È difficile e può sembrare perfino un azzardo introdurre qualche nota positiva mentre il numero dei contagi di covid19 ha raggiunto il massimo storico. La prima evidenza positiva emerge da un grafico che è stato pubblicato sul suo profilo twitter da Pierluigi Lopalco, docente di Igiene all’Università di Pisa e assessore alla Sanità della Regione Puglia per gran parte dell’emergenza pandemica. È un grafico che ha ispirato il titolo di questo articolo, ovviamente con tanto di punto interrogativo.
La rappresentazione grafica riportata da Lopalco non considera l’andamento dei contagi che, come si è detto, in questi giorni di gennaio ha registrato purtroppo una brusca risalita. Si riferisce piuttosto alla letalità legata al virus. Qui si può notare che, nonostante il livello sempre critico della letalità tra i non vaccinati, tra chi invece si è sottoposto regolarmente al trattamento prescritto, i livelli di letalità sono ormai assimilabili a quelli della comune influenza stagionale.
Tante volte si è detto, in maniera scorretta, che la pandemia non sarebbe che una semplice influenza. Da un certo punto di vista, questo oggi potrebbe essere realmente vero per coloro che si sono vaccinati e limitatamente al rischio di morte. Il grafico reso noto dal docente pisano riporta anche il dato disaggregato dell’incidenza della letalità tra la popolazione totale e quello della popolazione più anziana che, come si è visto in questi anni, è quella di gran lunga più vulnerabile.
Confrontando invece i dati relativi ai vaccinati e quelli dei non vaccinati, ognuno potrebbe fare facilmente le sue valutazioni. Tante polemiche si sono fatte a riguardo, a proposito e a sproposito. Non c’è ragione di insistere sui toni polemici. Guardando il grafico suddetto, ognuno può decidere liberamente se collocarsi nella categoria dei vaccinati o in quella dei non vaccinati e stabilire di conseguenza quali rischi è disposto a correre. Anche se, a volerla dire tutta, questo non può essere lasciato alla libertà personale, dal momento che chi decide di affrontare il rischio di esporsi al contagio, in realtà trascina in questo rischio anche chi dovesse avere la sfortuna di andargli incontro.
Altra nota positiva non riguarda la nostra società occidentale ma il continente africano, dove si temeva che per l’assenza di un efficiente sistema di assistenza sanitaria, il covid19 sarebbe dilagato senza incontrare alcuna resistenza. Tutto questo fortunatamente, almeno fino a questo momento, non si è registrato. Su questo delicato argomento è intervenuto Federico Rampini, con un articolo del 6 gennaio sul Corriere della Sera. «L’ecatombe da Covid nell’Africa subsahariana» sostiene Rampini, «annunciata regolarmente da quasi due anni, non è mai cominciata e forse non accadrà mai. Di Covid si muore di più in Italia che nei Paesi più poveri del pianeta, benché il loro accesso ai vaccini sia scandalosamente basso. La spiegazione scientifica è limpida: la giovanissima età media li protegge, quasi quanto il vaccino».
Il dato statistico fa veramente impressione, numeri che Rampini attinge dalla banca dati Our World in Data: «In Italia – che purtroppo si colloca nella fascia alta della media occidentale – la pandemia ha provocato 229 morti ogni centomila abitanti, in Uganda sette decessi su centomila persone, in Nigeria due. La rassegna dei Paesi africani riserva la stessa piacevole scoperta, la mortalità varia dai 15 decessi su centomila abitanti in Gambia e Gabon, ai due del Burkina Faso. In mezzo a questi elenchi si celano molte tra le nazioni più povere del pianeta».
Il dato è confermato anche dalle rilevazioni statistiche delle “morti in eccesso” registrato nei singoli paesi, dato oggettivo e quindi assolutamente attendibile. Tutto questo, nonostante i paesi africani siano stati discriminati in maniera “innegabile e imperdonabile” scrive Federico Rampini. Evidentemente, vogliamo aggiungere noi, perché qui la Provvidenza ha voluto giocare la sua parte nel regolare i conti tra paesi ricchi e paesi poveri.
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