È stato reso pubblico l’elenco elaborato dalla società SOGIN sull’idoneità al deposito dei rifiuti radioattivi di determinate zone nel territorio nazionale. La società che gestisce gli impianti nucleari italiani definisce, con questo documento conosciuto come Carta CNAPI, le aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito Nazionale. Vediamo di cosa si tratta e come la questione ci riguarda da vicino.
Intervista di Sabina Calicchio a don Filippo Lombardi
Dopo diciassette anni, la nostra terra di Basilicata si ritrova ad affrontare il rischio delle scorie nucleari. Il problema dunque si ripresenta e coinvolge un’area più vasta, otto Comuni della Basilicata si ritrovano nella mappa delle 67 aree individuate come Deposito di scorie radioattive.
Il popolo lucano esprime immediatamente una netta contrarietà, ricordando bene quanto già vissuto nel 2003, anno in cui il comune di Scanzano Jonico, individuato come deposito unico nazionale per lo stoccaggio delle scorie, fu esempio di una mobilitazione molto importante che riuscì a cambiare le sorti del nostro territorio.
La mente ci riporta al ricordo della reazione di Scanzano e non possiamo non ricordare l’impegno, in quella occasione, di don Filippo Lombardi.
Don Filippo, diciassette anni fa eri parroco a Scanzano e sei diventato un forte riferimento per la popolazione.
Sì, è stata un’esperienza indimenticabile, sia per come la gente ha difeso il territorio, sia per il coinvolgimento delle Istituzioni che per la voglia di partecipazione manifestata da tutti i comuni della Regione e da quelli della vicina Puglia e della Calabria.
Per quindici giorni la protesta fu massiccia e dalle proporzioni inedite, scosse tutta la Basilicata e non solo.
Ricordo bene di aver appreso la notizia a Cassano Murge, durante gli esercizi spirituali predicati da Mons. Bregantini. Era giovedì 13 novembre. Mi segnai subito nella memoria una frase che Mons. Bregantini aveva ripetuto in quei giorni: “La rassegnazione è un peccato”. Ritornando a Scanzano il venerdì mi recai subito nella Casa Comunale dove il Consiglio Comunale era riunito in seduta permanente. Si decise di fare la domenica una grande manifestazione pacifica che da Policoro doveva raggiungere Terzo Cavone.
Una protesta ordinata, ricordata come “il modello di Scanzano”, per l’unità, la compostezza, l’assenza di incidenti, e addirittura per aver ripulito alla fine la Stazione di Metaponto. La tua presenza fu determinante proprio sulla scelta di questa modalità.
Fu spontaneo da parte delle migliaia di persone occupare pacificamente l’incrocio della SS 106 di Terzo Cavone, il sito dove presumibilmente sarebbero state allocate le scorie, la SS 106 al confine con Taranto, con la Calabria e di bloccare la Stazione ferroviaria di Metaponto. Altri presidi nacquero nei giorni seguenti sulla Basentana, sulla Matera–Altamura, addirittura sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria e al Centro Petroli di Viggiano.
La tua presenza ha evidenziato molto l’importanza della partecipazione. L’importanza dell’esserci.
Giorno e notte mi spostavo tra i vari presidi a incoraggiare, a placare gli animi dei più facinorosi, a invocare una presa di coscienza di quanto fosse necessario far diventare la partecipazione alla vita sociale uno stile permanente. C’è stata, però, la presenza della Chiesa, dei fedeli, dei parroci, di associazioni e movimenti ecclesiali, dei Vescovi, che la notte del 20 novembre furono tutti presenti intorno all’Immagine della Madonna di Loreto, portata a Terzo Cavone dove erano radunate almeno diecimila persone.
La protesta affermò il valore morale della propria partecipazione ai processi decisionali ed ha rivendicato il diritto alla partecipazione nei processi decisionali che riguardano il territorio. Oggi occorre un’altra Scanzano?
Non mi sembra che la situazione oggi sia uguale a quella del 2003. Allora c’era stato un Decreto ministeriale firmato dal Presidente della Repubblica che stabiliva che a Terzo Cavone si costruisse il Deposito unico nazionale, senza nessun coinvolgimento degli enti locali e della popolazione. Oggi la pubblicazione dei potenziali siti è stata fatta proprio per avviare un processo di discernimento, di eventuale manifestazione di interesse o di opposizione ragionata con prove ambientali e scientifiche. Sono le Istituzioni locali, Regione, Province e Comuni, che devono far sentire forte il loro dissenso. Come Chiesa stiamo seguendo da vicino, in dialogo con i Sindaci, l’evolversi della situazione. Il messaggio per il Natale dei Vescovi di Basilicata, riporta con chiarezza, quasi profeticamente, quale attenzione la Chiesa ha per la difesa dell’ambiente e per lo sviluppo del nostro territorio
Perché pubblicare il provvedimento in piena pandemia?
Anche nel 2003 si scelse una data infelice: quando l’Italia piangeva i Carabinieri morti a Nassiriya, e tra questi un lucano. Oggi penso che la scelta di pubblicare l’elenco dei siti è dovuta a delle scadenze europee programmate, alla necessità di avere un Sito unico nazionale entro il 2025.
L’attenzione sulla pandemia potrebbe scoraggiare o depotenziare una reazione, una mobilitazione?
Spero che l’impegno corale delle nostre istituzioni Regionali, Provinciali e Comunali possa scongiurare la scelta di uno dei siti del nostro territorio, per ragioni fondate anche scientificamente (vedi ad esempio la sismicità), e di risolvere il problema non con la logica di mettere le scorie dappertutto meno che da noi, ma cha la scelta ricada sui siti più idonei e più sicuri. Se poi la scelta cadrà sulla nostra Regione perché più piccola, più vasta e con minor peso politico la popolazione si mobiliterà con la stessa determinazione del 2003.
È stato reso pubblico l’elenco elaborato dalla società SOGIN sull’idoneità al deposito dei rifiuti radioattivi di determinate zone nel territorio nazionale. La società che gestisce gli impianti nucleari italiani definisce, con questo documento conosciuto come Carta CNAPI, le aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito Nazionale. Il documento si conclude con una tabella dove sono inserite 67 aree sulle quali si esprime un giudizio di idoneità più o meno elevata alla realizzazione del deposito da destinare allo scopo. Per capire come si sia giunti all’individuazione di queste aree si rimanda al video della SOGIN.
Nessuno dei siti della Regione Basilicata o dei territori adiacenti, secondo tale ordine di priorità, va oltre metà classifica, per usare un’espressione sportiva. E qui bisogna fare una prima precisazione, perché purtroppo per un’approssimazione giornalistica si parla di 67 siti giudicati idonei alla localizzazione. In realtà il giudizio di idoneità ideale è limitato, almeno allo stato attuale, soltanto ai siti classificati con la lettera A. I siti di classe B, attribuita a quelli ricadenti in territori insulari come Sicilia e Sardegna, in questo ordine di priorità sono stati giudicati non rilevanti perché non collegati via terra al territorio continentale. La stessa cosa vale per i siti di classe C perché si tratta di territori a rischio sismico elevato.
Alla luce di questa precisazione, si può vedere come quasi tutti i siti della Basilicata, citati nella Carta CNAPI, sono ritenuti scarsamente idonei a causa dell’alto grado di sismicità. Rimarrebbe potenzialmente idonea soltanto una striscia di territorio posta a cavallo tra la Basilicata e la Puglia, e ricadente nei comuni di Gravina, Altamura, Matera, Laterza e Ginosa. Sebbene la zona lambisca le province di Bari e Taranto, salvo il caso di Gravina, i siti sono tutti concentrati in territorio materano, a pochi chilometri dalla città, precisamente nel triangolo compreso tra Venusio, Jesce e Torre Spagnola.
Nelle schede specifiche, allegate alla tabella, si può notare come su queste aree appulo-lucane pesa un giudizio sfavorevole per la ben nota carenza di collegamenti ferroviari e stradali, cosa di estrema rilevanza, evidentemente, nelle complesse modalità del trasporto di materiale come i rifiuti radioattivi.
Sembra di capire, in sostanza, che ben difficilmente si potrà pensare a queste zone per la collocazione del deposito. Ma questo vale nel caso si riuscisse a seguire fino in fondo la procedura descritta; perché in caso tutto ciò non dovesse andare in porto, la SOGIN potrebbe ripartire con nuovi approfondimenti che potrebbero portare a esiti diversi.
Bisogna tenere presente, inoltre, che lo spirito di questa classificazione è quello di stabilire un ordine di priorità da applicare nel caso siano avanzate più candidature a ospitare il deposito da parte dei territori. Non viene chiarito come si dovrà procedere nel caso, non improbabile, nessun territorio intenda candidarsi. Sembra di capire che in tal caso la SOGIN potrebbe avvalersi della facoltà di individuare uno qualsiasi dei siti indicati, senza doversi attenere alla classificazione di priorità della Carta CNAPI.
Al momento attuale, le prime dodici posizioni della classifica, quelle ritenute maggiormente idonee, sono tutte occupate da siti del Piemonte, a parte due in Toscana e due nel Lazio. Tra questi, soltanto per due siti nella provincia di Alessandra viene riportato un punteggio pieno, punteggio che riguarda i trasporti terrestri, gli insediamenti antropici, le valenze agrarie, le valenze naturali.
A proposito dei siti appulo-lucani potenzialmente idonei alla localizzazione del deposito nazionale, si potrebbe rilevare che appare indubbiamente sottostimata la valenza delle loro risorse ambientali e si può prevedere che proprio su questo punto le istituzioni locali potrebbero insistere con le opportune osservazioni.
Stupisce che nella Carta SOGIN non venga apprezzato il valore naturalistico del vicino territorio materano – ma la stessa cosa vale per Altamura e Gravina dove, a ridosso dei siti, insiste un vincolo ambientale – dato l’universale riconoscimento sia riguardo al patrimonio culturale UNESCO sia per la rilevanza turistica di interesse primario guadagnata nella recente circostanza di Matera Capitale europea della cultura. Sembra inoltre, leggendo il documento, che sia stata del tutto omessa la prescritta valutazione riguardo alla presenza di habitat e specie animali e vegetali di rilievo conservazionistico (Criterio di approfondimento CA10) o che tale criterio sia stato interpretato in senso troppo restrittivo e quindi inadeguato al caso, per esempio, delle specie animali volatili.
Appena divulgata la notizia, in Basilicata si è diffusa la preoccupazione per il rischio che uno dei siti della regione compreso in tale elenco venga destinato a questo scopo. E ciò ovviamente non meraviglia visto il tentativo della SOGIN, nel 2003, di collocare il deposito nazionale unico proprio a Scanzano Jonico. Di questi sentimenti si è fatto portavoce, tra gli altri, l’arcivescovo di Matera-Irsina, il quale ha ricordato come anche recentemente si è espressa la Conferenza episcopale lucana riguardo alla cura e alla difesa dell’ambiente e alla necessità di “stabilire il giusto equilibrio” tra l’ambiente e le attività umane che nell’ambiente si svolgono.
Proprio questo criterio di “giusto equilibrio” bisognerebbe tener presente nel fare alcune considerazioni. Fortunatamente l’elenco in questione rappresenta soltanto una proposta avanzata dalla società nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi e questo è indubbiamente un fatto positivo. Perché nel caso di Scanzano si cercò di far passare la cosa come una decisione già presa. Come positivo è anche che l’elenco venga reso di dominio pubblico e che quindi si accetta di prendere in considerazione le eventuali osservazioni che potranno essere rappresentate dagli amministratori locali e che dovranno essere espresse nel tempo massimo di sessanta giorni.
Circa la pericolosità delle scorie nucleari, bisogna dire subito che indubbiamente ciò che è pericoloso più di ogni altra cosa è una conoscenza parziale del problema e il rifiuto di affrontarlo in maniera adeguata. Lasciare le cose come sono potrebbe rivelarsi, prima o poi, veramente disastroso. Come potrebbe avere pesanti conseguenze il pregiudizio verso qualsiasi forma di attività nucleare.
Una considerazione preliminare è che anche per i rifiuti radioattivi vale ciò che vale per i rifiuti ordinari in generale. E cioè l’opportunità di differenziare le varie tipologie di rifiuto. È ormai generalmente accettata l’evidenza che la raccolta dei rifiuti va differenziata. Ciò deve valere, come si diceva, anche e soprattutto per i rifiuti radioattivi. Un’infrastruttura come il deposito nazionale, a questo riguardo, appare indispensabile. Tener presente le specifiche categorie di scorie di cui si tratta è fondamentale, perché evidentemente non tutti i rifiuti radioattivi hanno la stessa natura e presentano gli stessi rischi, di conseguenza le situazioni vanno affrontate con modalità di trattamento molto diverse tra loro.
Ci sono, per esempio, scorie derivanti da attività in campo industriale, da attività di ricerca scientifica, da applicazioni nella diagnostica o nelle terapie mediche, particolarmente nelle patologie oncologiche. In Italia si ammalano di cancro ogni anno oltre 350mila persone e per molti di questi malati la possibilità di sopravvivenza è strettamente legata all’impiego di trattamenti radioterapici.
Tutti i rifiuti radioattivi sono classificati in tre categorie, in base alla durata della loro attività residua: bassa, media e alta attività. Più recentemente, per adeguarsi alla normativa europea, sono state introdotte altre due categorie intermedie: medio-bassa e medio-alta. I rifiuti appena descritti appartengono alla prima categoria e hanno un’attività che si esaurisce nell’arco di qualche mese o anno. Alcuni rifiuti radioattivi ad attività molto bassa, inoltre, potrebbero essere addirittura conferiti nelle discariche di rifiuti convenzionali dopo un trattamento in grado di eliminare la scarsa radioattività residua.
I rifiuti che appartengono alla seconda categoria esauriscono la loro attività entro qualche secolo, in linea di massima in trecento anni. C’è però da considerare che gli isotopi radioattivi hanno particolari tempi di dimezzamento nei quali perdono parte della loro energia. Nel deposito nazionale sarebbero sistemati rifiuti con tempi di dimezzamento non superiore ai trent’anni; ciò significa che già dopo cento anni perderebbero il 90% della loro radioattività iniziale, come nel caso del Cesio-137 riportato nella tabella seguente.
Alla terza categoria appartengono infine le scorie radioattive derivanti dall’attività delle centrali nucleari che hanno bisogno di tempi decisamente lunghi per esaurire la loro radioattività: migliaia o centinaia di migliaia di anni.
La proposta della SOGIN dovrebbe avere l’obiettivo di creare un deposito nazionale finalizzato alle scorie di bassa e media attività, capace di conservare in sicurezza, condizionate in idonee strutture, le scorie nel periodo in cui potrebbero rappresentare un rischio per l’ambiente e per la salute, un tempo calcolato, come si è detto, in trecento anni. Si tratta di un periodo di tempo che, anche se certamente non breve, non dovrebbe creare particolari problemi nel governare i processi legati alla gestione dei rifiuti depositati.
Piuttosto, criticità da non trascurare sono legate al fatto che tale deposito nazionale dovrebbe ospitare temporaneamente anche scorie di terza categoria prodotte, come si diceva, dai reattori nucleari italiani prima del 1987 quando, per effetto di un referendum abrogativo, l’Italia ha cessato la produzione di energia nucleare.
Tali scorie di terza categoria sarebbero collocate presso il deposito nazionale, in condizioni ovviamente di sicurezza, per un periodo massimo di qualche decennio, il tempo necessario a individuare e attrezzare un sito geologico per il loro smaltimento. Questi siti sono collocati nel sottosuolo ad alcune centinaia di metri di profondità e sono costituiti da formazioni geologiche di tipo granitico, argilloso o di salgemma con caratteristiche di assoluta impermeabilità.
Il problema che anima maggiormente il dibattito è il sito dove il deposito nazionale potrebbe essere collocato. Come si è visto, un deposito di scorie di bassa e media attività, dove i rifiuti vengono sistemati in maniera definitiva e stabile, non è di per sé particolarmente problematico da gestire. L’aspetto più spinoso è piuttosto la destinazione finale delle scorie custodite temporaneamente nello stesso deposito.
Secondo quello che viene riportato nel sito internet dell’ENEA e che si riferisce all’inventario eseguito dall’ISPRA nel nostro Paese, attualmente sono presenti circa 26.000 m3 di rifiuti di seconda categoria e 1.500 m3 di rifiuti di terza categoria. A queste ultime però devono necessariamente aggiungersi altri rifiuti di cui non si conosce ancora con esattezza la consistenza, tra i 30mila e i 65mila m3, derivanti dagli impianti nucleari dismessi. Attualmente una parte di questi sono temporaneamente depositati in Francia e nel Regno Unito ma l’Italia si è impegnata a farli rientrare per onorare specifici accordi internazionali.
Si può comprendere, dunque, che il vero problema, più che la localizzazione del deposito nazionale, è sapere quale destinazione avranno le scorie radioattive di terza categoria, per lo smaltimento dei quali sarà necessario individuare un sito geologico idoneo a contenerli per molti millenni. Alcuni paesi dell’Unione Europea, come Svezia, Finlandia, Germania, Repubblica Ceca e Ungheria, hanno già individuato tale sito o avviato il processo di localizzazione. Altri paesi, come l’Italia, potrebbero avvalersi della facoltà data dall’Unione Europea di individuare siti condivisi. Questo è l’aspetto più importante del problema e qui si gioca tutta la capacità dell’Italia di far valere le proprie ragioni.
Perché l’Italia potrebbe ottenere che le proprie scorie ad alta attività siano smaltite in un sito collocato al di fuori del territorio nazionale, in considerazione della loro ridotta quantità per aver l’Italia dismesso ormai da tempo la produzione di energia nucleare.
Qui la politica italiana è chiamata nel prossimo futuro a una delicatissima e complicatissima opera di persuasione e di mediazione che dovrebbe essere condotta in forza di un principio di ragionevolezza. Non è escluso, tra l’altro, che non possa esserci un paese straniero interessato a ospitare il modesto volume delle scorie italiane in cambio di una compartecipazione dell’Italia all’onerosa gestione del sito di smaltimento.
La realizzazione di un deposito nazionale e la condivisione di un sito geologico comune con paesi stranieri sono le conclusioni più ragionevoli e le migliori opportunità che si offrono al riguardo. Prevarranno, questa volta almeno, l’unità della nazione e il comune interesse?
Se questa operazione fallirà, purtroppo toccherà irrevocabilmente anche all’Italia individuare sul proprio territorio un sito geologico. In questo caso, in quale regione sarà collocato? Considerando le caratteristiche di tali scorie, sarebbe abbastanza strano che a questo scopo non venga individuato un sito classificato dalla SOGIN con caratteristiche di massima idoneità.
Al momento attuale nessuno dei siti della Basilicata o nei territori adiacenti presenta queste caratteristiche di elevata sicurezza. Nessuno di questi rientra cioè nei dodici siti di categoria A1. Ma, conoscendo le dinamiche che si attivano in questi casi, il timore è che ogni criterio di ragionevolezza venga messo da parte a spese dei territori più deboli.
Tabelle di valutazione per aree
Approfondimenti
Rifiuti a vita media molto breve: sono rifiuti prevalentemente di origine medicale a brevissima vita media (con tempi di dimezzamento da pochi secondi fino ad alcuni giorni) che decadono sotto i livelli di rilascio entro un tempo massimo di qualche anno e possono quindi essere stoccati temporaneamente dagli stessi produttori o dagli operatori del Servizio Integrato (SI)6, per poi essere smaltiti in normali discariche per rifiuti speciali.
Rifiuti ad attività molto bassa: sono rifiuti che contengono bassissime quantità di radionuclidi che possono decadere in pochi anni al di sotto dei livelli di rilascio ed essere gestiti in modo convenzionale. La parte di essi che non raggiunge i livelli di rilascio nel tempo di alcuni anni, dovendo essere pertanto gestita come rifiuto radioattivo, sarà conferita al Deposito Nazionale ai fini dello smaltimento. Tale categoria di rifiuti proviene per gran parte dalle centrali elettronucleari.
Rifiuti di bassa attività: sono rifiuti con radionuclidi a breve vita (tempi di dimezzamento ≤ 31 anni) che decadono a livelli di radioattività residua trascurabili in alcune centinaia di anni e possono contenere radionuclidi a vita lunga in basse concentrazioni. Tali rifiuti possono essere smaltiti in depositi di superficie o di piccola profondità con barriere ingegneristiche, quale il Deposto Nazionale.
Rifiuti di media attività: sono sostanzialmente rifiuti radioattivi che contengono radionuclidi in concentrazioni superiori ai valori indicati per i rifiuti di “Bassa Attività”. Essi richiedono tempi dell’ordine anche delle centinaia di migliaia di anni per decadere a livelli di radioattività residua trascurabili e, a differenza dei rifiuti ad alta attività, non producono calore al punto da richiedere l’adozione di misure per la sua dissipazione.
Tali rifiuti provengono principalmente dagli impianti del ciclo del combustibile e dallo smantellamento dei componenti più radioattivi delle centrali nucleari. Quote minoritarie (ad esempio sorgenti radioattive) possono derivare da applicazioni mediche o industriali. Essi possono contenere sia radionuclidi di vita breve sia di lunga vita (con tempi di dimezzamento ≥ 31 anni) in concentrazioni tali da richiedere un grado di contenimento ed isolamento dalla biosfera superiore a quello di uno smaltimento di superficie con barriere ingegneristiche, e quindi lo smaltimento in formazioni geologiche (Deposito profondo).
In attesa di un deposito di questo tipo non ancora disponibile in Italia ed in Europa, i rifiuti di media attività italiani saranno stoccati temporaneamente (per un tempo massimo di 50 anni) presso il Complesso Stoccaggio Alta attività (CSA) del Deposito Nazionale.
Rifiuti ad alta attività: sono rifiuti radioattivi che contengono radionuclidi in concentrazioni tanto superiori ai valori indicati per i rifiuti di “Bassa Attività”, da richiedere, contrariamente ai rifiuti a “Media attività”, l’adozione di misure di dissipazione del calore che producono. Essi richiedono tempi dell’ordine delle centinaia di migliaia di anni per decadere a livelli di radioattività residua trascurabili.
Sono sostanzialmente rappresentati dagli elementi del combustibile irraggiato (quando considerati come rifiuti) e dai residui del suo ritrattamento.
Così come i rifiuti di “Media attività”, anche tali rifiuti devono essere smaltiti in depositi geologici e quindi, in attesa dello smaltimento, stoccati temporaneamente (per un tempo massimo di 50 anni) presso il CSA.
Per un percorso di sviluppo serio, i nostri governanti dovrebbero evitare che regioni da sempre con forte dissesto idrogeologico siano siti di rifiuti nucleari. Dopo la pandemia evitiamo di far fuori turismo, cultura, e scelte ecosostenibili.
Nunzio Lionetti – Presidente Nazionale de L’Umana Dimora, ass. di protezione e tutela ambientale, riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente.