L’Eucaristia offre la chiave di lettura della storia

Il cardinale Cantalamessa tiene la prima predica di Quaresima.

Parlare dell’Eucaristia in tempo di pandemia e ora, «con gli orrori della guerra davanti agli occhi, non è un astrarci dalla realtà in cui viviamo, ma un invito a guardarla da un punto di vista superiore e meno contingente». Lo ha affermato il cardinale Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, nel corso della prima predica di Quaresima che si è svolta nell’Aula Paolo VI , venerdì mattina 11 marzo.

L’Eucaristia, ha spiegato, è «la presenza nella storia dell’evento che ha rovesciato per sempre i ruoli tra vincitori e vittime». Sulla croce Cristo «ha fatto della vittima il vero vincitore: Victor quia victima lo definisce sant’Agostino, vincitore perché vittima». Per questo, l’Eucaristia «offre la vera chiave di lettura della storia. Ci assicura che Gesù è con noi non solo intenzionalmente, ma realmente in questo nostro mondo che sembra sfuggirci dalle mani da un momento all’altro».

Tra i tanti mali che il covid-19 ha causato all’umanità, ha aggiunto il cardinale, c’è stato almeno «un effetto positivo dal punto di vista della fede». Proprio la pandemia ci ha fatto «prendere coscienza del bisogno che abbiamo dell’Eucaristia e del vuoto che crea la sua mancanza». Durante il periodo più acuto della pandemia, nel 2020, «sono stato fortemente impressionato, e con me milioni di altri cattolici, da quello che significava ogni mattina assistere in televisione alla Santa Messa celebrata da Papa Francesco a Santa Marta».

Alcune Chiese locali e nazionali, ha ricordato il predicatore, hanno deciso «di dedicare il corrente anno a una speciale catechesi sull’Eucaristia, in vista di un desiderato revival eucaristico nella Chiesa cattolica». Mi sembra, ha fatto notare, una decisione «opportuna e un esempio da seguire, magari toccando qualche aspetto non sempre preso in considerazione».

D’altronde, l’Eucaristia è al «centro di ogni tempo liturgico, della Quaresima non meno che degli altri tempi». È ciò che «celebriamo ogni giorno, la Pasqua quotidiana». Ogni piccolo progresso nella «sua comprensione si traduce in un progresso nella vita spirituale della persona e della comunità ecclesiale». Essa però è anche, purtroppo, «la cosa più esposta, per la sua ripetitività, a scadere a routine, a cosa scontata». Il cardinale Cantalamessa ha ricordato le parole di Giovanni Paolo II , nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), quando afferma che i cristiani devono riscoprire e mantenere sempre vivo «lo stupore eucaristico». Proprio a questo scopo, ha spiegato , vorrebbero servire le riflessioni: «a ritrovare lo stupore eucaristico».

Nei primissimi giorni della Chiesa, ha fatto notare il predicatore, «la liturgia della Parola era distaccata dalla liturgia eucaristica». I discepoli, riferiscono gli Atti degli Apostoli, «ogni giorno, tutti insieme, frequentavano il tempio». Lì ascoltavano la lettura della Bibbia, recitavano i salmi e le preghiere insieme con gli altri ebrei; facevano quello che si fa nella liturgia della Parola; quindi si riunivano a parte, nelle loro case, per «spezzare il pane», cioè per celebrare l’Eucaristia (cf Atti 2, 46).

Ben presto però questa prassi «divenne impossibile sia per l’ostilità nei loro confronti da parte delle autorità ebraiche, sia perché ormai le Scritture avevano acquistato per essi un senso nuovo, tutto orientato a Cristo». Fu così che anche «l’ascolto della Scrittura si trasferì dal tempio e dalla sinagoga ai luoghi di culto cristiani, prendendo a poco a poco la fisionomia dell’attuale liturgia della Parola che precede la preghiera eucaristica».

Nella descrizione della celebrazione eucaristica fatta da san Giustino nel II secolo, ha ricordato il porporato, non solo la liturgia della Parola è parte integrante di essa, ma alle letture dell’Antico Testamento si sono affiancate ormai quelle che il santo chiama «le memorie degli apostoli», cioè i Vangeli e le Lettere: in pratica, il Nuovo Testamento.

Infatti, ascoltate nella liturgia, «le letture bibliche acquistano un senso nuovo e più forte di quando sono lette in altri contesti». Non hanno tanto «lo scopo di conoscere meglio la Bibbia, come quando la si legge a casa o in una scuola biblica», quanto quello di «riconoscere Colui che si fa presente nello spezzare il pane, di illuminare ogni volta un aspetto particolare del mistero che si sta per ricevere».

Questo appare, in modo quasi programmatico, nell’episodio dei due discepoli di Emmaus. Fu «ascoltando la spiegazione delle Scritture che il cuore dei discepoli cominciò a sciogliersi, sicché furono poi capaci di riconoscerlo “allo spezzare del pane” (Lucac 24, 1 ss.)». Quella di Gesù risorto, ha sottolineato, fu la prima «liturgia della parola» nella storia della Chiesa!».

Nella messa poi «le parole e gli episodi della Bibbia non sono soltanto narrati, ma rivissuti; la memoria diventa realtà e presenza». Ciò che avvenne «in quel tempo», avviene «in questo tempo», «oggi» (hodie), come ama esprimersi la liturgia. Per questo «non siamo soltanto uditori della parola, ma interlocutori e attori in essa. È a noi, lì presenti, che è rivolta la parola; siamo chiamati a prendere noi il posto dei personaggi evocati».

Il cardinale Cantalamessa ha, quindi, suggerito alcuni esempi per aiutare a capire: «Una volta si legge, nella prima lettura, l’episodio di Dio che parla a Mosè dal roveto ardente: noi siamo, nella messa, davanti al vero roveto ardente». Un’altra volta si parla di Isaia che «riceve sulle labbra il carbone ardente che lo purifica per la missione: noi stiamo per ricevere sulle labbra il vero carbone ardente, il fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra». La Scrittura proclamata durante la liturgia, ha concluso il cardinale, «produce degli effetti che sono al di sopra di ogni spiegazione umana, alla maniera dei sacramenti che producono quello che significano». E i testi divinamente «ispirati hanno anche un potere di guarigione».

Dall’Osservatore Romano dell’11 marzo 2022

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