Il Giorno della Memoria. A 18 anni internato a Buchenwald

Riceviamo e pubblichiamo un contributo del figlio di un papà internato a 18 anni nel campo di concentramento di Buchenwald, testimone della furia nazista.

Mio papà era nato in Istria da una famiglia benestante; il papà commerciante, la mamma di origini nobiliari; era il terzo di 4 fratelli, tutti morti subito dopo la nascita. E anche sua mamma morì a 36 anni e si ritrovò a crescere con mio nonno.

Non gli mancava niente, se non l’affetto materno; aveva studiato a Trieste, a Fiume, si era diplomato e poi… all’età di 18 anni si è ritrovato nell’inferno del campo di concentramento di Buchenwald, matricola 78420.

Di quel periodo ne ha sempre parlato poco, quasi mai. Quali fossero realmente i motivi dell’internamento di papà non mi sono mai stati chiari, né azzardo alcuna ipotesi.

Ma la sua vita da allora non è stata più la stessa: incubi notturni, e soprattutto, io che con lui vedevo sempre i film alla tv, quando ci si imbatteva in un film di guerra mi diceva: “Se ci sono tedeschi, no!”

Gli piacevano al contrario i film d’aviazione; chissà, forse inconsciamente, al di là della passione per gli aerei, gli davano, quei voli, quel senso di libertà e spazio conquistato!

Sollecitato da me e mio fratello ogni tanto si lasciava andare a dei ricordi. Ricordava che, internata insieme a lui c’era anche la principessa Mafalda di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele III che qui morì nel ‘44.

Uniche macabre concessioni il racconto della parure della moglie del comandante del campo; borsa, guanti, abat jour realizzati con la pelle dei prigionieri e la ricerca delle scorze di patate nei bidoni. Oltre all’atrocità di sentirsi strappare le unghie, e le dita sanguinanti poggiate sull’orlo di un baule che veniva violentemente chiuso

Un segno è rimasto forte di questa sua dolorosa esperienza ed è legato alla sua liberazione da parte dell’Armata Rossa. Mentre molti prigionieri – appena liberi – morivano per essersi abbandonati al troppo mangiare, lui si è buttato per terra su un campo e, sguardo al cielo, ha cominciato a respirare profondamente. E chissà che la passione che nutriva per l’aviazione non fosse proprio legata a quel cielo del quale finalmente aveva potuto godere l’immenso spazio.

Quella allegato è la sua matricola d’internato, trascritto nella tessera dell’Associazione Nazionale ex Deportati Politici nei campi nazisti e il suo ritratto di diciottenne.

Disegno di Pierre Mania e August Favier è tratto dal volume “Buchenwald 1943 -1945”, Cierre-Aned, 2016.

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Bruno Mohorovich

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