“Osserva le leggi e i comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te” (dal Libro del Deuteronomio)
Era questa la promessa sottesa al cammino del popolo scelto da Dio in mezzo ad altre nazioni con “prove segni e prodigi” e richiamata alla memoria dalle parole di Mosè.
Oggi il popolo cristiano, erede di quella promessa, è sospinto dall’invito di Papa Francesco ad intraprendere un nuovo cammino: quello emerso nel V Convegno ecclesiale nazionale svoltosi a Firenze nel novembre 2015.
Si trattò di una tappa storica per la Chiesa italiana che pose al centro il tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” facendone oggetto, per un’intera settimana, del lavoro di tanti piccoli gruppi formati da laici, religiosi, sacerdoti e vescovi di tutt’Italia.
Chi ebbe come me e mia moglie la grazia di parteciparvi, quali delegati della Diocesi di Matera-Irsina, si rese subito conto della novità rappresentata dal metodo scelto per quel raduno e definito dallo stile sinodale: una vera sfida per i tanti delegati che all’inizio non facevano mistero di sentirsi inadeguati al compito loro affidato e dubbiosi di poter contribuire alla ricerca di vie nuove per l’evangelizzazione.
Il convegno si caratterizzò per un clima di raccoglimento e di preghiera, di ascolto e condivisione di tante esperienze di vita personali e comunitarie, per l’invito ad andare oltre le analisi per leggere i segni dei tempi e si declinò nei cinque verbi Uscire, Annunciare, Abitare, Educare, Trasfigurare.
Si concluse infine nella Cattedrale di Firenze con l’intervento del Papa, il più lungo tra quelli del suo pontificato, nel quale indicò di guardare al volto di Gesù morto e risorto per condividere i suoi sentimenti, umiltà, disinteresse, beatitudine ed imitarne i gesti. Video dell’Intervento del Papa al Convegno di Firenze
Memorabili le consegne finali: “Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà“.
Seguì poi il suggerimento di un cammino per gli anni a venire: “In ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni“.
Quale accoglienza ha trovato quell’appello ad intraprendere ovunque un cammino sinodale? Non senza amarezza ne parlò il Papa stesso incontrando la diocesi di Roma il 9 maggio 2019: “Sparito. È entrato nell’alambicco delle distillazioni intellettuali ed è finito senza forza, come un ricordo”.
Un giudizio severo che prese la forma di un invito ai Vescovi italiani all’apertura della 73° Assemblea generale della Cei del 20 maggio 2019: “Sulla sinodalità, anche nel contesto di un probabile Sinodo per la Chiesa italiana, ho sentito un “rumore” ultimamente su questo, è arrivato fino a Santa Marta …”.
Dovremmo domandarci perché Papa Francesco continui a riproporre la necessità di un tale cammino, quali preoccupazioni lo muovano e a quale responsabilità chiami ciascuno di noi: possiamo pensare che basti aver vissuto l’esperienza del Sinodo diocesano della Chiesa di Matera-Irsina per chiudere la partita?
Non sentiamo una spina nel fianco quando il Papa paventa il rischio di una Chiesa museo e di una coltre di cenere che ricopre la brace dello Spirito, vero attore della storia?
Nei giorni scorsi è giunto l’annuncio di un Sinodo per la chiesa universale che vedrà nuovamente protagonisti i laici: procederà secondo due direzioni, quella dal basso verso l’alto con l’ascolto del popolo cristiano custode del sensus fidei e poi quella dall’alto in basso, con la partecipazione dell’intero episcopato.
Il cammino sinodale «L’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo» sarà aperto dal Papa con una celebrazione solenne il prossimo 9 e 10 ottobre 2021 e si svolgerà nell’arco di tre anni, secondo il calendario allegato, articolandosi in tre fasi: diocesana, continentale, universale.
La fase diocesana inizierà in tutte le Chiese particolari il 17 ottobre 2021 con un momento di riflessione, preghiera e celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo.
Il Sinodo dei Vescovi era stato istituito da Papa Paolo VI il 15 settembre 1965 quale espressione della collegialità episcopale e per rispondere all’attesa dei padri conciliari di mantenere vivo lo spirito del Concilio.
Dopo oltre cinquant’anni per la prima volta si apre ad “una salutare decentralizzazione”.
Ci sono però dei rischi che andranno evitati. Il Papa li ha evidenziati in più occasioni e in maniera meticolosa nel famoso Discorso alla Curia romana alla vigilia del Natale 2014, quello delle quindici tentazioni, vere e proprie malattie spirituali dalle quali tutti, pastori e laici, devono cercare di tenersi immuni: immobilismo, intellettualismo, clericalismo, funzionalismo e intimismo, ma su tutte la fede dal volto triste, segno della dimenticanza del primo amore che rende le persone vittime di un Alzheimer spirituale.
Di fronte alla proposta di questo percorso sinodale altre domande si impongono: come non sprecare questa occasione, quali condizioni potranno facilitare il cammino e con quali prospettive?
È possibile che le difficoltà di ordine materiale e spirituale che stiamo attraversando diventino occasioni e non ostacoli per la riscoperta di un bene per sé, di una promessa di felicità alla propria vita?
Non ci è chiesto di sognare tempi migliori ma di guardare al presente che viviamo con una coscienza nuova, quella che ci farà accorgere della convenienza umana della fede. È questa la certezza che il nostro stesso cuore attende ed è l’unica speranza che possiamo donare al mondo.
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