Fino ai confini del mondo

La coscienza e la gratitudine di appartenere, anche quando materialmente soli, all'unico popolo in cui il divino continua a rendersi incontrabile e sperimentabile invera la fraternità che sana il mondo!

“Per tutti coloro che si professano cristiani auspico vivamente che la fede non si riduca mai all’osservanza di riti e di precetti, ma che consista nell’amore, nell’amare Gesù Cristo e seguirlo, e che possa farsi cultura vissuta, ispirando le menti e le azioni e diventando un faro di luce che illumina la rotta. In questo modo, la fede potrà aiutare anche la società nel suo insieme a crescere e a individuare buone ed efficaci soluzioni alle sue grandi sfide.” (Incontro con le Autorità, con la Società Civile e con il Corpo Diplomatico a Port Moresby – 7 settembre 2024)

All’immagine di una barca in mare aperto, con la quale aprivamo l’editoriale di metà luglio, ne aggiungiamo oggi un’altra, quella di un faro nella notte che illumina la rotta.

Ce la suggerisce il Santo Padre nel saluto che ha rivolto, dall’altra parte del mondo, al popolo della Papua Nuova Guinea durante il suo ultimo viaggio apostolico.

Le sue parole suonano non tanto come un ammonimento quanto piuttosto come una domanda: cos’è per noi la fede? Cosa vuol dire oggi seguire Gesù Cristo?

Una risposta è venuta in questi giorni dal continente sudamericano dove è in corso di svolgimento, per chiudersi il 15 settembre, il 53° Congresso Eucaristico Internazionale con a tema “La fraternità per sanare il mondo”.

Ci ha colpito in modo particolare la riflessione del Cardinale Mauro Gambetti, vicario generale di Sua Santità ed inviato da Papa Francesco quale suo rappresentante, durante l’omelia della messa dell’11 settembre,

Egli si sofferma sulla tenerezza di Gesù nei confronti dei suoi amici, quei dodici uomini come noi che, chiamati singolarmente per nome, lo hanno seguito lasciando tutto. Erano molto diversi tra loro, per temperamento, mestiere ed età, ma erano pure così attratti da Gesù da preferire di rimanere con Lui anche quando le sue parole apparivano incomprensibili.

Gesù li mandava nei villaggi di Galilea, mai da soli ma a due due, ad annunciare l’avverarsi di quella promessa fatta da Dio ad Abramo, Isacco, Giacobbe e alla loro discendenza, quella di un regno di giustizia e di pace per il suo popolo.

Un giorno i discepoli chiesero al Maestro di congedare la folla, accorsa per ascoltarlo, perché potesse cercare alloggio e cibo nei dintorni, ma il luogo era deserto. “È anche la nostra tentazione quando non abbiamo forze sufficienti o risorse oppure parole o gesti in grado di sfamare, educare alla fede: potremmo voler congedare la gente” osserva il Cardinale Gambetti.

Gesù ragiona a rovescio e dice: voi stessi date loro da mangiare. I discepoli allora presentano cinque pani e due pesci. Anche fossero stati 100 o 1000 questi pani non sarebbero stati sufficienti. Il punto decisivo è mettere a disposizione e deporre tutto, non il risultato della nostra azione!

E’ questo quindi ciò che domanda a noi la fede? Che missione è mai questa?

Quella frase di Gesù – Voi stessi date loro da mangiare – diventa: Date la vostra vita in cibo per loro! Parafrasando la lettera di San Pietro, continua il Cardinale, possiamo dire che ” Non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati ma con il sangue prezioso di Cristo, il sangue prezioso di Mauro, di Esteban, di Lucia, di ciascuno di noi.”

Missione è allora questa offerta di sè, un essere prima che un fare.

Quest’estate, in occasione di un raduno internazionale, ho conosciuto persone che vivono nei più diversi angoli della terra (dal Kenia a Taiwan, dalla Norvegia agli Emirati arabi, dal Perù al Portogallo); dai loro racconti traspariva la coscienza e la gratitudine di appartenere, anche quando materialmente soli, a quell’unico popolo in cui il divino continua a rendersi incontrabile e sperimentabile: una fraternità che sana il mondo!

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Erasmo Bitetti

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