Il movimento della contestazione studentesca del Sessantotto che tra gli anni Sessanta e Settanta agitò non poco la società, e quella italiana in particolare, ha avuto più di ciò che si potrebbe credere una stringente relazione con la vita della Chiesa di allora. Soprattutto con quell’evento che avrebbe lasciato un’impronta indelebile nella storia, il Concilio Vaticano II.
Roberto Beretta ha esposto questo legame molto dettagliatamente e in maniera articolata in un volume pubblicato nel 1998, Il lungo autunno. Controstoria del Sessantotto Cattolico, edito da Rizzoli. Oggi difficilmente gli atti della Chiesa producono sostanziali cambiamenti nella vita della società; ma un tempo non era così.
Guardare al fenomeno del Sessantotto dal punto di vista cristiano fa l’effetto – può sembrare un’esagerazione – di guardare al Sessantotto come osservandolo dall’interno.
Già su questo giornale qualche anno fa abbiamo pubblicato un’intervista a Mario Capanna, nella quale il leader del movimento studentesco tornava su questo argomento.
Riproponiamo in questa pagina quanto pubblicava Logos nell’edizione del 30 novembre 2018.
Nell’intervista, si può vedere quella che è stata la posizione di Capanna, non certo di chiusura, di fronte a quell’evento ecclesiale che fu il Concilio.
Roberto Beretta, che pure nel suo libro è talvolta severo riguardo al fenomeno della contestazione studentesca, ricorda le parole di Mario Capanna quando fu espulso dall’Università Cattolica e quando il rettore Franceschini, immaginando le ristrettezze economiche in cui, dopo il provvedimento di espulsione, si sarebbe trovato il giovane universitario – orfano di padre e di famiglia povera – gli fece recapitare in segreto una busta con una piccola somma di denaro, facendogli però promettere che non avrebbe mai detto, lui da vivo, quale fosse la fonte. Ricorda Capanna: «Trovai questo gesto straordinario, davvero molto bello».
È un segno, questo, di quella unità cristiana capace di andare oltre alle incomprensioni, oltre alle asprezze che talvolta vengono a crearsi nei rapporti; capace, magari nel tempo, di superare i pregiudizi. È anche questo, in fondo, un piccolo segno di quello che voleva essere il Concilio Vaticano II.
Bisogna dire, per la precisione, che in quegli anni Sessanta il pericolo che vedeva la Chiesa non proveniva tanto dalla contestazione studentesca. Probabilmente, questo non era affatto un problema. Il pericolo che si avvertiva, come non raramente capita, veniva dall’interno della stessa Chiesa.
Scriveva a questo proposito Agostino Giovagnoli su Avvenire che, terminato il Concilio, il teologo Jacques Leclercq andava sostenendo che le università cattoliche non avevano più ragion d’essere e, in quanto «nate in un contesto di contrapposizione alla cultura laica ottocentesca, hanno esaurito la loro funzione. In quest’ottica, avendo la Chiesa assunto nel tempo post-conciliare ben altro atteggiamento verso il mondo, i cattolici avrebbero dovuto inserirsi, come lievito nella massa, nelle università di tutti. Lo scoppio della contestazione studentesca riapre il dibattito sull’identità della Cattolica».
Nella decisione di espellere i leader della contestazione studentesca, c’era evidentemente da parte delle autorità accademiche la decisione di riaffermare l’identità dell’Università Cattolica che veniva messa in discussione in alcuni ambienti ecclesiali. Nel colpire Capanna e compagni, c’era l’intenzione, in parole povere, “di parlare a nuora perché suocera intenda”. Purtroppo la cosa, come sappiamo, ebbe effetti di tutt’altra natura.
Sinceramente interessato a un dialogo con gli studenti è stato, indubbiamente, mons. Enea Selis che nel Sessantotto sarà assistente ecclesiastico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Egli proveniva da Sassari dove era stato impegnato nella pastorale giovanile, in una comunità da cui, nel giro di due generazioni, verranno due Presidenti della Repubblica e uno di questi, Francesco Cossiga, sarà particolarmente legato a Enea Selis. Il quale, oltre a seguire gli universitari della FUCI, era docente nel liceo Azuni, importante istituto dove si formeranno non pochi studenti che poi avranno ruoli primari nella politica nazionale. Precedentemente, avevano studiato in quello stesso istituto prima Togliatti e Antonio Segni, poi Enrico Berlinguer.
Mons. Selis era inoltre in quel tempo segretario di mons. Mazzotti, quel vescovo che avrà un ruolo determinante nella conversione di Agostino Gemelli, il fondatore dell’Università Cattolica. Questo, per dire quale fosse la centralità di Selis nel mondo universitario cattolico. Ruolo che sarà apprezzato particolarmente da papa Paolo VI.
Mons. Giovanni Volta, vescovo e dal 1977 anche lui assistente ecclesiastico alla Cattolica, intervenendo nel nel 2007 al Centro culturale Bellomi di Trieste, parlando di mons. Selis, suo predecessore, diceva: «mi confidò le gravi difficoltà che aveva incontrato e come questi ragazzi, che avevano promosso la contestazione, come Capanna, sostenevano di aver sollevato quella contestazione per il bene della Cattolica e della Chiesa. Per questo mons. Selis nella sua bontà e pazienza, in così breve tempo aveva potuto fare ben poco, pur impegnandosi con tutto se stesso. In quel momento l’urgenza era quella di raffreddare il clima di contestazione che minava ogni iniziativa pastorale. Tra l’altro alcune difficoltà venivano da lontano».
Nelle preoccupazioni di mons. Selis però non vi era soltanto la ricerca di un dialogo con gli studenti universitari, vi era anche la determinazione a dare risposte concrete alle istanze poste dalla contestazione studentesca. Questo si realizzerà a Cosenza, dove nel 1971 Selis arriverà come vescovo titolare.
Qui sorgerà un’università come modello innovativo di università residenziale, una risposta più adeguata ai tempi e, soprattutto, capace di mettere i giovani davvero al centro della vita universitaria. Una risposta che la Chiesa di Paolo VI volle decisamente sostenere.
La scelta di Cosenza era molto probabilmente legata al ruolo di un politico del luogo, Riccardo Misasi, in quegli anni ministro della Pubblica istruzione. Importante esponente della Democrazia cristiana, Misasi era un cattolico che aveva un forte legame con la Chiesa. La decisione di istituire l’università calabrese fu quindi l’esito di questo tipo di rapporti. Tra le altre cose, mons. Selis per l’università volle creare un’inedita forma di parrocchia d’ambiente, cioè non su base territoriale: la parrocchia universitaria di San Paolo Apostolo, affidata ai Padri Dehoniani.
Come è stato riportato sul giornale della diocesi di Cosenza Parola di Vita, nell’edizione del 6 novembre 2024, mons. Augusto Lauro, all’epoca vicario generale di Selis alla diocesi di Cosenza e poi vescovo, in una testimonianza resa al giornalista Franco Bartucci, dichiarava: «La nomina di mons. Selis ad arcivescovo di Cosenza era avvenuta quando era vescovo assistente ecclesiastico generale della Università Cattolica di Milano, a cui Paolo VI lo aveva nominato nel 1968 al tempo della contestazione, che aveva interessato anche l’Università Cattolica. Certamente questa sua esperienza nell’Università Cattolica ha motivato la sua designazione ad arcivescovo di Cosenza, ove doveva nascere la nuova Università della Calabria».
È un segno di come la Chiesa, dietro l’impulso del Concilio e nella sensibilità di un pastore come mons. Selis, ha voluto confrontarsi con le istanze più profonde della società civile e in particolare con le speranze dei giovani. Nella consapevolezza del gravoso compito cui la Chiesa non può sottrarsi nella storia degli uomini e delle donne di ogni tempo.
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