Non è semplice riuscire a raccontare cosa abbia significato per una grande città come Milano l’impatto, estremamente violento, della pandemia. Non ci sono le parole che possano descrivere questa terribile realtà che proprio in Lombardia e nel suo capoluogo si è rivelata in tutta la sua crudezza. Ma il docufilm Milano 2020, andato in onda lo scorso 8 maggio su Retequattro, non ha la pretesa di trovare le parole.
Vito Salinaro, giornalista materano del quotidiano Avvenire, ideatore del singolare documentario, ha avuto il coraggio non soltanto di confrontarsi con una pagina della nostra storia altamente drammatica, ma anche di ricercare un nuovo e più adeguato linguaggio televisivo, capace di rendere bene cosa sia stato effettivamente il Covid-19.
Per tutta la sua durata, infatti, il film rinuncia alla voce narrante per lasciare parlare la realtà. Non pensiamo mai a questo: che è la realtà stessa che ci parla. E tutto ciò ci fa capire anche il particolare valore del silenzio di fronte a determinate circostanze della vita, che probabilmente in questo caso trova in un retroterra cristiano il suo diapason. Silenzio che è segno di una speranza, perché significa attendere fiduciosamente che sia la realtà stessa a indicare a noi una salvezza.
Poco contano pertanto le nostre opinioni. Bisogna soffermarsi, piuttosto, a osservare la realtà e la strada che da questa ci viene suggerita. Milano 2020, per questo motivo, è anche un film difficile da collocare in un preciso genere cinematografico o in un format televisivo.
Potremmo paragonarlo forse ai combat film che venivano girati dai militari, senza commento alcuno, nel momento stesso in cui si svolgevano gli scontri armati durante la Seconda guerra mondiale – in fondo la pandemia non è stata cosa molto diversa – oppure, nel campo della letteratura, si potrebbe accostarlo alle opere di Svetlana Aleksievic, Nobel per la letteratura nel 2015, che nel raccontare Chernobyl e gli altri eventi catastrofici legati al crollo dell’Unione Sovietica, elimina dal testo scritto la voce dello scrittore.
Il risultato è che mai la regia di Milano 2020 distoglie lo spettatore dall’osservazione della realtà, nella quale poco alla volta è portato a immedesimarsi. Lo spettatore può scoprire così quello che nessuno potrebbe immaginare e, tanto meno, descrivere. Come la storia di Diego, malato giovanissimo e privo di patologie pregresse, che ha dovuto purtroppo fare i conti con una delle più aggressive forme del Covid-19, malattia che gli ha letteralmente distrutto i polmoni. Subirà un trapianto dei polmoni, intervento mai tentato prima in Occidente, che lo restiturirà alla vita, alla famiglia e ai suoi sogni di ragazzo. Nessuno avrebbe mai potuto sperarlo.
Il docufilm Milano 2020, da un’idea di Vito Salinaro, è girato da Francesco Invernizzi e Stefano Paolo Giussani. È la cronaca in presa diretta dei primi settanta giorni in cui tutto nella città lombarda è iniziato. È un film che ci riporta tra i reparti della terapia intensiva, nelle sale operative delle forze dell’ordine, tra i volontari di Emergency o della Casa della Carità di Don Virginio Colmegna, nella redazione di un quotidiano nazionale. Con le testimonianze delle maggiori eccellenze della sanità italiana, come Mario Nosotti del Policlinico di Milano e Alberto Zangrillo del San Raffaele.
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