Assurge periodicamente ai fasti della cronaca nel mondo occidentale, con la pretesa di entrare nella storia, la figura del libertario. Questi è apparso in Italia nei recenti scontri dei No Vax con la forza pubblica quasi come circonfuso da un’aura da rivoluzionario giacobino, sapientemente condita con vaghi sentori di estremistiche frange sessantottine. Elementi questi che gli sono valsi – presso una certa opinione pubblica cronicamente poco informata e meno ancora ‘formata’ – il costituirsi di un nutrito seguito di sgangherati assertori di un libertarismo armato avverso all’ordine pubblico, che a tratti minaccia di tradursi in vero e proprio terrorismo, di cui per la verità nessuno da tempo avvertiva la mancanza.
Con temeraria, arrogante autoreferenzialità, i libertari di turno vanno proclamando al popolo allettanti principi che non ammettono limiti alle libertà individuali (salvo nell’ambito di quello che essi stessi ritengono utile e conveniente) e in ogni caso vivono con disappunto qualunque costrizione imposta dall’esterno. Essi sono convinti che ognuno dovrebbe avere il diritto di pensare quello che vuole, senza alcuna pastoia o ostacolo di sorta, specie se imposti da un potere espresso attraverso regole giuridicamente o tradizionalmente prestabilite. D’altronde, la maggior parte dei libertari non si pone il problema di avere una visione o un progetto coerente di quello che dovrebbe essere la società. Il loro riferimento non è tanto una specifica dottrina politica, quanto la convinzione di poter dettare agli altri la maniera di pensare come loro, elevandola a regola universale. Il che si giustifica col fatto che il libertario in fondo si occupa solo di sé stesso. Poste tali premesse, la sua può identificarsi in una pseudo-dottrina politica orientata a spingersi fino all’estremismo anarchico. Ne abbiamo fatto esperienza di recente, assistendo alle violente manifestazioni No Vax indette in nome della pretesa libertà di rifiutare i presidi medici posti dal governo a difesa della salute pubblica.
Infatti, raramente un libertario è dotato di una personalità tranquilla, più spesso è un ribelle che odia le gerarchie e si oppone per principio alle regole che agli altri appaiono necessarie per il funzionamento dei gruppi, delle famiglie, delle aziende, della politica. D’altronde, egli percepisce gli altri come estranei e rivali, in quanto portatori di aspettative, priorità, desideri diversi rispetto ai suoi, il che lo indurrà inevitabilmente ad entrare in conflitto di interesse con chiunque non accetti le sue convinzioni. Il libertario inoltre pretende di essere rispettato senza preoccuparsi della singolarità del suo interlocutore, cercando ogni occasione di controversia e di conflitto, fino a diventare vendicativo e misantropo e a condurre la vita a modo suo, assumendo un atteggiamento acido e ipercritico.
Quanto alle recenti imprese dei libertari in Italia, si è trattato qua e là di veri e propri tentativi di sommosse popolari, cui hanno prontamente aderito gruppi di facinorosi delle cosiddette forze extraparlamentari inneggianti a regimi autoritari, che in effetti di libertà hanno avuto ben poco di cui fregiarsi, avendola strenuamente combattuta e all’occorrenza disinvoltamente soffocata nel sangue. E questa è solo la prima delle numerose, vistose contraddizioni che si possono riscontrare nel comportamento tenuto dai No Vax nei più recenti avvenimenti. I libertari emergenti in tempo di pandemia che – facendosene vanto – sventolano la bandiera del rifiuto a vaccinarsi, senza giusti impedimenti di carattere terapeutico, sono poi le stesse persone che approfittano dell’immunità di comunità faticosamente e dignitosamente perseguita dal sistema sanitario italiano. Questo ambito traguardo, finalmente in via di raggiungimento, si realizzerà infatti solo per merito delle numerose persone che hanno accettato (e ancora accetteranno) di sottoporsi al vaccino per dovere civico e fiducia nelle istituzioni, e di quell’esercito di medici ed infermieri che ogni giorno da due anni a questa parte rischiano la vita. Peraltro, i libertari che oggi inneggiano ai loro presunti diritti hanno usufruito e tuttora usufruiscono – come qualsiasi cittadino italiano ed europeo – dei cospicui investimenti di fondi comunitari elargiti in tempo di pandemia a tutela della salute pubblica.
Continuare ad enucleare le contraddizioni di questo comportamento forse servirà a poco. I libertari, come i loro alleati negazionisti, sono comparsi periodicamente all’affacciarsi di tutte le epidemie di cui si conservano tracce storiche, letterarie o cronachistiche. Nel romanzo La Peste, intensa opera pubblicata nel 1947 dal filosofo esistenzialista Albert Camus, si narra di un’epidemia scoppiata ad Orano, in Algeria, durante la dominazione francese, raccontata in terza persona dal protagonista, il medico Rieux. Nel testo si rileva che, nonostante l’obbligo del cordone sanitario imposto da Parigi, molti cittadini algerini continuavano a frequentare liberamente bar, teatri e luoghi pubblici, mentre cresceva in maniera esponenziale il numero delle vittime. Analogo a questo pare sia stato il comportamento degli avellinesi durante l’epidemia di peste del 1656, almeno a quanto si legge in una cronaca del tempo: Historia del contagio ad Avellino dell’abate Michele Giustiniani. L’alto prelato aveva conosciuto gli effetti devastanti di un’altra epidemia pochi anni prima, nel 1652, quando era stato a capo della diocesi di Aleria in Corsica. Sta di fatto che i suoi prudenti consigli ed avvertimenti rimasero a lungo inascoltati persino dal vescovo e dagli amministratori della città, tanto che il Giustiniani preferì ritirarsi in isolamento nel seminario di Avellino (che sorgeva al largo dell’Annunziata, in Piazza delle Libertà, al posto dell’odierno Episcopio) per dedicarsi con solerte cura a scrivere la cronaca degli eventi nefasti provocati dall’imperversare della peste in città.
A conti fatti, l’unica spiegazione plausibile di questa reiterata sottovalutazione dei rischi sanitari in alcune frange della popolazione (al netto di secondi fini meno nobili) sta nell’ipotizzare un inconsapevole desiderio di rimuovere l’angoscia della presa d’atto razionale della reale sussistenza dell’epidemia. Gioverà a questo punto, a beneficio soprattutto degli studenti che si avvicinano quest’anno al nuovo programma di Educazione civica, ripensare al concetto di libertà così come si prospettava per la nostra generazione nei cosiddetti anni di piombo, alla luce del ritornello di una famosa canzone del 1973 a firma di Giorgio Gaber:
La libertà non è star sopra un albero/non è neanche un gesto o un’invenzione. / La libertà non è uno spazio libero. /La libertà è partecipazione.
Libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione (Giorgio Gaber)
Per gentile concessione di Franco Genzale, dall’omonimo sito web.
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