Si è concluso con un nulla di fatto, com’era del resto prevedibile, il Seminario Nazionale della Sogin per l’approfondimento degli aspetti tecnici relativi al Deposito Nazionale dei rifiuti nucleari e dell’annesso Parco Tecnologico. Il Seminario aveva lo scopo principale di interloquire con le regioni che, secondo la società che ha il compito di mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi, sarebbero potenzialmente idonee a ospitare il Deposito nazionale.
I territori ritenuti idonei a questo scopo sono collocati in sette regioni italiane: Sardegna, Sicilia, Basilicata, Puglia, Toscana, Lazio, Piemonte. Per le prime due della lista, trattandosi di isole, appare in verità poco probabile che possano ospitare il Deposito dal momento che le leggi italiane che disciplinano il trasporto via mare di materiale radioattivo rendono estremamente complesse e a costi decisamente proibitivi le operazioni di trasferimento.
Realisticamente, dunque, i territori che potranno essere presi in considerazione sono quattro, Toscana, Lazio, Piemonte più una quarta zona a cavallo tra la Basilicata e la Puglia, ricadente in gran parte nel territorio comunale di Matera.
Il Seminario si è concluso il 24 novembre con la sessione plenaria di chiusura, dopo sette sessioni di lavoro con le Regioni e nove incontri che hanno visto la partecipazione di numerosi rappresentanti di Enti locali, associazioni, comitati, organizzazioni datoriali e sindacali dei territori, di singoli cittadini e di relatori tecnico-istituzionali.
Adesso è attesa la pubblicazione degli atti del Seminario che avverrà in tempi brevi per poter avviare al più presto la seconda e decisiva fase della consultazione pubblica che avrà una durata di trenta giorni. È la fase a questo punto più delicata, dal momento che da tutti i territori regionali si è registrata un’unanime e netta contrarietà a ospitare il Deposito nazionale. Se nessuna delle aree potenzialmente idonee manifesterà nel frattempo un ripensamento, avanzando una propria candidatura, la decisione sarà presa dai ministeri competenti in materia.
Ottenuto il via libera ministeriale e quello di Isin (Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione), la Sogin potrebbe procedere all’indivuazione del sito anche prescindendo dalle valutazioni fatte nelle varie interlocuzioni con i territori coinvolti e dai criteri adottati dalla Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI).
Le opposizioni presentate dalle regioni si sono concentrate essenzialmente sulla minaccia ambientale attribuita al Deposito nazionale o sulla tutela delle colture pregiate. Non si sa però quale peso queste osservazioni potrebbero concretamente avere se si pensa che in Francia uno dei Depositi di rifiuti radioattivi è collocato nella zona di una delle produzioni enologiche più pregiate in assoluto, quella dello champagne, e dove non si è registrata alcuna perdita economica per le aziende che operano nel settore. E l’impianto che si intende costruire in Italia è praticamente identico a quello del distretto dello champagne.
Comunque – bisogna dirlo – su questa difficilissima partita anche la Sogin ha commesso i suoi errori, per esempio nella comunicazione. E nonostante fosse chiaro a tutti che proprio sulla comunicazione e sulla partecipazione al dibattito da parte dei territori si giocava tutto. Nel nostro territorio della provincia di Matera ricordiamo molto bene cosa è avvenuto a questo proposito a Scanzano nel 2003. Spiace che la lezione non sia servita a molto.
Non si sarebbe finiti in questo vicolo cieco se la Sogin avesse avuto l’accortezza di focalizzare la questione sul problema assolutamente prioritario della bonifica dei territori che già oggi sono pericolosamente esposti al rischio radioattivo per la mancanza, in tutta la nazione, di un efficiente sistema di smaltimento dei rifiuti. Il Deposito nazionale, in questa maniera, sarebbe stato visto come la soluzione al problema e non, come invece è avvenuto, il problema. Tutti, quindi, avrebbero potuto a quel punto essere consapevoli, una consapevolezza che purtroppo ancora manca, che il rischio ambientale non deriva tanto da avere un Deposito ma dal fatto di non averlo. La partita, però, ancora non è finita e tanto tempo perduto su questa grave emergenza si potrebbe recuperare.
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