Che l’enciclica di papa Francesco sull’ecologia integrale abbia rappresentato una svolta nella vita della Chiesa e, in particolare, nel rapporto della Chiesa con il mondo, è sotto gli occhi di tutti. Principalmente perché, trascorsi ormai oltre cinque anni dalla sua pubblicazione, si può dire a ragione che l’enciclica ha saputo parlare all’uomo contemporaneo; forse si potrebbe dire anche che ha vincolato stabilmente la Chiesa all’uomo contemporaneo in una relazione che non è quindi un semplice rapporto ma un legame inscindibile.
Con ciò potrebbe apparire, agli occhi di qualcuno, che la Chiesa abbia abbandonato quel campo spirituale che le è proprio per un approccio ai problemi del mondo contemporaneo più sociale. Il papa stesso dice che le sue sono encicliche sociali. Ma questo significa che si rinuncia a una dimensione spirituale o che si mette questa in secondo piano?
Pensandoci bene, non è così. Nella Laudato si’ si ricorda che papa Paolo VI, già negli anni Settanta, intervenendo alla FAO, parlò della rischiosa possibilità, «sotto l’effetto di contraccolpi della civiltà industriale, di un vera catastrofe ecologica». Bisogna riconoscere che questa emergenza ambientale e le sue catastrofiche conseguenze interessano lo stesso destino dell’uomo e investono la dignità umana, che è immagine e somiglianza di Dio.
Interrogarsi quindi sul senso della propria vita non è soltanto un semplice esercizio spirituale, che non va oltre questo. Rimanda necessariamente a una capacità di giudizio che sappia valutare a quali rischi è esposta la propria vita e quella dei fratelli. E chiede precise assunzioni di responsabilità che in alcuni casi impegnano seriamente la propria fede. Quando, per esempio, le condizioni ambientali sono tali da rendere invivibile la terra o poco dignitosa la vita. Quando si vive sotto la minaccia delle armi o degli arsenali atomici. Quando si vive un’emergenza sanitaria, come una pandemia. Quando si creano disuguaglianze tali da precludere a intere popolazioni l’accesso alle risorse necessarie alla vita. E quando, in conseguenza di tutto ciò, gli uomini vivono nella paura, uno stato d’animo che, come ama ripetere il Santo padre, “ruba la speranza”.
Si tratta di cose che riguardano in maniera stringente il senso religioso dell’uomo e la risposta che l’uomo religioso può dare a ciò. Da questo punto di vista, la fede appare dunque come qualcosa che è indissolubilmente legata alla storia, alle vicende storiche e anche alle organizzazioni sociali che gli uomini costruiscono nel loro percorso storico.
È di fronte al destino dell’uomo che emerge il senso religioso in tutta la sua estensione. E la vita spirituale dell’uomo è alimentata proprio dai contraccolpi – per riprendere l’espressione di Paolo VI citata prima – che l’uomo religioso riceve nel confronto con le emergenze storiche. Non può esserci religiosità senza partecipazione alla vita della società e senza fare i conti con le sue contraddizioni. Santa Teresa di Lisieux – è stato detto tante volte – viveva in un convento di clausura ma era totalmente immersa nelle vicende storiche del suo tempo, perfino nelle vicende che interessavano le più lontane terre dell’Estremo oriente.
L’emergenza ambientale non interessa la vita umana nella sua individualità, ma richiama inevitabilmente – si direbbe oggi – a un’esperienza condivisa. Non è un caso se il magistero di papa Francesco abbia a un certo punto sviluppato una riflessione che poi ha portato alla pubblicazione dell’altra enciclica Fratelli tutti. Perché la consapevolezza di abitare una casa comune fa scoprire gli uomini non più come individui isolati, fa scoprire l’inconsistenza di tutto l’individualismo che caratterizza la vita contemporanea, fa scoprire gli uomini accumunati da uno stesso destino e perciò tutti veramente fratelli.
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