Agatha Christie a Ur dei Caldei, infanzia felice dell’umanità

La regina del romanzo giallo nella patria di Abramo

«Una delle cose più belle che possono toccare a una persona è un’infanzia felice. La mia lo è stata molto». Chi scrive queste parole è Agatha Christie. Sono le prime frasi dell’autobiografia della grande scrittrice inglese, autrice di libri che molti considerano la massima espressione mondiale del romanzo giallo.

Il viaggio del papa nella terra di Abramo, dove la storia della salvezza ha avuto inizio, ha riportato all’attenzione del mondo la città di Ur dei Caldei, il punto esatto di questo inizio. La patria di Abramo può essere considerata dunque la culla di un’umanità che ha iniziato a muoversi a partire da un richiamo religioso e non più dunque sotto la spinta soltanto del bisogno.

Non si può dire quale educazione religiosa abbia ricevuto Agatha Christie. Nessuno può dirlo perchè nemmeno lei lo ha mai spiegato con esattezzza. Nel libro La mia vita, fa un cenno alla madre, la quale mentre era sul punto di essere ricevuta nella Chiesa cattolica romana – proveniva evidentemente dall’anglicanesimo – si convertì improvvisamente all’unitarianismo per poi accostarsi alla teosofia, da cui successivamente si staccò. È inutile seguire tutto il lungo percorso religioso della madre, la signora Christie, basta dire soltanto che Agatha conclude che comunque «al suo capezzale c’era un quadro raffigurante San Francesco e mattina e sera leggeva L’imitazione di Cristo. Lo stesso libro è sempre sul mio comodino».

Agli anni felici ne seguirono altri in cui Agatha, come del resto è per ogni uomo e ogni donna, sperimentò il calice dell’amarezza. In particolar modo dopo essere stata abbandonata dal marito, quando alla scrittrice capitò di sprofondare in uno stato di profonda afflizione. Poco si sa di questo periodo buio a causa del fatto che in questo momento Agatha Christie fece del tutto perdere le sue tracce. Ricomparve tempo dopo quando una coppia di amici, probabilmente per risollevarla dalla sua depressione, la invitarono a unirsi a loro per raggiungere il vicino oriente.

Quel viaggio non era propriamente una vacanza e, per quanto riguarda la coppia di amici, si trattava di sir Leonard Woolley, eminente archeologo inglese e di sua moglie Katharine. Woolley era impegnato in campagne di scavi in Mesopotamia e in particolare nel sito di Ur dei Caldei, la patria di Abramo. Di lui Agatha Christie scrive: «Aveva il dono di rendere vivo ogni angolo. Se diceva che una certa casa era quella di Abramo, non provavo il minimo dubbio che non si trattasse della verità; era la sua ricostruzione del passato, quella in cui credeva e di cui riusciva a convincere chiunque lo ascoltava».

La scrittrice rimaneva ogni volta affascinata dalle rivelazioni di questo archeologo il quale addirittura scorgeva nei reperti i segni del diluvio universale, della costruzione dell’arca di Noè, della Torre di Babele e perfino della conseguente confusione delle lingue.

Tutto questo entusiasmava Agatha che descrisse questo periodo come «la mia seconda primavera» nella quale le sembrò di tornare ai giorni lontani della sua infanzia felice. Ma sì, la casa di Abramo è la casa parterna dell’umanità intera, dove ogni uomo può ritrovare la sospirata felicità degli inizi. Per la scrittrice si apriva anche un periodo di enorme creatività. Si calcola che dei suoi romanzi gialli siano state stampate due miliardi di copie. Si potrebbe dire dunque che un po’ di quella promessa di fecondiutà che Dio fece ad Abramo l’ha sperimentata anche lei.

«Mi innamorai di Ur» scrive Agatha Christie, «della sua bellezza di sera, della mole dello ziggurrat che sfumava nella semioscurità e dell’oceano di sabbia dai teneri colori cangianti». In questo suggestivo paesaggio ad Agatha piaceva scorgere quella casa dove il vecchio Abramo spera ancora di riunire i suoi figli. E, insieme a lui, spera il cuore di ogni uomo.

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Paolo Tritto

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