
Cattedrale Cesena 16 aprile 2025
Carissimi fratelli e sorelle, Ecc.za Rev.ma, Mons. Douglas Regattieri, carissimi diaconi, religiosi e religiose, carissimi confratelli nel sacerdozio, dopo l’incontro vissuto insieme presso il Seminario, oggi ci ritroviamo in modo solenne in questa celebrazione della “Messa del Crisma”, con la benedizione degli oli santi dei catecumeni, degli infermi e del sacro Crisma. Gesù, l’unto di Dio, ha voluto ungere noi sacerdoti per offrire e vivere la nostra vita, sul suo esempio, a servizio del suo popolo.
Come Chiesa siamo tutti partecipi e coinvolti: laici unti con il crisma attraverso il Sacramento del Battesimo e della Cresima (sacerdozio comune dei fedeli), sacerdoti con il sacramento dell’ordine, vescovi con la consacrazione episcopale. Se siamo gli unti di Dio, significa che ognuno nel suo specifico ministero è chiamato a mostrare Dio.
Un particolare pensiero ai sacerdoti e diaconi anziani o ammalati, impediti a partecipare a questa solenne liturgia: grazie per la vostra testimonianza; a quanti ricordano il giubileo presbiterale: D. Claudio Canevarolo e P. Crispin Beja Ngeleka 25°; D. Renato Serra e D. Edero Onofri 50°; D. Alfiero Rossi e D. Gianpiero Teodorani 60°; a quanti, in quest’ultimo anno ci hanno lasciato e partecipano nella liturgia celeste: D. Giovanni Zoffoli, Mons. Sauro Rossi, D. Luciano Zanoli, Mons. Virgilio Guidi, D. Agostino Tisselli e il Diac. Luca Giannatempo.
“Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti”. Le parole di Isaia risuonano ancora una volta per noi oggi, in questa Cattedrale, madre di tutte le chiese della nostra Diocesi, dove celebriamo e viviamo la comunione presbiterale, la fraternità sacerdotale, rinnovando insieme quel “sì” che ci ricorda l’obbedienza e l’unità all’unico presbiterio che trova la sua fonte nell’unico sacerdozio di Cristo.
Facendo riferimento ad un testo di Tolstoi, vorrei condividere con voi un suo racconto. Sintetizzo. C’è un sovrano molto rigido che, provocatoriamente, chiede ai suoi consiglieri, sacerdoti e sapienti, di voler vedere Dio. Ma non furono in grado di accontentarlo. Un semplice pastore, tornando con il suo gregge dai pascoli verso l’ovile, si fece avanti spiegando al Re che la sua era una richiesta impossibile da esaudire. Allora il Sovrano mutò la sua richiesta: voleva sapere cosa facesse Dio. “Per darti una risposta – disse il pastore al sovrano – dobbiamo scambiarci i vestiti”. La richiesta del pastore era assurda, senza nessuna logica, offensiva per il Re. Ma quest’ultimo, nonostante tutto, fece come gli era stato chiesto: consegnò i suoi vestiti regali e indossò quelli del pastore. Ecco allora che la risposta del pastore fu puntuale e chiara: “Questo fa Dio”.
Carissimi confratelli sacerdoti, in questo racconto troviamo svelato il mistero del nostro essere presbiteri perché capaci di specchiarci, singolarmente e tutti insieme, in Gesù Cristo, sommo ed eterno sacerdote. Lui, il Re dei Re, da Dio si è spogliato della sua divinità per rivestire la nostra umanità in tutto, tranne che nel peccato. Ha assunto la condizione di servo, umiliandosi fino a morire sulla croce (cfr. Fil 2,6ss). E tutto questo perché noi potessimo rivestirci di Cristo ed essere come Lui (Gal 3,27). Grazie perché ci siete!
Il profeta Isaia applica a sè ciò che è di Dio, sentendosi abitato e posseduto dallo Spirito del Signore che è su di lui, dichiara di appartenergli e Dio in lui si manifesta. Infatti l’unzione gli conferisce una missione che è propria di Cristo. Non a caso nel brano del vangelo, tornando a Nazareth, entra nella sinagoga e incomincia a proclamare la stessa parola di Isaia applicandola a sé.
In Gesù viene inaugurato l’anno di grazia. Il lieto annunzio viene paragonato ad un giubileo, durante il quale la terra intera torna al suo creatore portando i frutti più importanti e necessari dei quali l’umanità ha bisogno: la giustizia, la pace, l’attenzione a chi è posto ai bordi della storia. E’ un tempo di gioia piena, di esultanza incontenibile, e non può che allontanare il tempo della desolazione e dell’afflizione. Non è forse questo il senso profondo del Giubileo che stiamo celebrando?
Gli stessi paramenti liturgici che indossiamo, nella loro bellezza (che non vuole essere esasperata sontuosità ma nemmeno sciatteria), esprimono quella regalità di Cristo di cui veniamo rivestiti per liberarci dalla presunzione di possedere la verità e sperimentare, invece, di essere posseduti da Lui: la Verità.
Solo a partire dal contatto che l’umano ha con il divino, si capisce che l’umano si deve lasciar condurre dal divino: “Lo Spirito del Signore è su di me”. L’umiltà di rimanere sempre sotto l’azione dello Spirito Santo, permette ad ogni presbitero di agire e parlare in questo nostro tempo “in persona Christi”. Ogni sacerdote non è colui che sa parlare di Dio bensì parla attraverso Dio, non agisce come se fosse il padrone delle anime ma come Cristo, servo tra i servi, a disposizione del Maestro e Signore, Cristo Gesù, e dei fratelli a lui affidati. Non basta lo sforzo del contadino per far fruttificare il campo. Solo Dio fa crescere tutte le cose. Pertanto, è evidente che il vero sacerdote è colui che si lascia guidare dallo sguardo di Dio e indirizza l’attenzione dei fedeli verso ciò che Dio realizza nel tempo, con quella pazienza che permette a ogni cosa di crescere. Grazie per il vostro “si” incondizionato!
Il sacerdote, l’unto del Signore, è chiamato a “Portare il lieto annuncio ai poveri” che spesso non hanno né forza politica, né occupano un posto prestigioso, né possiedono risorse materiali, ma stanno ai margini della società e vivono la speranza che venga loro riconosciuta la dignità di persone, illuminati della luce spirituale che consenta loro di non abbandonarsi alla rassegnazione. Nel presbitero bisogna cogliere invece l’atto di Dio stesso che si china a soccorrere. Un prete che non dona Dio offrirà se stesso, la sua umanità, la sua affermazione, il suo successo.
Diceva Benedetto XVI: “Così nei Sacramenti si rende visibile in modo drammatico ciò che l’essere sacerdote significa in generale; ciò che abbiamo espresso con il nostro “Adsum – sono pronto” durante la consacrazione sacerdotale: io sono qui perché tu possa disporre di me. Ci mettiamo a disposizione di Colui “che è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi…” (2Cor 5,15). Metterci a disposizione di Cristo significa che ci lasciamo attirare dentro il suo “per tutti”: essendo con Lui possiamo esserci davvero “per tutti””. Grazie per quello che fate!
E’ così che contribuiamo a generare e gemmare la Chiesa, rinnovando la passione per la missione affidataci, l’amore senza riserve che trova la sua forza straripante nell’incontro personale e silenzioso con il Signore, ruminando la Parola, facendoci Eucaristia, pane spezzato e donato. Da quest’incontro si rafforza il desiderio di contribuire a costruire una nuova storia fatta di relazioni fraterne, capaci di perdonare, di scrivere nuove pagine per una Chiesa che si rinnova sotto l’azione dello Spirito Santo. Diversamente la sterilità prenderà il posto della fecondità, nonostante un attivismo esasperato. Non dimentichiamo che noi siamo amministratori ma non creatori, e per questo sempre più servi ma non padroni della vita degli altri. Grazie per la vostra disponibilità!
Stiamo celebrando il Giubileo e il cammino sinodale che dobbiamo necessariamente riprendere per non rimanere chiusi e prigionieri delle singole programmazioni pastorali.
Il Giubileo ci richiama ad essere viandanti di speranza, mentre il cammino sinodale ci sta mostrando il volto bello di una Chiesa che ascolta, si sa ascoltare, prende tempo, prega, discerne, decide, guidata dallo Spirito del Signore. Non vi pare, carissimi confratelli nel sacerdozio, che questo sia l’abito regale che il Signore ci sta dicendo di indossare? E’ l’abito di chi ama e si spoglia di ogni ostilità, allontana la tentazione dell’autosufficienza, mostrando tutta la luce che ci avvolge mentre le tenebre si diradano.
Fra poco, carissimi, noi sacerdoti rinnoveremo le promesse sacerdotali. Si realizzerà ancora una volta quanto sempre il profeta Isaia ci ha detto: «Concluderò con loro un’alleanza eterna. Coloro che li vedranno riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore» (61, 8. 9). E’ quanto la nostra gente desidera vedere in noi e ricevere da noi. Non deludiamoli. Apriamo le porte della grazia di Dio che passa attraverso di noi per santificare; illuminiamo con le nostre scelte quotidiane per orientare e non confondere; liberiamoci dalla tentazione di lasciarci guidare dagli interessi e dai calcoli umani. Grazie per la vostra obbedienza a servizio di Cristo e della Chiesa.
Nella nostra Chiesa c’è una consistente comunità diaconale. Quasi tutti sposati, alcuni vedovi. Diaconi carissimi, insieme alle vostre spose, vivete nella gioia il mandato come ministri della Parola, nel servizio liturgico accanto al vescovo e ai presbiteri, nelle diverse forme di carità. Sfuggite la tentazione del protagonismo, cercate sempre la comunione con tutti, non dimenticate i diaconi ammalati o impediti a vivere il loro ministero.
Partecipando ai misteri della morte e resurrezione di Gesù, ci aiuti Lui ad essere testimoni della sua vita presso i nostri fratelli che attendono di conoscerlo attraverso noi.
Facciamo nostre le parole di S. Giovanni Paolo II: “Voglia la Vergine Santa (che noi veneriamo come Madonna del Popolo) guardare con particolare affetto a tutti noi, suoi figli prediletti, in questa festa annuale del nostro sacerdozio. Ci metta nel cuore soprattutto un grande anelito di santità. Scrivevo nell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis: «La nuova evangelizzazione ha bisogno di nuovi evangelizzatori, e questi sono i sacerdoti che si impegnano a vivere il loro ministero come cammino specifico verso la santità» (n. 82). I nostri santi patroni, Mauro e Vicinio, preghino per noi.
Amen
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