Non ce ne voglia l’autore di Le regole del cammino, volume edito da Marsilio, se nel recensire il suo libro partiamo dalla citazione di un altro libro. L’autore de Le regole è Antonio Polito, giornalista molto noto, editorialista e vicedirettore del Corriere della Sera. Molto noto, a suo tempo, fu anche Fritz Schumacher, un autore che ha profondamente influito sulla mentalità dell’uomo del Novecento. In uno dei suoi libri, Schumacher racconta di un viaggio a San Pietroburgo, o Leningrado come veniva chiamata la città ai tempi dell’Unione Sovietica.
Schumacher era allora un giovane comunista, sia pure sui generis, come comunista doveva necessariamente essere chiunque volesse mostrare di essere al passo coi tempi. Ovviamente un buon comunista non poteva omettere di visitare l’Unione Sovietica. Volendo pertanto fare un giro per la città di Leningrado, Schumacher si procurò una di quelle guide turistiche di partito – tutto nell’URSS doveva essere rigorosamente “di partito” – per cercare sulle mappe il percorso da seguire per raggiungere determinati posti di interesse turistico. Si rese subito conto però che queste mappe non gli erano di nessun aiuto perché alcuni edifici che vedeva davanti agli occhi non erano riportati sulla carta. Si trattava in genere di chiese che per la loro monumentalità potevano essere il punto di riferimento ideale per orientarsi. Chiedendone la ragione a una guida turistica – ovviamente “di partito” – si sentì rispondere che in un paese dove l’ateismo è legge, come in URSS, non si segnalano luoghi di culto sulle mappe delle città.
La cosa colpì molto l’immaginazione di Fritz Schumacher che però si rese conto, nello stesso tempo, che questo non era un problema che riguardava soltanto la toponomastica dei paesi comunisti. «Durante tutti gli anni di scuola e università» scrisse, «mi erano state fornite mappe di vita e conoscenza su cui difficilmente riuscivo a trovare traccia di cose che mi stavano a cuore, e che pure mi sembravano avere la più grande importanza per la condotta della mia vita». Fritz Schumacher scriveva ciò in un libro intitolato Una guida per i perplessi.
All’uomo italiano perplesso del secolo presente si rivolge ora Antonio Polito, con lo stesso strumento per indagare la strada da percorrere. «Forse ci serve proprio una guida», scrive in Le regole del cammino. «Un manuale di istruzioni per costruire l’Italia che sarà. Per riprendere la marcia, ma a un ritmo diverso». Forse è questo, dice Polito, che abbiamo smarrito.
Difficile dire se l’uomo contemporaneo abbia smarrito le mappe della propria esistenza, o se queste gli siano state manipolate da qualcuno. Comunque sia, Antonio Polito ci offre un rimedio. Ma non un rimedio che scaturisce da regole ricavate da ragionamenti. Le regole, sembra suggerire Polito, sono quelle imposte dalla decisione dell’uomo di mettersi concretamente in cammino. Perché, altrimenti, il discorso sarebbe pura astrazione.
Dietro la pubblicazione di un libro c’è solitamente un autore che scrive un testo, ne Le regole del cammino invece c’è la decisione di mettersi in cammino, un passo dietro l’altro. E Antonio Polito lo fa iniziando un percorso che è come un pellegrinaggio laico, sebbene la meta sia un’importante abbazia come quella di Montecassino. Spesso, scrive Polito, «ci aggiriamo senza una meta. Da troppo tempo lo fa l’Italia, che procede in un trascinarsi caotico e disordinato». Senza qualcuno, cioè, che studi le mappe.
Camminare e governare sono due attività che sembrano appartenere a dimensioni diverse. In realtà, il camminare può aiutare anche a stabilire i criteri per il buongoverno. Camminare aiuta a capire la necessità di stabilire in quale direzione andare. Aiuta anche a capire l’importanza di una guida, l’importanza di avere dei veri leader.
Sono cose che nella società italiana evidentemente scarseggiano. E, nota, «nessun popolo può raggiungere la terra promessa da solo, senza un leader, e forse quello ebraico adorerebbe ancora il vitello d’oro se Mosè non l’avesse richiamato con durezza al proprio destino».
Quanti spunti di riflessione offre il semplice camminare! C’è un nesso evidente tra il camminare e il pensare. È stato il fatto di raggiungere la posizione eretta che ha spinto l’uomo a usare la ragione per confrontarsi con l’orizzonte infinito che ha davanti a sé, diversamente dagli animali che devono rivolgere permanentemente lo sguardo per terra.
Ciascuno di noi dunque è spinto nella ricerca di qualcosa di più grande, a immaginare – scrive Polito – ciò che è «molto superiore alle nostre possibilità». Nelle mappe del cammino, la nostra ragione scruta in fondo quel qualcosa di più in cui consiste la nostra felicità. E, in questo, la capacità di ripresa.
Sarà per questo, conclude Polito, che «la nostra storia nazionale è così densa di termini che cominciano con il prefisso “ri”: rinascimento e risorgimento, ripresa e riscossa, rinascita e rigenerazione. Siamo caduti molte volte, e (quasi) sempre ci siamo rimessi in piedi».
Sì, è vero. Una delle “regole del cammino” è proprio questa: la forza di rialzarsi ogni qualvolta dovesse capitare di cadere.
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