Il testo, spiega la docente dell’Università cattolica, “rappresenta ‘una scatola degli attrezzi’ estremamente utile per chi è nel ruolo di progettare politiche sociali e realizzare interventi, perché non si limita a fornire generiche ‘linee guida’, ma delinea anche nel dettaglio gli interventi”.
“Educazione, equità, empowerment”: sono le tre aree d’intervento in cui è strutturato il 5° Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, il cui testo definitivo è stato deliberato dal Consiglio dei ministri, nella seduta del 21 gennaio. Ora sarà adottato con decreto del presidente della Repubblica. Del Piano parliamo con Rosa Rosnati, ordinario di Psicologia sociale all’Università Cattolica di Milano, membro del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla famiglia, direttore del master “Affido e adozione e nuove sfide dell’accoglienza famigliare: aspetti clinici, sociali e giuridici” dell’Università Cattolica, membro esperto dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza.
Professoressa, perché è importante questo Piano?
Perché finalmente si potranno accendere i riflettori sui bambini e sui ragazzi avendo delle proposte concrete in mano. Sappiamo bene che, durante le prime fasi della pandemia, i bambini e i ragazzi sono stati del tutto invisibili. L’attenzione era stata posta giustamente su quelle fasce della popolazione maggiormente a rischio, soprattutto sugli anziani. Solo successivamente sono emersi gli effetti a lungo termine, a volte davvero deleteri, che la pandemia ha avuto sui minori: aumento di disturbi d’ansia, disturbi alimentari, aumento degli accessi al pronto soccorso psichiatrico, autolesionismo e più frequentemente ritiro emotivo, abbandono scolastico, aumento dei Neet e così via. E questa onda d’urto non accenna a diminuire.
Di che cosa parla questo disagio diffuso?
Parla del corpo. Mi ha colpito molto un’espressione usata da Alberto Pellai durante un incontro dell’Osservatorio che definiva gli adolescenti di oggi “decorporeizzati”: sono a scuola ma sono a casa, sono qui e sono altrove, chattano e non incontrano, costantemente connessi e raramente in relazione con l’altro, i confini del corpo sono diventati labili eterei evanescenti; davanti al video aumenta la preoccupazione per l’aspetto corporeo. E poi parla della mancanza di futuro, come se fosse stato tolto loro l’ossigeno.
Se già il futuro aveva tinte fosche, ora lo è ancora di più e l’incertezza impedisce proprio di guardare al futuro. Questo indebolisce fino a spegnere la capacità progettuale.
La situazione è stata aggravata dal Covid?
La pandemia è stata una cartina tornasole: se in Italia in generale si era investito davvero poco sulle giovani generazioni, questo si è reso ulteriormente visibile durante l’emergenza. A maggior ragione è urgente intervenire e il Piano d’azione rappresenta “una scatola degli attrezzi” estremamente utile per chi è nel ruolo di progettare politiche sociali e realizzare interventi, perché non si limita a fornire generiche “linee guida”, ma delinea anche nel dettaglio gli interventi, come strutturarli, da chi devono essere promossi, chi sono i destinatari, i tempi di attuazione, le risorse da impegnare e gli esiti attesi, con una scansione piuttosto particolareggiata.
Quali sono le maggiori difficoltà che incontrano oggi i più vulnerabili?
Lo stesso concetto di vulnerabilità forse è da rivedere: certamente ci sono alcune categorie particolarmente a rischio, ma
la vulnerabilità oggi accomuna tutta la generazione dei bambini e dei ragazzi esposta agli effetti della pandemia ed attraversa quelle categorie e le diverse fasce sociali.
Oltre povertà materiale, è necessario considerare anche la povertà educativa, ad essa solo parzialmente correlata. E per avere una visione più chiara è necessario far riferimento anche alla povertà relazionale (disponibilità di tempo e risorse per la cura, fiducia relazionale, soddisfazione per le relazioni…) che impatta fortemente sul benessere dei bambini e dei ragazzi.
Quali sono le azioni previste per la salute e il benessere integrale di bambini e adolescenti?
Si è lavorato a 360 gradi: si va dai bambini fuori famiglia agli interventi di inclusione dei minori stranieri non accompagnati, alla presa in carico bambini che subiscono abusi e maltrattamenti, ai bambini in situazioni di povertà e marginalità; dalla diffusione e implementazione dei servizi educativi 0-3 agli interventi per potenziare le life skills e per contrastare il cyberbullismo solo per fare alcuni esempi.
Il tutto inquadrato entro tre direttrici stabilite dalle tre “E”, ovvero educazione, equità ed empowerment.
C’è un’azione prevista nel Piano che ci vuole spiegare più dettagliatamente?
Sì, la prevenzione del disagio e la promozione del benessere integrale dei bambini e dei ragazzi mediante la diffusione e l’implementazione del servizio di psicologia scolastica in tutte le scuole di ogni ordine e grado del Paese. Non si tratta di semplice sportello di psicologia scolastica, ma di un servizio inteso come insieme di azioni realizzate con le classi, gli insegnanti e i genitori per potenziare le relazioni, prevenire le situazioni di disagio e intercettare precocemente quelle esistenti. Il servizio è pensato in ottica di psicologia di comunità, quindi non solo e non tanto diretto al singolo caso, quanto finalizzato all’attivazione di una rete sociale attraverso il lavoro di gruppo, ad esempio attraverso i percorsi di enrichment familiare, volti alla promozione delle risorse familiari e sociali. Un servizio in connessione con il territorio e dentro una rete dei servizi per realizzare progetti che vedano il coinvolgimento delle famiglie e che trovino nei consultori familiari, da potenziare, il perno fondamentale.
Ci sono aspetti problematici nel Piano?
Un elemento di rischio nell’attuazione degli interventi è focalizzare l’attenzione su bambini e ragazzi come se fossero individui isolati e non figli che intessono relazioni familiari fondamentali per la loro identità: il rischio, in altre parole, è quello di dicotomizzare le famiglie da una parte e i bambini e gli adolescenti dall’altra. Troppo spesso il focus è posto solo sui bambini o sugli adolescenti: ma la capacità degli adolescenti di costruire un progetto di vita dipende in primis dal trovare adulti dentro e fuori la famiglia che li sappiano orientare e indirizzare. D’altra parte, lo sviluppo e la crescita dei bambini e dei ragazzi è una impresa evolutiva congiunta. Occorre quindi lavorare sempre su due fronti se vogliamo interventi efficaci. Non possiamo occuparci degli adolescenti senza occuparci anche dei loro genitori e delle loro famiglie.
E sul fronte adozioni?
Nel piano si prevendono interventi atti a rilanciare le adozioni, soprattutto a sostenere le famiglie nel percorso adottivo, e a promuovere l’affido familiare come alternativa alle comunità residenziali, ma anche forme di prevenzione dell’allontanamento come l’affiancamento familiare e il progetto “Pippi” (Programma di intervento per la prevenzione dell’istituzionalizzazione). Questione cruciale è la formazione degli operatori su questi specifici temi e la creazione di équipe multidisciplinari composte da assistenti sociali, psicologi, educatori, neuropsichiatri e pediatri di base. Questo è proprio l’ambito di cui mi occupo da tempo a livello di ricerca, didattica e formazione degli operatori e su cui abbiamo da tempo promosso un master di secondo livello oggi alla sua sesta edizione.
Il Piano aiuterà a rendere più roseo il futuro di bambini e ragazzi?
Oggi abbiamo davanti una grande occasione per creare alleanze all’interno del mondo degli adulti e comprendere che i figli non sono solo i propri figli, ma sono la generazione sociale, su cui investire:
è una occasione preziosa per ripensare in modo generativo alle modalità educative, a creare spazi e opportunità per i giovani.
Di Gigliola Alfaro dal SIR del 31 gennaio 2022
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