Negli ultimi anni si è assistito a un forte calo della produzione delle clementine, una specie di mandarino che non manca mai sulla tavola degli italiani nel periodo invernale. Il raccolto che negli anni scorsi aveva una durata di tre mesi si è via via accorciato non andando ormai oltre le sei settimane. L’Italia, che in passato era un paese esportatore di questi agrumi, attualmente deve ricorrere alle importazioni per rifornire i mercati, importazioni che provengono dalla Spagna e dal Nord Africa.
Anche in questo caso si dice che la causa sta nel riscaldamento globale e anche in questo caso i contadini non mancano di commentare a modo loro: “non ci sono più le stagioni di una volta”. Il riscaldamento globale pare però in questo caso tutto da verificare, visto che nei paesi nordafricani, dove gli effetti del surriscaldamento dovrebbero essere maggiori, la produzione non ne ha risentito.
Attorno a questa coltura c’è un certo interesse culturale. A ottenere questa selezione, che ha il pregio di dare frutti privi quasi del tutto di semi, fu oltre un secolo fa un frate francese, missionario in terra algerina, a Misserghin presso Orano.
Un tempo i monasteri erano luoghi dove potevano esserci monaci che si dedicavano alla sperimentazione di innovazioni nelle colture agricole. Del resto, anche il padre della genetica moderna Gregor Mendel, era un abate. Da monaco, Mendel aveva iniziato a prendersi cura dell’orto del monastero; fu nelle piante dei piselli che vi erano coltivati che osservò le prime caratteristiche della genetica.
Il frate francese che fu inviato in missione in Algeria si applicò allo studio dei mandarini presso l’orto dell’orfanotrofio tenuto dai frati. Il suo nome era Vital Rodier, in religione fratello Marie-Clément, ed è per questo che al frutto è stato dato il nome di clementina.
Altra nota degna di rilievo è il valore che ha assunto questo tipo di agrume come simbolo del contrasto alla violenza contro le donne da quando a Corigliano Calabro la povera Fabiana Luzzi, lavoratrice stagionale di appena sedici anni, fu uccisa con venti coltellate dall’ex fidanzato proprio in un campo di clementine, mentre era impegnata nel raccolto.
Per far fronte all’attuale crisi produttiva delle clementine, i coltivatori italiani puntano alla piantumazione di nuove piante che dovrebbero essere in grado di fruttificare come prima e meglio di prima. Poi, spiega al sito internet de Il Post l’amministratore delegato di OP Marco Eleuteri, «ci sarà una prima fase, che durerà tre anni, con una produzione estesa su 250 ettari di superficie concentrati in Campania, Puglia, Basilicata e Calabria. Ci saranno probabilmente accordi con altri produttori».
Il progetto coinvolgerà le OP (Organizzazione Produttori ortofrutticoli) del territorio meridionale, le quali hanno già fatto sapere di credere molto nel rilancio delle clementine, sia perché si potrà allungare la stagione del raccolto sia perché il prodotto dovrebbe avere una buona commercializzazione; il nuovo frutto, infatti, avrà dimensioni superiori a quello della varietà comune, pur conservando lo stesso gusto.
Sono nuove opportunità che si aprono anche per l’agricoltura lucana, già in passato in prima linea nel rilancio delle colture agricole. Fu Agrobios di Pantanello a “salvare” il pomodoro San Marzano quando era ormai quasi scomparso dal mercato. La speranza è che le Organizzazioni Produttori, con il rilancio delle clementine, possono assicurare ricadute sul nostro territorio. Le OP regionali, come osserva la Regione Basilicata, sono una realtà promettente che registra già oggi un consistente aumento del valore della produzione commercializzata.
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