Almeno una carezza o una preghiera per i bambini yazidi

Vittime delle peggiori violenze da parte dei terroristi dell'Isis e di un mondo, anche europeo, che rifiuta di accoglierli

Il mistero dei bambini yazidi sta interrogando seriamente i medici svedesi e, probabilmente, i medici del mondo intero. Alcune fonti giornalistiche riportano l’inquietante notizia di 169 bambini di etnia yazida che in Svezia hanno cominciato a manifestare segni di una misteriosa malattia che li induce ad addormentarsi e a non risvegliarsi più.

In Italia, il quotidiano La Stampa ha parlato del “mistero della sindrome che addormenta i bambini per sempre”. Questi bambini entrano in uno stato comatoso mentre il loro cervello continua regolarmente a funzionare e senza che si riscontrino, almeno apparentemente, altri problemi di natura neurologica. Lasciano cadere i giocattoli, smettono di parlare, non si muovono più, non sono capaci di nutrirsi autonomamente. Perché?

Trovare risposte appropriate a questo straziante interrogativo, se mai potranno trovarsi, è compito della medicina e non è un argomento che può essere trattato in un articolo di giornale come questo. Ma se non le risposte, almeno alcune domande si possono e, forse, si devono porre. Soprattutto una: chi sono questi poveri bambini yazidi che in Svezia hanno manifestato la sindrome descritta?

Amnesty Interantional ha censito circa duemila di loro, appartenenti alla minoranza yazida che hanno subito terribili atrocità da parte dei soldati dell’Isis nel corso della guerra del cosiddetto Stato islamico nel territorio curdo dell’Iraq. Atrocità come le mutilazioni e come quella, che comunque non è nemmeno la peggiore delle violenze subite, di essere impiegati come bambini-soldato.

Non è questa la cosa peggiore, si diceva, e c’è da aggiungere che molti di loro sono stati proprio il frutto delle violenze subite dalle loro mamme in stupri di massa programmati in un’agghiacciante quanto precisa strategia dell’Isis.

La minoranza yazida non è un’etnia di religione islamica e probabilmente per questa ragione lo Stato islamico si è accanito con particolare crudeltà, sequestrando e violentando le donne di questa comunità. Una di queste donne è stata Nadia Murad, alla quale è stato conferito il Premio Nobel per la Pace nel 2018. Sulla sua triste esperienza, Nadia ha anche scritto un libro che ha scosso il mondo intero. Lo stesso Papa Francesco ha detto che la lettura di questo libro è stato uno dei motivi che lo hanno spinto al recente Viaggio apostolico in Iraq.

Ma nemmeno gli stupri subiti dalle donne yazide e le violenze sui bambini sono stati l’ultima violenza. Nel caso in questione, infatti, mamme e bambini yazidi sono andati incontro a conseguenze ancora più traumatiche. Per il fatto che le loro comunutà yazide di origine, le loro stesse famiglie, non li hanno voluti riaccogliere, terminata la guerra. Precisamente non hanno voluto questi bambini, frutto della violenza dei terroristi dell’Isis. E questo perché le leggi locali stabiliscono che ai figli di padre ignoto sia imposta la religione islamica.

A seguito di una formale deliberazione del Consiglio supremo spirituale yazida, la condizione posta alle mamme, per poter rientrare a casa dopo essere state liberate dall’Isis, era quella di separarsi dai figli. Alle madri yazide non rimaneva così altra scelta che fare i bagagli, prendere i loro bambini, e partire verso quello che ai loro occhi poteva sembrare il posto più lontano sulla faccia della terra: la Svezia.

Non prevedendo che, purtroppo, nel paese europeo li attendevano altre dolorose umiliazioni. In Svezia, spiega la neurologa Suzanne O’Sullivan, «i richiedenti asilo sono stati inizialmente accolti a braccia aperte. Ma, gradualmente, il “national mood” è cambiato, l’immigrazione è diventata una questione politica scottante e i richiedenti asilo che avrebbero potuto essere accolti ufficialmente cinque anni fa, ora sono respinti».

È stato forse a questo punto che i bambini yazidi sono crollati. Non pochi di loro, circa il dieci per cento del totale di quelli censiti da Amnesty Interantional, si sono addormentati per non risvegliarsi più. Perchè? Forse il loro cervello, per misteriosi meccanismi, ha autonomamente deciso di non esporli alla vista di altre sconvolgenti violenze.

Non è, comunque, su questi tremendi interrogativi che possiamo dire qualcosa di appropriato. Di fronte a questi fatti, possiamo soltanto far sentire la nostra voce per chiedere almeno una carezza per questi bambini. E anche una preghiera.

Nella nostra impotenza, così carica di tristezza, forse potremmo offrire soltanto una preghiera come segno di quella dolcezza che merita ogni bambino.

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Paolo Tritto

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