Quella che attraversa il Congo è una scia di sangue che parte da molto lontano. Adesso ha colpito uno degli uomini migliori della diplomazia italiana, Luca Attanasio, insieme al carabiniere che faceva parte della sua scorta, Vittorio Iacovacci, e al loro autista congolese Mustapha Milambo. Gli uomini sono caduti in un’imboscata mentre attraversavano la zona di Goma, una regione della Repubblica Democratica del Congo. L’agguato è avvenuto sulla strada che attraversa il parco dei Virunga, zona funestata da spietate bande di predoni. Basti dire che qui negli ultimi tempi sono state uccise dai banditi oltre duecento guardiani del parco, sui settecento di cui è composto in totale il corpo di vigilanza.
Attanasio, 44 anni, era sposato e aveva tre figlie molto piccole. Di lui tutti apprezzavano, oltre all’intensa azione diplomatica, anche il suo instancabile impegno per favorire le varie attività caritative svolte nel paese africano. Il carabiniere Iacovacci aveva 31 anni ed era fidanzato con una ragazza originaria di Genzano di Lucania che avrebbe dovuto sposare a breve. L’Arcivescovo di Milano Mario Delpini, che ha celebrato il rito funebre, ha ricordato Attanasio come un uomo buono, che ha dato vita agli ideali della fraternità universale.
Come molti giornali hanno sottolineato, la morte dell’ambasciatore italiano e del suo seguito accade nel quarantesimo anniversario di un’altra strage compiuta nello stesso Congo, quando a Kindu persero la vita tredici militari dell’aviazione militare italiana che facevano parte di una missione ONU per ristabilire la pace nel martoriato paese africano.
Tra le vittime di allora, vi fu anche il sergente maggiore Nicola Stigliani di Potenza. Stigliani era al termine della sua missione in Congo ed era prossimo a congedarsi dall’aeronautica. Trovò la morte insieme ai suoi commilitoni l’11 novembre 1961, mentre si recava disarmato verso la mensa dell’ONU all’ora di pranzo. Si trattò probabilmente di un tragico equivoco. Nella zona era atteso l’arrivo di un gruppo di mercenari legati agli ex colonialisti belgi. Il Belgio aveva occupato e schiavizzato il paese dai tempi del re Leopoldo II, alla fine del XIX secolo, ricorrendo a ogni sorta di sopruso. Gli italiani furono scambiati, pare, per militari belgi e questo provocò la reazione violenta degli indigeni.
Tra le pagine di un libro che Amoreno Martellini ha scritto sull’argomento, intitolato significativamente Morire di pace. L’eccidio di Kindu nell’Italia del «miracolo», si apprende che in Italia allora si andò molto oltre la legittima indignazione e montò una vera forma di razzismo, alimentata da voci malevoli secondo le quali dei corpi degli italiani sarebbe stato fatto scempio da parte della popolazione indigena o addirittura che i soldati sarebbero stati preda di cannibali. A nulla valsero le smentite dei sacerdoti che operavano nelle missioni cattoliche della zona.
Sull’onda del clamore suscitato da questi fatti, ai caduti di Kindu furono intitolate strade in molte città italiane, compresa Potenza, ed eretti monumenti. Una cappella fu edificata nell’area aeroportuale di Pisa dove le salme dei militari trovarono sepoltura, con l’unica eccezione di Nicola Stigliani, trattenuto temporaneamente nella sua città natale di Potenza su richiesta della mamma, la quale ha potuto avere le spoglie del figlio vicino a sé finché è vissuta; dicono che ogni giorno andasse a trovarlo al cimitero.
Rispetto a quello che accadde a Kindu quarant’anni fa, bisogna dire che alla morte di Attanasio, le reazioni, sia da parte italiana sia da parte congolese, sono state ben diverse, in un clima di condivisione del dolore. Questa circostanza fa comprendere quanti passi avanti sono stati compiuti sulla strada della fratellanza e che quindi né l’ambasciatore italiano e il suo seguito, né i tredici militari di Kindu sono morti invano.
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