Giustizia e pace

Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annuncia la pace per il suo popolo. Amore e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno. (Salmo 85)

Il conflitto in Ucraina, a tre anni dal suo inizio, continua a interrogarci sul significato profondo della pace e su come costruirla. Sulla spinta impressa dalla nuova amministrazione americana, le diplomazie dell’Unione Europea, insieme a quella di nazioni come il Canada, la Turchia e la Gran Bretagna, si sono messe in moto, forse tardivamente, per cercare soluzioni.

Mancando una visione condivisa degli obiettivi e delle priorità, le proposte fin qui avanzate appaiono non solo divergenti ma perfino contrapposte: dalla necessità di una tregua, ma senza garanzie per il paese aggredito, fino all’ipotesi di un riarmo del vecchio continente per proseguire il sostegno militare all’Ucraina ed insieme garantire la sicurezza dell’Europa.

La voce autorevole di Papa Francesco, di cui in questi giorni sentiamo dolorosamente la mancanza, ci aveva ricordato, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2025, che una “pace vera e duratura” va invocata come dono di Dio ai “cuori disarmati”.

Ciò implica deporre odio e vendetta per far spazio a perdono e fraternità. Il Papa avverte che la fine dei combattimenti da sola non basta: la pace non giunge solo con la fine della guerra, ma con l’inizio di un nuovo mondo, un mondo in cui ci scopriamo diversi, più uniti e più fratelli rispetto a quanto avremmo immaginato“.

Riecheggiano qui le parole di Papa Giovanni XXIII: «La pace non potrà regnare nel mondo se prima non troverà domicilio nel cuore degli uomini».

La dimensione spirituale della pace non esclude la giustizia, anzi la esige: di pace giusta ha parlato anche il Presidente Sergio Mattarella chiedendo per l’Ucraina una pace fondata sui principi del diritto internazionale, in grado di tutelare i diritti e la sovranità del popolo aggredito.

E’ doloroso pensare all’atteggiamento di quelle comunità cristiane che si sono allineate alla propaganda bellica​ anziché levare una voce di pace: se le Chiese di Russia e Ucraina fossero state unite nel condannare la guerra, forse si sarebbero aperte prospettive diverse per fermare il conflitto​.

​Giungere alla pace richiede un cammino che, oltre agli accordi politici, metta insieme giustizia, verità e perdono: può sembrare che perdono e giustizia siano inconciliabili ma non mancano, anche nella nostra epoca, testimonianze di persone e di popoli – pensiamo alle nazioni uscite dal secondo conflitto mondiale – che superando la spirale dell’odio hanno messo le basi per un futuro di pace, oggi nuovamente minacciato.

Durante uno degli incontri che il prof. Marco Impagliazzo, docente di storia contemporanea e presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha tenuto in Basilicata per presentare il suo libro “I Giubilei nella storia”, un ascoltatore gli ha rivolto una domanda che urge nel cuore di tutti: “Ma come si fa a fare la pace? Come si fa ad essere pacificatori?”.

La risposta è stata che ci sono tante strade, ma se ne possono indicare principalmente tre.

La prima è quella di non credere mai che le guerre degli altri non ci riguardino” perché se scoppia la guerra in Siria, in Sudan, o in Paesi che consideriamo lontani da noi, prima o poi le conseguenze di quelle guerre ci toccheranno. Senza dimenticare che “la prima conseguenza è che facciamo parte tutti della stessa umanità e sono nostri fratelli quelli che perdono la vita e diventano vittime della guerra”.

Secondo punto, la solidarietà. Per essere pacificatori, bisogna essere solidali“. Se ne è avuta testimonianza in questi anni con l’accoglienza ai migranti e agli ucraini arrivati in Italia e, più recentemente, con le cure prestate ai bambini palestinesi rimasti feriti o mutilati durante la guerra nella Striscia di Gaza.

La terza pista – ha aggiunto il presidente della Comunità di Sant’Egidio – è quella di pregare per la pace” perché, come diceva Giorgio La Pira, la preghiera è una forza capace di cambiare le sorti del mondo.

Queste strade rappresentano come delle piste per capire cosa significhi essere “operatori di pace” che è tutt’altra cosa, secondo mons. Caiazzo, dall’essere “pacifisti”: – Chi è credente, chi è cristiano, nel nome del Signore può essere molto di più: un operatore di pace, capace di dare la vita per il bene degli altri -.

Il Giubileo della Speranza ci invita a compiere questo cammino di conversione, in particolare in questi quaranta giorni che precedono l’annuncio, sorprendente quanto reale, della Resurrezione del Signore.

Nel Messaggio per la Quaresima 2025 dal titolo “Camminare insieme nella speranza” Papa Francesco ci offre dei suggerimenti, quasi una “traduzione in lingua corrente” delle pie pratiche del digiuno e della penitenza, perché questo cammino possa diventare esperienza personale e comunitaria:

Prima di tutto, camminare.

Qui sorge un primo richiamo alla conversione, perché siamo tutti pellegrini nella vita, ma ognuno può chiedersi: come mi lascio interpellare da questa condizione? Sono veramente in cammino o piuttosto paralizzato, statico, con la paura e la mancanza di speranza, oppure adagiato nella mia zona di comodità? Sarebbe un buon esercizio quaresimale confrontarsi con la realtà concreta di qualche migrante o pellegrino e lasciare che ci coinvolga, in modo da scoprire che cosa Dio ci chiede per essere viaggiatori migliori verso la casa del Padre.

In secondo luogo, facciamo questo viaggio insieme.

In questa Quaresima, Dio ci chiede di verificare se nella nostra vita, nelle nostre famiglie, nei luoghi in cui lavoriamo, nelle comunità parrocchiali o religiose, siamo capaci di camminare con gli altri, di ascoltare, di vincere la tentazione di arroccarci nella nostra autoreferenzialità e di badare soltanto ai nostri bisogni. Chiediamoci davanti al Signore se siamo in grado di lavorare insieme come vescovi, presbiteri, consacrati e laici, al servizio del Regno di Dio; se abbiamo un atteggiamento di accoglienza, con gesti concreti, verso coloro che si avvicinano a noi e a quanti sono lontani; se facciamo sentire le persone parte della comunità o se le teniamo ai margini.

In terzo luogo, compiamo questo cammino insieme nella speranza di una promessa.

Lasperanza che non delude , messaggio centrale del Giubileo, sia per noi l’orizzonte del cammino quaresimale verso la vittoria pasquale. Dobbiamo chiederci: ho in me la convinzione che Dio perdona i miei peccati? Oppure mi comporto come se potessi salvarmi da solo? Aspiro alla salvezza e invoco l’aiuto di Dio per accoglierla? Vivo concretamente la speranza che mi aiuta a leggere gli eventi della storia e mi spinge all’impegno per la giustizia, alla fraternità, alla cura della casa comune, facendo in modo che nessuno sia lasciato indietro?

Ci farà bene riascoltare le parole del Salmo 85 , posto all’inizio della nostra riflessione, perché la pace, prima che frutto dell’impegno umano, è un dono di Dio che bisogna continuamente domandare.

Salmo 85 (dal Grande Libro della Bibbia di Rai 3)
Pellegrini in cammino verso la Porta Santa (foto Ufficio Comunicazioni Sociali Diocesi di Matera-Irsina)

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