dibattito politico nazionale negli ultimi mesi da quando il progetto di legge è passato nei due rami del Parlamento e quindi è diventato Legge dello Stato. Con ritardo, oggi, quasi tutto il Paese, particolarmente il Sud, sta incominciando a capire in che cosa consiste l’Autonomia differenziata e quali potranno essere le conseguenze sul territorio nazionale.

Queste vicende si inseriscono in un periodo storico caratterizzato da alterni ma continui momenti drammatici: dalla pandemia, che nei giorni presenti sta alzando la testa, alle guerre che non mancano anche in territori vicini al nostro Paese, dalla devastazione di territori coinvolti nelle guerre alle alluvioni e alle dittature sempre più numerose e dietro l’angolo.

Papa Francesco, durante la pandemia, ci ricordava che «ci troviamo sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti».

Questa riflessione di Francesco ci riporta alle dirette conseguenze dell’Autonomia differenziata. Già oggi al Sud, ma anche nel resto del Paese, la questione Sanità è diventata una vera emergenza con liste di attesa per visite e interventi che superano i dodici mesi. Nei territori con reddito pro-capite più sostanzioso gran parte dei cittadini possono facilmente risolvere il problema rivolgendosi alla sanità privata; la parte più fragile dell’intero Paese, già oggi, non può sostenere forti spese e rinuncia a curarsi. Con la vigenza dell’Autonomia differenziata i territori “forti” potranno trattenere la maggior parte delle proprie risorse fiscali creando migliori condizioni per molti cittadini, anche se non per tutti, ma quelle risorse trattenute dalle regioni “forti” inevitabilmente mancheranno ai territori più poveri soprattutto alle regioni del Sud.

Affinché possa essere concretamente applicata l’Autonomia differenziata, in alcune materie delegate sono ancora indispensabili alcuni passaggi difficilissimi quali quello della determinazione dei Lep (Livelli essenziali di prestazioni) concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Ma tante altre sono le deleghe che le regioni potranno chiedere subito senza attendere alcun adempimento preventivo.

Al di là delle sperequazioni che si andranno a determinare nelle varie regioni, è intuibile che, col passare del tempo, tanti sistemi di gestione autonomi produrranno qualità diverse di servizi contro il dettato costituzionale che prevede un trattamento uguale tra cittadini. Ad esempio si creeranno tanti sistemi di sanità che renderà ancora più difficile e costosa l’emigrazione sanitaria addirittura tra regioni limitrofe. Tanti sistemi scolastici con norme e ordinamenti diversi. Tante aziende regionali di trasporto pubblico sia stradale che ferroviario e addirittura navale ed aereo con regolamenti di gestione regionali. Non è pensabile la regionalizzazione del sistema di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. Questi sono alcuni esempi di un progetto che è fuori dalla realtà in un paese piccolo come l’Italia. Peraltro, poiché tra le materie delegabili c’è anche quella dei rapporti internazionali non si riesce ad immaginare quale peso politico potrebbero avere le regioni italiane, anche le più forti, nelle trattative con l’Europa.

Le materie delegabili dallo Stato alle regioni sono 23 (con 500 funzioni), di queste 14 sono soggette alla determinazione dei Livelli essenziali di prestazioni. Le altre 9 materie sono attuabili subito dopo aver svolto le previste trattative tra Stato e regioni.    

Così stando le cose, si creerebbe uno Stato che non sarà in grado di distribuire risorse per far funzionare apparati e servizi pubblici, almeno ai livelli odierni, creando di fatto una divisione che spaccherà l’Italia in due, penalizzando molto il Sud ma in misura minore anche lo stesso Nord. Inoltre si produrrebbe un affievolimento certo della solidarietà sociale fino a pervenire ad una frantumazione dell’unità nazionale.

L’unica speranza ancora esistente di impedire un tale progetto di divisione dell’Italia è lo strumento del referendum abrogativo che è stato indetto in tutto il Paese il cui risultato posititvo potrebbe dare nuove speranze alle popolazioni ed anche ai politici che non erano del tutto convinti di questo provvedimento. A tal proposito è opportuno ricordare quanto riportato in un documento della 55ma Settimana Sociale svoltasi nei giorni scorsi a Trieste: «La componente sociale – che in parte è esito della pandemia, in parte la precede – ci sta rivelando la nostra fragilità e la nostra interdipendenza, facendoci comprendere che tutto può cambiare da un giorno all’altro e questa incertezza pesa sulle nostre vite quotidiane generando paura e spaesamento, sia in chi è più giovane che nei più anziani». Forse queste poche righe sono le più chiare sulle conseguenze dell’Autonomia differenziata.

A queste situazioni, in Basilicata, si aggiungono altri problemi quali la disoccupazione sempre alta che spinge tantissimi giovani, con vari livelli di istruzione, ad andare via verso il Nord del Paese o addirittura all’estero. E questa fuga potrà accentuarsi nel settore sanitario dove, sia medici che infermieri, vanno via già oggi, anche nelle regioni vicine, per rincorrere redditi più alti, peggiorando ulteriormente la già precaria Sanità.

Ma qual è il pensiero della Chiesa? Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, in occasione del tradizionale messaggio alle autorità del primo luglio di quest’anno in cattedrale ha detto: «Alla luce dei dati forniti prima, chiedo alla Madonna Santissima della Bruna che ci aiuti a riscoprirci sempre più figli di questa umanità che abita la stessa terra: fratelli che s’incontrano e non si scontrano, si amano e non si disprezzano, capaci di essere protagonisti e non antagonisti, costruttori di una nuova umanità che trova le sue fondamenta sulla giustizia e la pace, sull’unità e, pur nel rispetto delle proprie identità, come credenti non ce la sentiamo di inneggiare all’Autonomia differenziata che stride fortemente con l’insegnamento evangelico».

Ed ancora mons. Caiazzo, in un altro passaggio del messaggio alle autorità, diceva: «Con tutto il rispetto per voi istituzioni e le vostre diverse letture, penso di conoscere molto bene questo vasto territorio con le sue criticità e risorse, e i suoi abitanti. Per dirla con il nostro Presidente, Card. Matteo Zuppi, come Chiesa non siamo stati ascoltati e ora “L’Autonomia differenziata rischia di minare il principio di solidarietà”».

Il 24 maggio 2024 il Consiglio episcopale permanente della Conferenza Episcopale Italiana ha pubblicato una nota sull’autonomia differenziata che ha un incipit molto chiaro: «Il Paese non crescerà se non insieme. Questa convinzione ha accompagnato, nel corso dei decenni, il dovere e la volontà della Chiesa di essere presente e solidale in ogni parte d’Italia, per promuovere un autentico sviluppo di tutto il Paese. È un fondamentale principio di unità e corresponsabilità, che invita a ritrovare il senso autentico dello Stato, della casa comune, di un progetto condiviso per il futuro.

Nella storia della salvezza si legge che il popolo di Dio in cammino ha in sé un proposito di sostegno e solidarietà in quanto aspira a che nessuno venga lasciato indietro o si senta abbandonato e, così facendo, manifesta vera fraternità e concreta condivisione.

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Domenico Infante

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