Alcide De Gasperi e l’attualità delle sue lezioni di politica

In un libro di Antonio Polito l’impegno del leader democristiano nella ricostruzione del paese e il suo ideale europeo che ha assicurato ottant’anni di pace e di benessere.

«De Gasperi scoprì il Mezzogiorno a Matera nel luglio del 1950» scrive Antonio Polito. Quando vide i rioni dei Sassi «dove ventimila esseri umani coabitavano con i loro animali, più o meno come qui avveniva già nella preistoria». Vide una realtà sofferente che sembrava, come aveva scritto Carlo Levi, «una città colpita dalla peste». De Gasperi disse che ciò non era più tollerabile: «La povera gente dei Sassi non può continuare a vivere come bestie». Mantenne l’impegno e appena un anno dopo venivano consegnate le prime e più dignitose abitazioni.

È una bella sorpresa il libro che Antonio Polito ha dedicato ad Alcide De Gasperi, libro pubblicato recentemente da Mondadori col significativo titolo “Il costruttore. Le cinque lezioni di De Gasperi ai politici di oggi”. È una sorpresa per più di un motivo. Principalmente perché la storiografia è stata fino a questo momento piuttosto avara nei confronti del leader democristiano, nonostante la centralità del suo ruolo negli anni del secondo dopoguerra.

In questo libro viene presentato un De Gasperi che è “antifascista” ma nello stesso tempo “anticomunista”. Indubbiamente De Gasperi ebbe il merito di liberare l’azione politica da ogni condizionamento ideologico e di prevenire le derive autoritarie che sempre dalle ideologie scaturiscono.

Questo non è poco, soprattutto se si pensa che in quegli anni non era questa una prospettiva condivisa da molti. Non lo era nemmeno in ambito cattolico. Dove si accarezzava, anche da parte dei “cavalli di razza” della Dc, la possibilità di un’alternativa ideologica di matrice cristiana – la famosa terza via. Il merito di De Gasperi fu quello di risparmiare all’Italia anche quest’ultimo flagello.

Probabilmente De Gasperi si teneva alla larga dalle pastoie ideologiche per una ragione tutto sommato molto semplice. Perché la sua azione politica era tutta presa dalla necessità della ricostruzione del paese. In parole povere, perché De Gasperi era troppo occupato. Possiamo immaginare quanto tutto ciò apparisse urgente in un paese devastato dalla guerra e umiliato dalla sconfitta.

Come si può vedere, si tratta di un bel “cambio di paradigma”, come si direbbe oggi. Una bella sterzata, la decisione cioè di passare dal rincorrere il mito della direzione politica al dovere primario di fare i conti con la realtà, di servire la realtà. Di servire invece di dirigere. Da ciò, Antonio Polito fa derivare cinque insegnamenti di De Gasperi per i politici di oggi. Ovviamente, per quei politici – qualora ce ne fossero – con la voglia di imparare qualcosa. Quei politici cioè che non si limitano a puntare al consenso da raccogliere nell’immediatezza delle prossime elezioni, per accennare alla celebre massima degasperiana.

Le cinque lezioni sarebbero queste. 1) Democrazia vuol dire antidittatura, un vero democratico è dunque antifascista e anticomunista allo stesso tempo; 2) La politica estera è la chiave della politica interna; 3) Il rigore nella spesa pubblica è la condizione della crescita economica, e la crescita è la condizione per poter fare le riforme sociali; 4) L’Italia non si solleva senza il Mezzogiorno, la coesione nazionale è indispensabile anche allo sviluppo del Nord; 5) Un premier è veramente forte solo se i partiti sono deboli e le istituzioni forti, non il contrario.

Alcide De Gasperi era anche perfettamente consapevole delle difficoltà dell’impresa. Oggi si potrebbe far fatica a comprendere ciò che abbiamo chiamato il vecchio “paradigma”. In sostanza, fa notare Polito, non si deve credere che una volta crollato il fascismo tutto il problema politico della nazione fosse risolto. L’obiettivo della nuova classe dirigente, purtroppo, non era affatto quello della ricostruzione del paese, come voleva De Gasperi, ma quello di affermare un’egemonia politica sul paese, di occupare cioè le poltrone lasciate libere dal fascismo. L’obiettivo dell’egemonia che, per quanto caro a Gramsci, eccitava anche il cosiddetto “partito romano” dei cattolici, un “coagulo” che aggregava «esponenti della Curia, i gesuiti della “Civiltà Cattolica”, il leader dell’Azione Cattolica Luigi Gedda, e ambienti politici della destra monarchica o neofascista, per una decisa azione anche legislativa tesa a mettere fuori gioco il Partito comunista».

Analogo obiettivo egemone era perseguito dalla sinistra; un tentativo che, scrive Polito, «consisteva nel trasformare il Cln, dunque la Resistenza, nella guida politica della nuova Italia».

Con le elezioni del ‘48, De Gasperi seppe orientare il massiccio voto cattolico per mettere in minoranza la sinistra senza però consegnare la vittoria al “partito romano”. De Gasperi riuscì nell’impresa di passare attraverso quella porta stretta, la porta delle soluzioni difficili, senza cedere alle scorciatoie del facile consenso, nemmeno «quando nelle piazze affollate la gente gridava il suo nome» – per riprendere quanto ha scritto la figlia Maria Romana.

Altro “passaggio stretto” in cui lo statista trentino riuscì a infilarsi con successo fu indubbiamente la questione del Sudtirolo nella quale, ricorda Antonio Polito, «seppe applicare gli stessi ideali di libertà alla minoranza tedesca».

L’esito di un’impostazione di questo tipo, come si può vedere, non è occupare posizioni di potere ma trovare soluzioni capaci di assicurare pace e benessere alle popolazioni.

Tanto che il modello voluto da De Gasperi per il Sudtirolo, che diverrà una delle regioni più prospere e pacifiche d’Italia, è visto oggi come proponibile in «analoghe situazioni di tensione con minoranze etniche e linguistiche rimaste “intrappolate” in un’altra nazione; dall’Ucraina orientale fino al Tibet».

Dell’impegno di De Gasperi in favore del Mezzogiorno si è già accennato e Antonio Polito riesce nel suo libro a rendere efficacemente l’idea della forza riformatrice della politica degasperiana in questo campo. Ma indubbiamente, il contributo di gran lunga più importante di De Gasperi fu quello di dare all’Europa una pace stabile e condizioni di benessere.

«Innanzitutto, lo muoveva il concetto di unità cristiana dell’Europa» scrive Antonio Polito, «la speranza cioè di trasferire sul piano internazionale il solidarismo cattolico, e perfino di “redimere” la Germania allontanandola dall’influsso negativo che la cultura protestante vi aveva introdotto, rompendo quell’unità. Non è affatto un caso che i “padri” del progetto europeo, Alcide De Gasperi, Robert Schuman e Konrad Adenauer, siano stati tutti e tre leader cattolici, fortemente animati dai valori della loro fede nell’azione politica».

Questa unità è accaduta davvero e l’Europa ha goduto di ottanta lunghi anni di pace. E quello che è accaduto con questa unità è qualcosa di simile a quello che avvenne con il monachesimo benedettino nel Medioevo che diede vita appunto all’Europa e alla civiltà occidentale.

Questo libro su De Gasperi, “Il costruttore”, arriva nelle librerie alla vigilia delle elezioni europee, quando ognuno degli elettori potrà esprimere liberamente il proprio voto. Ma probabilmente ognuno di questi elettori, al di là del proprio orientamento politico, questa volta è chiamato a qualcosa di più di un semplice segno su una scheda elettorale. È chiamato alla consapevolezza del compito storico che l’Europa di De Gasperi, Adenauer e Schuman, oggi ha in un mondo che sembra esplodere.

Quella consapevolezza cioè che c’era nei monasteri benedettini del Medioevo di concorrere alla solida costruzione di qualcosa di nuovo, a credere in un grande ideale.

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Paolo Tritto

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