Matera e l’ospedale Miulli, una polemica inutile che fa male alla gente

È giunto il momento di riconoscere le eccellenze della sanità meridionale e pensare a una più equa ripartizione della spesa sanitaria nazionale

Spiace che questioni che riguardano la salute della popolazione finiscano per scadere nella polemica politica che sicuramente tutti vorremmo mettere da parte in questi casi. Come spiace che quando si parla di assistenza sanitaria nelle regioni meridionali tutto viene ricondotto a presunte disfunzioni, senza guardare alle eccellenze che fortunatamente nel nostro territorio cominciano a emergere.

Don Domenico Laddaga è amministratore dell’ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti quale delegato del governatore, carica di cui è titolare il vescovo di quella diocesi, mons. Ricchiuti. Ha rilasciato recentemente una dichiarazione, facendo seguito a un breve comunicato dell’ente ospedaliero, che ha avuto grande risonanza e con la quale spiega che l’ospedale Miulli si trova nell’impossibilità di accettare pazienti provenienti da fuori del territorio pugliese, sia per le prestazioni ambulatoriali e le terapie, sia per i ricoveri. Don Laddaga, in particolare, ha invitato le regioni limitrofe a trovare un accordo con la Puglia per reperire più fondi da destinare al Miulli.

È una dichiarazione quella del sacerdote che ha provocato una replica un po’ risentita da parte dell’assessore regionale Rocco Leone per il quale la Regione Basilicata «non ha alcuna responsabilità né competenza in merito allo sforamento del tetto di spesa di una struttura di un’altra Regione».

In realtà l’ospedale Miulli non ha sforato alcun tetto di spesa ed è proprio per evitare questo rischio che ha sospeso le prestazioni ai cittadini che provengono da fuori regione; una disposizione che, come è facile capire, interessa prevalentemente i cittadini materani che ormai gravitano sempre più spesso sul vicino nosocomio pugliese. Qualcuno attribuisce questa critica situazione a un incauto depotenziamento dell’ospedale di Matera operato dalla Regione Basilicata, ma come si diceva prima è meglio lasciare fuori da questa storia ogni sorta di polemica.

Più utile sarebbe porsi piuttosto alcune domande. Come mai quando una struttura sanitaria di una regione meridionale incrementa le proprie prestazioni in favore dei cittadini scatta subito il semaforo rosso che segnala il rischio di uno sforamento del tetto di spesa? E come mai quando questo avviene in una struttura delle regioni del nord Italia ciò diventa, invece, segno di efficienza, di eccellenza e di attrattività della sanità regionale? Qualcuno dovrebbe spiegare questo mistero.

C’è da dire inoltre che se è giusto contenere in limiti prestabiliti le risorse utilizzate nella gestione delle aziende sanitare, non è certo ragionevole stabilire un tetto alle prestazioni sanitarie a beneficio dei cittadini, quando queste sono necessarie e ineludibili.

Per fare un esempio, sarebbe una follia che in un bilancio familiare si ponesse un tetto alla spesa sanitaria, raggiunto il quale non ci si curerebbe più e ci si lascerebbe morire. Se si raggiunge il tetto prefissato, si devono trovare altri soldi perché tutti i membri della famiglia possano ricevere le cure necessarie. Questo dovrebbero farlo anche i politici nell’ambito della gestione della cosa pubblica, invece di mettersi a guardia dei tetti di spesa. Ed è semplicemente questo cui alludeva don Laddaga nella sua dichiarazione.

Il sacerdote del Miulli, in sostanza, afferma che la struttura che egli guida ha raggiunto ormai standard di eccellenza notevoli che la portano a essere preferita da tanti pazienti che una volta erano costretti a cercare tali livelli di eccellenza nelle strutture sanitarie del nord Italia. Non è giunto quindi il momento di rivedere la ripartizione della spesa sanitaria nazionale?

Don Laddaga ha dichiarato a questo proposito all’emittente TRM: «C’è una situazione politica che privilegia le strutture del nord e non fa crescere le strutture del sud. Noi stiamo tentando di crescere e queste sono le difficoltà che incontriamo». Ci sono regioni meridionali che spendono cifre enormi a favore delle strutture del nord quando gli stessi servizi e lo stesso livello delle prestazioni possono essere offerti ormai in strutture più vicine ai cittadini. Riusciamo a immaginare quale enorme vantaggio economico ricadrebbero sulle regioni meridionali se le risorse della sanità fossero trattenute nel proprio territorio?

Ciò comporta certamente un cambiamento di mentalità per immaginare un sistema sanitario del sud come una rete integrata a livello macroregionale. Una realtà nuova e dinamica, con una cabina di regia capace di caratterizzare questo sistema. Si tratta dunque di abbandonare un modello fortemente centralizzato, come per esempio quello lucano, che finisce per emarginare sempre più le periferie; un sistema privo di una reale forza gravitazionale e quindi condannato inevitabilmente a perdere via via pezzi, fino al rischio di collassare nel peggiore dei modi.

In considerazione dei costi delle prestazioni ospedaliere, è inimmaginabile che una singola azienda riesca a soddisfare ogni genere di cura garantendo anche idonei livelli di qualità, tanto più una regione povera di risorse come sono quelle meridionali. Ma creare nel sud una rete di eccellenze nel campo della sanità che sia competitiva con le regioni del nord è oggi possibile, purché si accantonino concezioni ormai superate e, tra l’altro, drammaticamente travolte dall’emergenza sanitaria in atto. Don Laddaga, col suo intervento, ha voluto soltanto dirci che possiamo credere che qualcosa nella sanità meridionale sta finalmente cominciando a cambiare.

Foto Miulli.it

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Paolo Tritto

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