«Periferie» è la parola chiave per capire tutto il pontificato di Papa Francesco e ritorna spesso nei suoi discorsi, fin dal momento del suo insediamento nel 2013 quando disse «mi hanno preso alla fine del mondo».
Tempo fa mi è capitato di leggere un testo agile e immediato, quasi un reportage, sulle periferie urbane di Montevideo tra le quali il Barrio Borro – quartiere di povertà estrema situato a nord della città – è segnalato negli itinerari turistici come zona da evitare, perché molti dei suoi abitanti (circa 26 mila persone) vivono di espedienti ai margini della legalità. Nel libro vengono descritte le condizioni di vita all’interno di istituzioni pubbliche irregolari e cronicamente inadempienti, cui si cerca di sopperire con l’aiuto di alcune organizzazioni non governative, tra cui Nueva Vida oggi gestita dal Movimento dei Focolari, che nel 1992 si sostituì all’operato della fondatrice suor Eva Aguilar chiamata ad altro incarico. Dopo alcuni anni di attività svolte dalle maestre volontarie con bambini e ragazzi, i responsabili di Nueva Vida si sono resi conto della necessità di lavorare anche con le loro madri. È appena il caso di precisare che la famiglia tipica del Barrio Borro è costituita da una giovane madre con 4-5 bambini (il padre è assente nell’80% dei casi) e che è solo la donna ad avere la responsabilità della cura dei figli e del sostegno della famiglia. La dilagante precarietà economica e la fragilità familiare producono tuttora evidenti effetti negativi sullo sviluppo fisico e mentale dei ragazzi, inevitabilmente compromessi da una grave esclusione sociale.
La prima riflessione – quasi una folgorazione – che mi è venuta in mente nel leggere è stata pensare alle periferie del mondo nella prospettiva suggerita da Papa Francesco. Mi sono chiesta: “Ma in realtà che cosa sono davvero le periferie? E il centro dov’è, chi lo decide?” Mi si risponderà semplicisticamente che lo decidono la storia e la geopolitica di quei luoghi. Ma io non ci sto, non è giusto! Mi viene in mente Giordano Bruno. Sì, proprio lui, il filosofo di Nola condannato al rogo per eresia, che fu il primo a sostenere che l’universo è illimitato, infinito e come tale senza dimensioni. Riflettiamo per un attimo sulla definizione classica che tutti conosciamo del concetto di infinito nella geometria euclidea: l’infinito, per definizione privo di dimensioni, è al di là delle categorie spaziali, strettamente collegate a quelle temporali fino ad essere definite come l’entità omogenea dello spaziotempo nella teoria della relatività ristretta. E quindi, in uno spazio senza dimensioni non c’è centro che tenga come non sono rintracciabili eventuali periferie: le posizioni di centro e periferia sono relative come le dimensioni di lunghezza, larghezza e profondità che dipendono dalla collocazione del punto di vista dell’osservatore. E così il microcosmo del Barrio Borro – per la fisica – cessa di essere definito un posto fuori mano, raggiunto sportivamente dagli autori del libro (una coppia di ricercatori che hanno deciso di passare le loro ferie nell’inverno australe) per configurarsi paritariamente alla stessa stregua degli innumerevoli luoghi dove si svolge la vita dell’uomo sul pianeta Terra.
Il Barrio Borro è certamente una metafora delle condizioni di vita degli ultimi, di quelli che Papa Francesco con il suo linguaggio diretto e senza sconti chiama gli ’scarti’ dell’umanità. E non importa se hanno pochi anni mentre si aggirano seminudi sporchi e denutriti per le ruas. Al resto del mondo interessa poco e niente del loro potenziale educativo che va sprecato giorno per giorno, né del destino dei padri che non si ricordano della qualità di vita dei figli che crescono per strada. Al resto del mondo in questo momento importa di poter andare in vacanza, possibilmente senza Green pass perché la libertà è sacrosanta, in barba alle statistiche dei morti di CoViD non vaccinati e delle terapie intensive che si stanno di nuovo intasando in tutto il pianeta. O meglio, in quella parte di esso che può contare sulla sussistenza di adeguate strutture ospedaliere, perché per il resto della popolazione mondiale non si conosce neppure il numero dei contagiati. Ed ecco che il CoViD 19 continua tenacemente ad incalzare l’umanità in un apocalittico redde rationem, facendo emergere le infinite contraddizioni sociali, i pregiudizi, la mala fede in cui si celano le mani adunche degli insaziabili interessi della malapolitica operanti nell’attuale società. E tutto questo mentre la pandemia flirta con la crisi climatica, aggravandone i danni materiali e morali in maniera ormai irreversibile.
Viene da chiedersi (ed è la stessa domanda che da sempre si pongono le maestre del Borro) quale cittadinanza sia mai ipotizzabile oggi per questa infanzia negata. Agli occhi di questi bambini è precluso per sempre l’orizzonte più vasto della conoscenza che spazia nei luoghi del sapere, ai quali non hanno diritto di accesso. Non ci è dato conoscere quali siano i loro pensieri né se abbiano mai formulato delle ipotesi in cuor loro circa le cause di un’esistenza così grama, come pure non sappiamo in quale modo si proiettano nell’incerto futuro dei loro ’Sé possibili’. Si chiederanno anche loro che cosa fare da grandi? Forse no, perché grandi già lo sono, nello stupore dei loro sguardi fissi sulla violenza che li circonda e da cui devono imparare a difendersi a tutti i costi. Sono grandi nella dignità con cui ogni giorno combattono la loro lotta per la sopravvivenza in una comunità totalmente priva di regole morali.
Il paragrafo n.22 dell’Enciclica Fratelli tutti di papa Francesco è intitolato con sottile, dolente ironia: Diritti umani non sufficientemente universali. Proviamo a dare una sbirciatina: Osservando con attenzione le nostre società contemporanee, si riscontrano numerose contraddizioni che inducono a chiederci se davvero l’uguale dignità degli esseri umani, solennemente proclamata settant’anni orsono, sia riconosciuta, rispettata, protetta e promossa in ogni circostanza. Persistono oggi nel mondo numerose forme di ingiustizia, nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino a uccidere l’uomo… È un fatto che doppiamente povere sono le donne, che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti.
C’è da chiedersi in particolare se esistono contraddizioni più stridenti di questa, tipica dell’epoca contemporanea: da una parte del mondo ricercare con cura, fino a giungere a scoprire attraverso le neuroscienze le leggi dello sviluppo mentale e sforzarsi di farle rispettare nelle istituzioni formative; dall’altra parte consentire la distruzione delle potenzialità educative di milioni di altri esseri umani nati senza loro colpa in quelli che eufemisticamente ora preferiamo definire ‘paesi a basso reddito’.
Che altro resta da fare agli educatori, in una società autolesionistica che si ostina a rifiutare il diritto al successo formativo alla maggior parte dei cittadini, privandosi dell’apporto delle loro intelligenze e delle loro volontà? La risposta è ancora una volta ulteriore, perché si colloca ’oltre’ le contraddizioni e lo sconforto del pessimismo della ragione per volgersi all’ottimismo della volontà, dando luogo all’utopia dell’impegno quotidiano svolto pervicacemente dai volontari dell’Obra Nueva Vida, e da tante altre persone di buona volontà, nello spazio e nel tempo che sono loro propri, fin dove può protendersi una mano che cura, uno sguardo che incoraggia, una voce disposta a dialogare.
Qualcuno forse dirà che si sente l’eco della Teologia della Liberazione. Che sia la volta buona?
Per gentile concessione di Franco Genzale, dall’omonimo sito web.
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