La Giornata di inizio anno di Comunione e Liberazione

Il primo soggetto della missione è Cristo che coinvolge in questo compito quanti accettano di seguirlo.

“Chiamati cioè mandati: l’inizio della missione” è stato il tema della Giornata di inizio anno 2024, un evento che annualmente Comunione e Liberazione propone con la ripresa delle attività sociali. Alla Giornata che si è svolta il 21 settembre presso il Salone dei congressi Sant’Anna di Matera è intervenuto mons. Pino Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina e vescovo di Tricarico che nel saluto iniziale ha voluto manifestare la sua gioia di condividere un momento importante nella vita del Movimento. L’arcivescovo ha anche sottolineato la sintonia del tema prescelto con la festa liturgica del giorno, dedicata all’apostolo San Matteo nella vita del quale è accaduto di essere chiamato dal Signore: Gesù passa e chiama; per l’arcivescovo, il fatto di seguire esprime la modalità che lui segue per assimilare gli uomini a lui. Gesù chiama e, con questo suo gesto, nessuno è escluso dalla salvezza. 

Erasmo Bitetti, responsabile di Comunione e Liberazione per la diocesi di Matera, ha descritto i passi del cammino percorso dalla comunità negli ultimi dodici mesi e nel quale si è potuto vedere come, in un’esperienza di compagnia vissuta nell’appartenza alla Chiesa, la fede conduce a un livello di comprensione e di gusto delle cose incomparabile alla possibilità delle sole capacità umane, al sentimento religioso naturale. Si è trattato di evitare la riduzione dell’esperienza cristiana all’esperienza naturale, a ciò che possiamo realizzare con le nostre forze e misure.

È stato un anno molto intenso per il Movimento, segnato dalla volontà di ripensare il carisma del fondatore don Luigi Giussani. Come si sa, infatti, il 30 gennaio scorso papa Francesco ha voluto rivolgersi ai membri di CL con una lettera indirizzata al presidente della Fraternità Davide Prosperi. Nella lettera, il papa raccomandava la ricerca dell’unità, nella quale vi è la custodia del carisma. L’unità è infatti un dono ed è al tempo stesso un compito, anzi “il” compito che definisce tutta la vita: collaborare a costruire, a “edificare” la Chiesa.

Un compito che deve essere declinato nelle dimensioni proprie del Movimento di CL che sono le dimensioni della cultura, della carità e della missione. Se la fede non generasse uno sguardo diverso su tutto, non inciderebbe sulla vita e non potrebbe essere “verificata” nella sua verità. Qual è il passo nuovo, si è chiesto inoltre Erasmo Bitetti, per sviluppare quanto è stato vissuto insieme? Cosa è chiesto oggi, per questo cammino?

Il passo da compiere, la missione, ha ripreso don Giovanni Grassani, responsabile regionale della Fraternità, è quello dell’educazione alla fede che è il modo con cui il movimento di Comunione e Liberazione vuole rispondere ai bisogni della Chiesa e del mondo. Ma bisogna essere consapevoli che chi viene chiamato a questo compito è Cristo stesso. Cristo è il mandato dal Padre. La grande chiamata è la chiamata di Cristo, come affermava anche don Giussani. Questa chiamata coincide con la missione e Cristo è pertanto il primo soggetto della missione che procede secondo la modalità con cui egli si rapporta alla realtà. Cristo, inoltre, coinvolge anche i suoi e noi stessi che, alla stessa maniera dei primi discepoli, siamo da lui chiamati. 

Senza il riconoscimento della centralità di Cristo, si rischia una riduzione della natura della comunione cristiana. Senza il riconoscimento del fatto di Cristo presente, si rischia di mettere Cristo fuori dalla storia, cedendo inevitabilmente, anche in maniera inconsapevole, a qualche forma di spiritualismo.

Come emerge la consapevolezza di essere chiamati? Come si diventa consapevoli di essere associati alla missione di Cristo e quindi di appartenergli? Questo viene rivelato nella storia di Giacobbe che, come vediamo nel racconto biblico, ha lottato contro Dio. Al termine di questa lotta, che lo segnerà per tutta la vita, Dio dà un nuovo nome a Giacobbe: «ti chiamerai Israele». Dio dà un nome nuovo e questo indica che Giacobbe gli appartiene. Questa appartenenza cambia la vita, come è stato per Giacobbe, e in questa maniera la vita stessa diventa missione.

Non esiste esperienza di comunione se non come appartenenza a Cristo. Infatti, si è in comunione, si è consapevoli di essere parte della comunità cristiana anche quando si è soli. Don Giovanni Grassani, a questo proposito, ha ricordato l’esempio di san Francesco Saverio, tante volte citato da don Tommaso Latronico. Il santo missionario, inviato in solitudine nella punta più estrema dell’Oriente, portava con sé, come segno di appartenenza alla comunità, cucite all’interno della sua camicia, le lettere ricevute dai suoi amici.

L’assemblea di Comunione e Liberazione si è conclusa con due testimonianze. Nella prima, Gianpiero, padre di due ragazze con disabilità, ha documentato come la comunione si fa missione nella semplicità della vita quotidiana. Nel suo caso, tutto è partito dal desiderio di affrontare insieme ad altre famiglie con figli disabili i problemi legati alla necessità di un’assistenza adeguata, problemi che rischiano di mettere talvolta in competizione tra loro le stesse famiglie nel tentativo di assicurarsi i servizi necessari. Per esempio, quando le scuole sono chiuse, a causa delle difficoltà a far partecipare i propri figli ai centri estivi che, come si sa, possono accettare soltanto un numero limitato di ragazzi con disabilità. È partita perciò la richiesta di volontari per assistere questi ragazzi nelle giornate estive, una richiesta che è stata accolta da un crescente numero di amici fino a coinvolgere l’intera diocesi di Matera. È stata un’esperienza, ha concluso Gianpiero, che ha fatto scoprire la necessità di domandare, di domandare sempre agli amici di esserci.

Per Grazia, insegnante, si è trattato della decisione di venire incontro al bisogno di tanti ragazzi di un aiuto allo studio, proponendo l’esperienza di Portofranco, una realtà che offre gratuitamente questo tipo di aiuto. Tanti sono stati i ragazzi, una settantina, che si sono presentati. Come tante sono state le difficoltà, soprattutto nel periodo della pandemia. Ma la vera novità è stato vedere come le famiglie di questi ragazzi in occasione della festa di fine anno hanno percepito non soltanto la gratuità di questo gesto di condivisione, ma anche che l’origine di tutto ciò non era soltanto la personale disponibilità dei docenti. La mamma di un ragazzo, in un biglietto di ringraziamento, ha scritto queste parole: «Non può che esserci la mano di Dio in chi si prende cura dei nostri figli in questa maniera». In fondo quello di cui gli uomini hanno bisogno non sono tanto i tentativi umani, pur nobili, quanto di una realtà che sia la carne di Cristo resa incontrabile dagli uomini. Noi portiamo la carne di Cristo nel mondo.

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Paolo Tritto

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