Addio, Presidente!

Con la scomparsa di Napolitano l’Italia perde un alto pensatore, di profonda cultura, un patriota e un fermo sostenitore di un’Europa unita, da quel fatidico 1989 - decisivo anche per la sua vicenda politica - sempre più sua seconda patria.
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Con la sobria ma pur solenne cerimonia laica di stamane l’Italia, quella politica in testa, ha salutato per un’ultima volta il suo undicesimo Presidente.

Tracciare un breve ritratto di Giorgio Napolitano è un compito impegnativo. Parlare della sua figura, quella di un uomo schivo e riflessivo, consente di ripercorrere l’intero percorso dell’Italia repubblicana, di conoscere a fondo una delle anime più interessanti – quella “migliorista” – del Pci, di scoprire il profilo di uno più originali e interessanti uomini delle istituzioni.

Dopo l’iniziale parentesi nei GUF (Gruppi Universitari Fascisti), veniale errore di gioventù, seppe distinguersi presto, sotto l’ala protettrice di Giorgio Amendola, come uno dei profili più interessanti del comunismo italiano ed europeo, riuscendo a conquistarsi persino le simpatie di Kissinger e, comprendendo le prospettive senza futuro dell’ala movimentista del Partito, seppe rendersi guida della corrente “migliorista” che con lungimiranza vedeva nella socialdemocrazia l’unico sbocco di un sistema che da lì a poco avrebbe conosciuto un drammatico collasso.

Fu forse questo suo profilo dimesso, austero e dialogante – ironia quanto basta -, tipico di ”un politico a sangue freddo, quasi anglosassone, in un Paese a sangue caldo”, come ha scritto Antonio Polito sul Corriere di sabato scorso, ad aprirgli una fortunata carriera di uomo delle istituzioni, di governo e non, culminata nell’elezione a Presidente della Repubblica.

Il suo “novennato” ha fatto e fa ancora discutere. Napolitano l’ha vissuto con forte rigore istituzionale, lontano dal freddo e formale ruolo del notaio rifiutando però le picconate di cossighiana memoria. I suoi sono stati nove anni assai densi e travagliati, segnati dal dramma della crisi finanziaria prima ed economica poi, principale responsabile della caduta del quarto ed ultimo governo Berlusconi, vicenda nella quale l’interventismo del Capo dello Stato, comunque la si pensi, ha mostrato sicuramente volti inediti. La sua mano sulla fine della XVI legislatura e l’inizio della XVII è stata evidente così come forte è stato il suo incoraggiamento per riforme profonde delle quali una politica stanca, incerta e svogliata doveva ma non ha saputo ad ogni modo farsi interprete.

Dimessamente, come aveva garantito, ha lasciato il Colle quando le forze cominciavano a mancare e la situazione politica era già più rosea rispetto a quella di quel tetro novembre del 2011.

Anche negli ultimi anni, sebbene sempre più infragilito, ha saputo offrire punti di vista e sguardi sull’attualità – politica e non – acuti e limpidi, pienamente al passo con un’Italia e un’Europa in profonda trasformazione.

Al di là dei giudizi sulla sua figura, spesso anche piuttosto contrastanti, con la scomparsa di Napolitano l’Italia perde un alto pensatore, di profonda cultura, un patriota e un fermo sostenitore di un’Europa unita, da quel fatidico 1989 – decisivo anche per la sua vicenda politica – sempre più sua seconda patria.

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Daniele Taccardi

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