Addio al sociologo Fausto Colombo
di Ruggero Eugeni
Nato a Milano il 16 aprile 1955, il sociologo Fausto Colombo è morto oggi a Monza. Laureato in Filosofia nel 1978 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha conseguito nel 1982 la specializzazione in Scienze della comunicazione presso la Scuola superiore delle Comunicazioni sociali della stessa università, nella quale avrebbe poi condotto la sua intera carriera accademica: ricercatore dal 1987, associato dal 1998 e ordinario dal 2003, nel 1994 fondò l’Osservatorio sulla Comunicazione, centro di ricerca sui media dell’Università di cui è stato direttore fino al 2012. È stato direttore del dipartimento di Scienze della comunicazione e dello spettacolo e docente del corso di Teoria della comunicazione dei media fino al suo ritiro, nell’autunno scorso. Tra le sue numerose pubblicazioni figurano Gli archivi imperfetti. Memoria sociale e cultura elettronica (Vita e Pensiero 1986), Le nuove tecnologie della comunicazione (con Gianfranco Bettetini; Bompiani 1993), La cultura sottile (Bompiani 1998), Il prodotto culturale (a cura di, con Ruggero Eugeni; Carocci 2001), Imago Pietatis (Vita e Pensiero 2018), Ecologia dei media (Vita e Pensiero 2020), Comunicare (con Giovanni Boccia Artieri e Guido Gili; Laterza 2022). Pubblichiamo un ricordo di Ruggero Eugeni, suo amico, collaboratore e successore alla direzione del dipartimento di Scienze della comunicazione.
Fausto Colombo è nato filosofo, e da filosofo ha sempre lavorato nel campo delle comunicazioni sociali, soprattutto assieme a Gianfranco Bettetini. Già nel suo primo libro Gli archivi imperfetti (1986) si era misurato con i nuovi media che stavano nascendo in quel momento, e che poi sarebbero diventati internet, interpretandoli come fossero un grande archivio della memoria – quindi con un afflato tipicamente filosofico. In seguito portò questo stesso approccio su altri temi di ricerca, in particolare le immagini sintetiche generate dalla computer grafica, per poi approdare a un lavoro al tempo stesso filosofico, sociologico e storico che ha riguardato lo sviluppo e l’articolazione della cultura popolare nel nostro Paese a partire dalle fruizioni e dalle produzioni dei consumi mediali (film, televisione, musica…) che sono all’origine dell’industria culturale, dalla metà dell’Ottocento fino ai nostri giorni. Questo tema è diventato centrale nel lavoro di Fausto, innervato da suoi molteplici interessi: nelle sue ricerche, in particolare sulla pubblicità, sulla televisione e poi sulla digitalizzazione dei media fino ai lavori più recenti anche sui social media, l’impronta filosofica è rimasta sempre viva, anche nei testi di taglio più sociologico e storico, sia sotto il versante teoretico sia per gli aspetti etici. Possiamo vedere chiaramente tutto questo anche nei suoi ultimi lavori, Imago Pietatis. Indagine su fotografia e compassione (Vita e Pensiero 2018) ed Ecologia dei media. Manifesto per una comunicazione gentile (Vita e Pensiero 2020).
Ma, accanto alla sua grande produzione scientifica, Fausto ha ricoperto tanti incarichi di responsabilità; ha ideato e fondato nel 1994 l’Osservatorio sulla Comunicazione, centro di ricerca sui media dell’Università Cattolica di cui è stato direttore fino al 2012, e si è misurato anche con gli aspetti più empirici della ricerca: ha diretto il dipartimento di Scienze della comunicazione e dello spettacolo fino al suo ritiro, lo scorso anno; in veste di prorettore ha seguito la comunicazione dell’Università in occasione del centenario; ha coordinato il corso di laurea in Comunicazione e società; ha diretto il master in Comunicazione, marketing digitale e pubblicità interattiva dell’Alta scuola in Media, comunicazione e spettacolo… E ha avuto un’intensa attività internazionale di visiting professor, insegnato al Celsa della Sorbona (Parigi), a Lione, a Lugano, a Grenoble. Insomma è stato un docente a 360° gradi. Ma oggi vorrei ricordare soprattutto che, quale direttore del dipartimento, ha coordinato la curatela di un’importante opera in tre volumi dedicata alla Storia della comunicazione e dello spettacolo in Italia (Vita e Pensiero 2019), alla quale abbiamo collaborato un po’ tutti: un’opera che, con tante voci interne al dipartimento, racconta, analizza e interpreta la storia della comunicazione e dello spettacolo nel nostro Paese a partire dalla metà dell’Ottocento fino ai nostri giorni.
Ma se ci addentriamo un po’ di più tra i risultati di tutta la sua attività di studio condotta sugli elementi di mutamento, transizione ed evoluzione più significativi della società italiana dal punto di vista della comunicazione e dei media, allora a mio avviso il principale contributo che ha dato Fausto è stato il superamento di una visione ideologica dei media e della cultura popolare; una visione ideologica che tendeva a diluire, sia dal punto di vista delle conseguenze sociali sia dal punto di vista dell’investimento di studi e di ricerche, e a sminuire l’intero ambito della cultura popolare.
Secondo Fausto due solo evidenze più rilevanti. La prima è che a partire da metà Ottocento la cultura popolare è diventata una cultura mediale: la cultura popolare cioè viene assorbita all’interno dei differenti media – dalla stampa al romanzo popolare fino al fumetto, che è stato fino alla fine al centro di molti suoi studi; e poi ovviamente la radio, la televisione, il cinema fino ai media digitali contemporanei. Questo sistema nella sua evoluzione ha riassorbito la cultura popolare, intesa come cultura diffusa, in una cultura che crea la consapevolezza di costituire una comunità, di possedere un metro e dei racconti condivisibili.
La seconda grande intuizione è che questa cultura popolare mediale costituisce un tema centrale per quanto riguarda la storia non solo sociale, ma anche politica e morale del nostro Paese. Affrontare e analizzare questa cultura, entrarci per orientarla, esprimere giudizi precisi (e anche duri, se serve) sulle sue ferite così come sui suoi corsi positivi è un punto nodale. Non a caso ci sono due figure intellettuali alle quali Fausto si è molto avvicinato negli ultimi anni: da un lato Antonio Gramsci, sul quale ha curato gli studi raccolti in Gramsci reloaded. Una teoria sociale della cultura (Rogas 2018), e dall’altro Giorgio Gaber: proprio con suo nipote Lorenzo Luporini ha scritto il suo ultimo libro, Una storia in comune. Perché la cultura popolare ci racconta chi siamo che uscirà per Mondadori.
(Pubblicato su Avvenire del 14 gennaio 2025)