Le immagini della guerra in Ucraina, a cui ogni giorno assistiamo con sgomento e stupore, ci consegnano – quasi con brutalità – la durezza di un conflitto armato che certo non è classificabile in una qualsiasi “operazione militare”.
Sono immagini aspre, ostili, violente, sanguinarie; in grado di rappresentare il dolore, la morte, la sofferenza e finanche l’obbedienza se non, addirittura, la sottomissione.
Sono immagini che non avremmo mai voluto vedere, o rivedere, e che ci consegnano da un lato lo spaccato di una società ferita che combatte per la propria libertà e dall’altro il sacrificio di giovani militari russi che forse, senza sapere neanche un perché, si ritrovano al fronte a combattere contro i propri fratelli.
Siamo, da quasi un mese, quotidianamente informati su quanto accade in Ucraina. Sono effettivamente lontani quei tempi in cui le poche notizie della guerra trapelavano dalla flebile voce di una radio attorno alla quale si riunivano diverse famiglie provenienti da differenti case.
Oggi ci basta prendere il nostro smartphone per essere costantemente aggiornati sull’andamento del conflitto: Giorno dopo giorno, ora dopo ora, direi minuto dopo minuto. E così la guerra rischia di trasformarsi nella rappresentazione di un reality più che della realtà.
Perché ci si adatta alla guerra. Ci si adatta anche all’orrore della guerra; questo impariamo dai nostri fratelli ucraini, e lo vediamo da quel minimo di quotidianità che comunque continua a scorrere pur sotto il fuoco delle bombe. E ci si adatta, purtroppo, anche alle notizie e alle immagini della stessa guerra.
Il Presidente Zelensky, del resto, – eroe di questo tempo – ci porta, real time, nelle sue stanze, davanti alla sua scrivania, in giro per la città di Kiev, al fianco dei suoi ministri; presta la sua voce per video spot (professionalmente allestiti) in lingua inglese con cui sostiene la resistenza e incita alla vittoria, lasciando al suo popolo la prospettiva di costruzione di nuove case, nuovi sogni, nuovi progetti, nuovo futuro.
Parla al suo popolo, in tempo reale, ma parla anche a noi. E’ vero, così si racconta la guerra nel terzo millennio. Ma è anche vero che giorno dopo giorno l’orrore del conflitto si trasforma in una notizia di routine. Una notizia che rischia di essere non diversa dagli aggiornamenti di un reality, di una serie tv o di una fiction. E così cominciamo a fare l’abitudine alla caduta delle bombe che non risulta essere più una grande novità.
Certo, tutti continuiamo a sperare che non siano bombardati ospedali o abitazioni civili, che i tanti profughi siano accolti e trovino confortante e degna ospitalità nei diversi Paesi europei; ma l’orrore del sangue, le raccapriccianti immagini dei corpi mutilati, gli edifici sventrati o il lungo peregrinare di coloro che non hanno più una casa non suscitano più la stessa reazione che suscitavano soltanto un mese fa.
Il quotidiano, il nostro quotidiano, fatto di velocità, di impegni, di pensieri, di preoccupazioni sta – poco alla volta – prendendo il sopravvento e la guerra, anche se solo a qualche ora da casa nostra, non ci fa più lo stesso effetto.
C’è la guerra, ma – in fin dei conti – ci fa sempre meno male.
All’inizio di questo folle conflitto molti di noi avevano perso il sonno. Si restava fino a notte fonda attaccati alla tv, increduli, in cerca disperata di risoluzioni di pace.
Gli approfondimenti televisivi del mattino o del primo pomeriggio, per non parlare della prima serata, erano esclusivamente dedicati alla “nuova” guerra nella “vecchia” Europa. Piano piano, però, i palinsesti si stanno riallineando alla “normalità”. La vita continua. Eppure le cose in Ucraina sembrano peggiorare momento dopo momento e il dito di Putin non sembra essersi sollevato da quel bottone che potrebbe consentirgli di espellere un ordigno nucleare. Ci stiamo abituando alla guerra! Questo è il punto.
Come, forse, ci eravamo abituati alla condotta dittatoriale di Putin in Russia.
La manifestazione-evento allo stadio di Mosca, ad esempio, che tutti nei giorni scorsi abbiamo seguito con ansia e trepidazione per ascoltare quanto avesse da dire Putin sull’attuale “operazione militare in Ucraina”, è un appuntamento annuale che si celebra ogni anno dal 2014, e con lo stesso sfarzo di quest’anno, per onorare l’annessione della Crimea (focolaio da cui è partita la crisi bellica in Ucraina) alla Russia.
Eppure lo scorso marzo pochissimi di noi hanno dedicato un minuto del proprio tempo per leggere la notizia a piè di pagina dei giornali. Ci eravamo abituati alle notizie della Crimea o alle vittime del Donbass. E’ vero anche che lo scorso marzo eravamo intenti nel fronteggiare l’ennesima ondata di covid; ma per fortuna, oggi, anche al covid ci siamo abituati.
Del resto, non vi è nulla di così assurdo che l’abitudine non renda accettabile.
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