Alla fine prevarrà il buon senso?

La società attuale sembra divisa tra due modi di concepire la vita, due maniere di governare i processi, due maniere di amministrare i paesi. E' forse questa la causa delle guerre nel mondo?

La sentenza 192 della Corte Costituzionale dei giorni scorsi – che ha letteralmente smontato il senso dell’Autonomia Differenziata – ha un pò allentato la preoccupazione che gran parte degli italiani nutriva a causa delle conseguenze che l’attuazione della stessa avrebbe comportato per tutta la nazione, in particolare per le popolazioni meridionali. Infatti, la Corte ha premesso che non si può attentare all’unità e indivisibilità della Repubblica, prescritta dall’art. 5 della Costituzione, né si possono intaccare i principi di solidarietà e uguaglianza sanciti dagli artt. 2 e 3 della Carta. Significativo l’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia per i 25 anni dell’Osservatorio permanente giovani-editori: “Essere arbitro significa sollecitare al rispetto delle regole tutti gli altri organi costituzionali dello Stato e significa ricordare a tutti i limiti delle proprie attribuzioni e delle sfere in cui operano. Vale per il potere esecutivo, legislativo, giudiziario”. In sostanza, secondo Mattarella, i rappresentanti dello Stato a tutti i livelli devono avere la capacità di rispettare i limiti dei propri poteri e delle sfere in cui operano. Se si cerca di forzare la mano, anche creando leggi ad hoc, inevitabilmente si creano dei danni alla comunità e, nel caso dell’Autonomia Differenziata, addirittura all’intero popolo italiano. 

Che la società civile sia in sofferenza e abbia grande preoccupazione è documentato dalla constatazione che la povertà aumenta (come avverte il Rapporto Caritas sulle povertà ed esclusione sociale presentato nei giorni scorsi) e diventa sempre più cronica crescendo anche al Nord. Le politiche di sostegno sono insufficienti e, purtroppo, soffrono soprattutto i minori. I cinici dicono che i soldi non danno la felicità, tuttavia ancora più certo è che la povertà genera tristezza, preoccupazione, pessimismo.

Motivo ulteriore di preoccupazione è dato dallo scenario internazionale che diventa sempre più fosco: le guerre in corso continuano ed in Siria si è aperto un nuovo fronte. Nel Libano c’è stato un tentativo di tregua ma è fallito.

In Ucraina, dopo l’insediamento del nuovo presidente americano, la guerra finirà? Queste sono previsioni improbabili ma una cosa è vera che le due coste dell’Atlantico saranno sempre più lontane e questa situazione internazionale rappresenta un’ulteriore fonte di preoccupazione.

Intanto, fanno sperare le parole di Abu Mazen in un’intervista ad Avvenire del 30/11: «Credo ancora nella pace e nell’azione politica», ma è solo una manifestazione di ottimismo perché la vera pace dipende da chi prende effettivamente le decisioni.

In realtà, a livello nazionale ed internazionale, sembra che la società sia divisa tra due modi di concepire la vita, due modi di governare i processi, due maniere di amministrare i paesi. Valgono bene le parole che Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, ha pronunciato all’apertura del 27° Congresso nazionale a Roma dei giorni scorsi: “Non possiamo arrenderci al crepuscolo di una società divisa: abbiamo il dovere di credere e costruire un futuro di pace e dignità per tutti”.

Una piccola ma possibile strada è emersa nella Prima Assemblea sinodale della Chiesa italiana tenuta nei giorni scorsi a Roma: “Ri-progettarsi e tracciare rotte per continuare a dare risposte agli interrogativi più profondi delle donne e degli uomini del nostro tempo. E aiutarli così a orientare la loro vita e quella del Paese”.

Basterebbe un pò di buon senso; speriamo almeno che l’arrivo prossimo della Festa più grande dell’umanità, il Santo Natale, possa essere occasione per tutti di rivedere gli atteggiamenti bellicosi e comprendere maggiormente le ragioni degli altri.

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Domenico Infante

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