Cristo Risorto. Senso e significato della storia

A proposito di una riflessione di Liliana Segre. Di Frà Giuseppe Castronuovo ISSR “A. Pecci” - Matera.

Nei giorni scorsi, in un articolo apparso sul quotidiano la Stampa, la senatrice Liliana Segre evocava i cavalieri dell’apocalisse. Dei quattro ne menzionava soltanto tre. Più precisamente faceva riferimento al cavallo rosso, nero e verde. E diceva: «in giornate come queste ultime, le televisioni e i giornali ci riportano a qualcosa che non avremmo neanche immaginato lontanamente in Europa. Non avremmo immaginato di sentire così vicino a noi il rombo di cannoni, le case distrutte, le persone che piangono e muoiono. Io ho pensato ai quattro cavalieri dell’apocalisse perché, mi chiedo, cosa ci manca ancora? La pandemia l’abbiamo avuta, la guerra, l’odio, la morte, la fame». Già, cosa ci manca ancora?

Le immagini inaudite ed incredibili di morte e distruzione, di donne, bambini, anziani, “ammassati” in sotterranei di fortuna, l’esodo di milioni di persone che fuggono, gli occhi smarriti di bambini persi in un gioco di fughe, filari di gente avvolte in coperte di fortuna ed esposte all’intemperia di un inverno gelido che sa sempre più di notte, di fitta notte, e il rombo assordante di spari, di lampi che squarciano il cielo seminando distruzione, macerie, polvere. Cosa ci manca ancora? Impressionante l’immagine di una madre con accanto un bambino e poco discosto l’altro, pietosamente coperti da un lenzuolo accattato all’ultimo istante, mentre in piedi, una valigia, rimasta incolume, con dentro le cose per un viaggio, senza promesse, che avrebbe portato lontano dall’urlo della morte. Cosa ci manca ancora? La guerra semina i suoi effetti nefandi sugli ultimi, le donne, i vecchi, i bambini, i giovani a cui è rubato il futuro e la speranza. 

Sono loro che pagano il prezzo più alto. Il prezzo impagabile perché sono rubati, strappati alla vita, incamminati verso un dove incerto che ha il sapore dell’esilio. 

Un intero Popolo si auto deporta incamminato in una diaspora che ha il sapore amaro dell’incomprensibile, dell’inaudito, dell’incerto. La maggior parte, però, rimane, auto privati anche della speranza. Fra i poveri ci sono i più poveri, quelli che nessuno guarda in faccia perché sono invisibili, si rendono ombre, deboli e senza voce…

Cosa ci manca ancora? La domanda della Segre, che ben conosce l’ingiusto e ingiustificato dolore inferto all’uomo dall’uomo, scorre uguale nelle vene della Storia, una storia che discrimina e divide il mondo in due tronconi: non buoni e cattivi, ma oppressi e oppressori. 

Eppure qualcuno si è richiamato, in questi giorni terribili, allo stesso grembo, lo stesso fonte all’unico battesimo dei popoli fratelli! Eppure è accaduto che ci si è strappati da quel grembo e qualcuno si è imposto con un “tremendo tradimento”. Caino ha armato, ancora una volta, la sua mano contro Abele il cui sangue perpetua il suo grido dalla terra al cielo: fino a quando? 

Fino a quando si proseguirà la marcia trionfale su strade disseminate di cadaveri, di violenza, di lacrime, di inaudito, ingiustificato dolore? Cosa ci manca ancora?

L’immagine evocata dalla Segre si riferisce all’apertura dei setti sigilli dei quali i primi quattro sono costituiti dai quattro cavalli (Ap.6, 1-8). È importante far notare che l’Autore dell’Apocalisse nel capitolo 4 ha presentato la grande sala del trono di Dio circondato dai ventiquattro vegliardi e dai quattro esseri viventi; il capitolo 5 presenta, invece, ancora una volta la sala del trono e Colui che sedeva sul trono con in mano un grande rotolo sigillato. Sigillato a tal segno, con sette sigilli, che nessuno era in grado di aprirlo e, quindi, di interpretarlo. «Chi è degno, grida l’Angelo, di prendere il libro e di aprirne i sigilli?». Il veggente è così preso da grande sgomento al punto da piangere molto «perché non fu trovato nessuno degno di prenderlo (il libro) e di guardarlo» (Ap 5,2-4). Se nessuno è in grado di sciogliere i sigilli, evidentemente quel libro è destinato a rimanere chiuso, e la storia stessa è destinata alla tragedia di un ineluttabile destino di non senso in cui l’ingiustizia avrà sempre la meglio sulla giustizia. Tuttavia, uno dei veggenti si avvicina al desolato veggente e lo invita risollevarsi: «Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli» (Ap 5,5), mentre si descrive l’incedere, in mezzo ai quattro Viventi e agli Anziani, di un Agnello, ritto, in piedi, come immolato, il quale riceve da Colui che sedeva sul trono il Libro sigillato, e subito in cielo si scioglie il cantico della lode e dell’adorazione: 

«Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popoli e nazione, e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra» Ap 5,9-10).

L’Agnello immolato, il Crocifisso, Risorto è Lui che detiene il destino del mondo, solo Lui conosce, e quindi, può svelare il senso della storia.  

Dopo questo necessario preambolo, veniamo al capitolo 6 in cui l’Agnello scioglie i sigilli.

Il cavallo bianco e il suo cavaliere

Il momento è di grande solennità e di grande attesa: «E vidi, quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, e udii il primo dei quattro esseri viventi che diceva come con voce di tuono: “Vieni”. E vidi: ecco, un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona ed ecco uscì vittorioso per vincere ancora» (Ap 6,1-2). La storia, malgrado tutto, è sotto il segno di Cristo che precede il segno di Adamo: il male è combattuto e vinto sin dal suo ingresso nel mondo.

Il Cavaliere, Cristo Agnello, tiene fra le sue mani un arco, simbolo della sua Parola che ferisce. E risana perché è la Parola di un inappellabile giudizio; il Cristo Agnello è incoronato perché ha già vinto, è dunque vittorioso ed uscì per vincere ancora (cfr. 6,2). Il primo sigillo, precede tutti gli altri è fatto di luce, di vittoria, il bianco rimanda alla resurrezione di Cristo, e il cavallo bianco simbolo di forza percorre e attraversa tutta la storia. È la positività irriducibile di Dio che giudica e si impone sul riduzionismo dei progetti umani che si oppongono al progetto di Dio che è un progetto di luce e di pace.  Si noti che l’Autore dell’Apocalisse scrive per una chiesa perseguitata e vilipesa dal potere statale dell’imperialismo romano, dalle lotte con la sinagoga e dalle divisioni interne alla stessa chiesa. A un popolo depresso dalle persecuzioni cruente, l’Autore presenta il Cavaliere incoronato  che ha già conseguito la vittoria, e questa sua vittoria è permanente, continua e definitiva, ultimativa: «il simbolo del cavallo bianco e del cavaliere ribadisce e attesta la presenza attiva, nella storia della resurrezione di Cristo, della sua vitalità, della sua parola. Assicura e rassicura sulla vittoria di Cristo sul male. Egli ha già ricevuto la corona della vittoria e la dona anche a noi, affinché possiamo condividere con lui il risultato finale. Cristo è vincitore da sempre e per sempre; e comunica anche a noi questa certezza di vittoria, vuole che ci uniamo a lui e vinciamo con lui» (U. Vanni). Cristo centro del cosmo e della storia tutta l’attraversa con la potenza della sua resurrezione, i credenti in lui sono chiamati essere gioiosi e lieti di appartenere a lui, ad unirsi intimamente a lui, e a renderlo presente là dove Egli non è ancora presente, come il senso degli altri tre sigilli affermano. 

Il cavaliere che cavalca un cavallo rosso

Il secondo sigillo è relativo al cavallo rosso e al suo cavaliere, al quale «fu dato potere di togliere la pace dalla terra e di far sì che si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada» (Ap 6,4). Siamo all’immagine terebrante della distruzione dell’uomo sull’uomo, della violenza autorizzata, magari dallo stato, dai poteri occulti che attraversano la storia e si oppongono a Cristo. Il colore rosso fuoco è il colore della forza demoniaca, dell’anti-creazione, opposta e ostile a Cristo. La violenza ha sempre una radice demoniaca, sempre, si pensi al totalitarismo delle ideologie, alle mafie, o ai crimini contro l’umanità perpetrati in nome di una ingiustificabile superiorità della razza. La guerra ha sempre anche una radice di opposizione al progetto di Dio perché genera divisione e si nutre di odio, di vendetta, di rancore e tutto questo discrimina e si afferma come anti-creazione, bestemmia contro Dio e contro l’uomo. Anche nel mezzo di questo orrore i credenti in Cristo sono chiamati a rendersi presenza viva di Cristo nel ripudio di ogni forma di violenza, di vendetta, di odio e di rancore certi, che fra le arcate spezzate della storia sono chiamati ad essere costruttori di ponti, tessendo relazioni di pace, soprattutto dell’estirpare sul nascere ogni sentimento di rivalsa e di vendetta. E questo è possibile nella misura in cui si è totalmente afferrati da Cristo, dalla sua passione e morte, dalla sua resurrezione. Il cavaliere rosso, si noti, non ha potere autonomo, l’Autore lo sottolinea inserendo un passivo divino che limita la potenza demoniaca del maligno e delle sue opere. In altri termini nell’affermazione rivolta al cavaliere rosso: «fu dato potere di togliere la pace dalla terra», si attesta che la storia è guidata ed è condotta da Dio che in Cristo trova il suo significato più profondo, ed è davanti a Cristo che saranno giudicate le genti (Ap, 1,5b-8) infatti, «la salvezza appartiene a Dio  seduto sul trono e all’Agnello» si dirà in Ap 7,10.

Il cavaliere che cavalca un cavallo nero

Il terzo sigillo è costituito dal cavaliere nero, simbolo di oscurità e di ingiustizia assurta a sistema sociale. Il cavalier che cavalca il cavallo nero tiene fra le mani una bilancia, una bilancia falsa che pende sempre dalla parte dei potenti e dei magnati della terra, di coloro che si ingrassano calpestando il povero, sterminando gli umili del paese, dissacrando il sabato, che aumentano il prezzo e diminuiscono la misura, che schiavizzano gli indigenti e comprano i poveri per un paio di sandali. «Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: “Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere”» (cfr. Am 8,4-7).

«L’ingiustizia sociale che differenzia le varie classi penalizza chi è più debole e favorisce, invece, le persone “privilegiate”, alle quali, adulandole, viene permesso il lusso fino all’eccesso. Questa situazione di ingiustizia, vista come uno degli elementi più negativi che attraversano la storia, è un messaggio particolarmente incisivo e attuale» (U. Vanni).

Il cavaliere che cavalca un cavallo verde

Ed in fine il cavallo verde, simbolo della precarietà, della morte e del morire che accompagnano la vita, il cavaliere, infatti, porta il nome morte e semina morte, si pensino alla fame, alla carestia, e tutto trascina nel regno dell’invisibile, degli inferi. 

Il colore verde è anche simbolo della decomposizione di tutto e della fragilità della vita che la Scrittura paragona all’erba che fiorisce al mattino e avvizzisce la sera.

Il secondo, il terzo e il quarto sigillo rappresentano, dunque, una sorta di anti-creazione, la pretesa di voler ri-creare il mondo dal male che è combattuto e vinto dal Cristo Agnello che solo persiste con la sua vittoria permanente sul male, sulla violenza elevata a sistema e sulla morte. Con un balzo in avanti al capitolo 19 l’autore sacro ci presenta ancora il Cavaliere bianco con i tratti della sua permanenza e presenza nella storia e con l’annientamento definitivo di tutto il sistema dell’iniquità:

«11Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava Fedele e Veritiero: egli giudica e combatte con giustizia. 12I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui. 13È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è: il Verbo di Dio. 14Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. 15Dalla bocca gli esce una spada affilata, per colpire con essa le nazioni. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell’ira furiosa di Dio, l’Onnipotente. 16Sul mantello e sul femore porta scritto un nome: Re dei re e Signore dei signori» Ap 19,11-16).

Il male, la morte e la violenza non avranno, dunque, l’ultima parola!

Per chiudere vorrei riprendere il testo della Segre e rilanciare, alla nostra coscienza, la domanda con cui ella chiudeva il suo scritto: «mi chiedo, cosa ci manca ancora? La pandemia l’abbiamo avuta, la guerra, l’odio, la morte, la fame»!

Ai cari fratelli, vittime dell’ingiustificabile violenza e guerra, vogliamo dire che nel loro grido di dolore si insinui il balsamo del Cristo Agnello che Risorto sta in mezzo al trono, ed Egli è il loro pastore che non cessa di guidare alle fonti delle acque della vita. Perché Dio rivendica il loro ingiusto dolore e asciugherà ogni lacrima dai loro occhi. (cfr, Ap 7,16-17).

Di Frà Giuseppe Castronuovo – ISSR “A. Pecci” – Matera.

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