Omelia nella Santa Messa della Solennità del Corpus Domini diocesano

Omelia di mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina e vescovo di Tricarico, nella Santa Messa della Solennità del Corpus Domini diocesano. Nel corso della celebrazione il materano Giuseppe Fiorentino, 61 anni, coniugato con figli, è stato ammesso all'ordine del Diaconato permanente, dopo un cammino di formazione durato quattro anni. Dopo la celebrazione della Messa si è tenuta la processione eucaristica per le vie del centro cittadino che si è conclusa in Piazza Duomo con la benedizione dell'Arcivescovo dal balcone dell'episcopio.

Carissimi, se nella messa in Coena Domini celebriamo l’istituzione dell’Eucaristia, con la solennità del Corpus Domini il mistero eucaristico viene proposto per l’adorazione e la meditazione a tutto il popolo santo di Dio. Ecco perché ci ritroviamo ogni anno, come Chiesa Diocesana, per riscoprire il senso profondo e concreto dell’amore di Gesù, donato nell’offerta del suo corpo e del suo sangue. La stessa processione che seguirà per le strade della nostra città vuole indicare che Cristo è risorto e cammina con noi e in mezzo a noi facendoci percorrere la via verso il Regno dei cieli.

Una solennità che dona speranza e fiducia in questo contesto storico complicato, sofferto, colmo di ingiustizie, marchiato dal disprezzo per la vita e dalla violenza che continuiamo a perpetrare sulla natura con scelte scellerate e catastrofiche.

Con le parole di Benedetto XVI “mi rivolgo particolarmente a voi, cari sacerdoti, che Cristo ha scelto perché insieme a Lui possiate vivere la vostra vita quale sacrificio di lode per la salvezza del mondo. Solo dall’unione con Gesù potete trarre quella fecondità spirituale che è generatrice di speranza nel vostro ministero pastorale. Ricorda san Leone Magno che “la nostra partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non tende a nient’altro che a diventare ciò che riceviamo” (Sermo 12, De Passione 3,7, PL 54). Se questo è vero per ogni cristiano, lo è a maggior ragione per noi sacerdoti. Divenire Eucaristia! Sia proprio questo il nostro costante desiderio e impegno, perché all’offerta del corpo e del sangue del Signore che facciamo sull’altare, si accompagni il sacrificio della nostra esistenza. Ogni giorno, attingiamo dal Corpo e Sangue del Signore quell’amore libero e puro che ci rende degni ministri del Cristo e testimoni della sua gioia. È  ciò che i fedeli attendono dal sacerdote: l’esempio cioè di una autentica devozione per l’Eucaristia; amano vederlo trascorrere lunghe pause di silenzio e di adorazione dinanzi a Gesù come faceva il santo Curato d’Ars”.

La celebrazione che viene presentata nella prima lettura, tratta dal libro dell’Esodo, è piena di simbologie, di azioni, di ascolto della Parola, del giuramento del popolo di fronte a Dio. Tutto ci aiuta a comprendere la solennità di questo momento sacramentale.

Mosè è il mediatore tra Dio e il suo popolo, cammina con i settanta anziani verso il monte, per poi proseguire il cammino con il popolo e in mezzo al popolo. L’altare rappresenta la divinità alla quale viene rivolto il culto, le dodici pietre non sono più simboli fallici che anticamente nel Medio Oriente rappresentavano le divinità proibite a Israele, ora sono le dodici tribù di Israele, cioè i testimoni di quanto sta accadendo. L’altare è reso sacro dal sangue degli animali sacrificati da alcuni giovani e asperso da Mosè su tutto il popolo a ricordo dell’alleanza sancita da Dio con il popolo.

Ma c’è un altro momento importante presieduto da Mosè: «Quindi prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto» (v. 7). È dunque una vera celebrazione di comunione tra Dio e gli uomini. Questi ultimi, nonostante le promesse, continuano a tradire facilmente Dio rompendo la comunione con Lui. Al contrario Dio, proprio perché è amore e ha creato noi uomini a immagine di quest’amore, continua ad amarci affinché impariamo anche noi a fare altrettanto per ritrovare la nostra vera identità.

Come Gesù, nuovo Mosè, anche noi siamo chiamati a ripartire dalla schiavitù del nostro Egitto, nella quale ci siamo rifugiati, per essere liberatori del nuovo popolo d’Israele dalla schiavitù del peccato e dalla morte. Nostro compito, seguendo il Maestro e Signore, è riportare l’umanità alla Terra Promessa del Paradiso. Purtroppo oggi, come allora, assistiamo a stragi di innocenti: dagli aborti ai sacrifici dei tanti, troppi bambini che pagano il prezzo più alto per guerre inutili e senza senso; dai tanti, troppi bambini che muoiono per mancanza di cibo o per mancanza di cure mediche. Era successo al momento della nascita di Mosè, così come quando nacque Gesù. Lo scandalo dell’innocenza violata e sfruttata grida giustizia al cospetto di Dio.

Alla luce di quanto si legge nel capitolo 24 dell’Esodo, e cioè che Mosè prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo, poi prese il sangue e ne asperse il popolo e disse “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole”, l’evangelista Marco struttura il racconto della cena del Signore. Mi soffermo solo sulla parte che riguarda l’istituzione dell’Eucaristia prendendo in considerazione alcuni aspetti.

Secondo alcuni esegeti, l’evangelista Marco dice: “Mentre mangiavano prese” non il pane che avrebbe indicato la cena pasquale ebraica, bensì “prese un pane, benedì, lo spezzò, lo diede loro dicendo: «prendete, questo è il mio corpo»”. L’articolo indeterminativo metterebbe in evidenza che esiste una differenza notevole con l’antica alleanza. Un secondo elemento importante è questo: nell’antica alleanza Mosè ha presentato un libro, un libro che conteneva la legge e che esprimeva la volontà di Dio. Con Gesù inizia un tempo nuovo nel rapportarsi con Dio. Infatti il credente, attraverso Gesù, non è più colui che obbedisce alle leggi di Dio, bensì colui che accoglie l’amore del suo Signore.

Gesù mostra concretamente che Dio non impone agli uomini leggi che questi devono osservare, ma comunica loro il suo essere amore e di conseguenza la sua stessa capacità d’amore, il suo stesso spirito, la sua stessa forza d’amore. Non più schiavi della legge con codici che regolano il comportamento, bensì un uomo – Gesù – che ci dona la sua stessa vita per essere lui, parlare e agire come lui.

Un altro elemento importante che emerge nella lettura di Marco è la differenza della preghiera di Gesù nel momento in cui prende tra le mani la materia dell’Eucaristia: pane e vino. Infatti per il pane usa il verbo “benedire”, per il vino un termine completamente nuovo, il verbo “ringraziare”, dal quale deriva la parola Eucaristia. Come mai questa differenza? In verità l’evangelista Marco tiene presenti i due momenti della moltiplicazione dei pani. Seguendo il racconto, la prima avviene in terra ebraica dove Gesù benedice il pane (Mc 6,41), la seconda è collocata in terra pagana dove Gesù rese grazie (Mc 8,6). Gli esegeti dicono che nell’Eucaristia viene radunata insieme al popolo di Israele tutta l’umanità.

Un altro elemento interessante è ciò che segue dopo che Gesù ha dato il pane e il vino. Quando diede il pane, non viene riportato che questo venne mangiato, mentre quando Gesù diede il calice del vino, viene detto: “rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti”. Cosa significa? Chi accoglie Gesù nella sua vita deve bere anche al calice, simbolo di morte, di donazione completa: questa è la vera Eucaristia, perché “questo è il mio sangue dell’alleanza”. Meglio ancora, bere dalla coppa vuol dire accettare questo tipo di morte di Gesù e operare, come Lui. Significa anche bere lo Spirito, che abita ogni uomo che lo riceve e che diventa partecipe della pienezza della gioia e dell’ebbrezza di vita di Dio. Significa abbeverarsi alla sorgente della vita.

Sempre Benedetto XVI ci ricordava che “C’è oggi il rischio di una secolarizzazione strisciante anche all’interno della Chiesa, che può tradursi in un culto eucaristico formale e vuoto, in celebrazioni prive di quella partecipazione del cuore che si esprime in venerazione e rispetto per la liturgia. E’ sempre forte la tentazione di ridurre la preghiera a momenti superficiali e frettolosi, lasciandosi sopraffare dalle attività e dalle preoccupazioni terrene”.

Celebrare gli stessi gesti e le stesse parole significa che quel pane e quel vino, come nell’ultima cena, conservano la stessa forza e la Chiesa continuerà a fare memoria fino al ritorno di Gesù che con noi berrà quel vino nuovo: «In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».

 Alla luce di queste considerazioni ci prepariamo a celebrare il Congresso Eucaristico Internazionale di Quito, in Ecuador, dopo aver vissuto quello Nazionale nella nostra città di Matera nel 2022: Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale. “Fraternità per sanare il mondo”: Voi tutti siete fratelli (Mt 23,8).

“Il contesto di questo Congresso eucaristico esprime l’urgenza della fraternità per sanare il mondo. Non si tratta solo di sanare le relazioni tra i diversi popoli che abitano la faccia della terra, ma anche di curare quelle ferite del cuore umano che ostacolano la pace e la riconciliazione. Dobbiamo renderci conto che «ci troviamo sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti». Il Congresso eucaristico è un momento di grazia che ci permette di ravvivare il dono di Dio e di riconoscere che tutti i popoli, abbracciati dall’amore eucaristico che sgorga dal Cuore di Cristo, sono fratelli, figli di uno stesso Padre, costruttori di fraternità. Fraternità tra gli uomini e fraternità con il creato” (Dal testo base).

Questo ci ricorda che viviamo nel “frattempo” tra la prima venuta di Gesù e il suo ritorno nella Gloria. E nel frattempo lo invochiamo sempre con le parole di Benedetto XVI: Libera questo mondo dal veleno del male, della violenza e dell’odio che inquina le coscienze, purificalo con la potenza del tuo amore misericordioso. E tu, Maria, che sei stata donna “eucaristica” in tutta la tua vita, aiutaci a camminare uniti verso la meta celeste, nutriti dal Corpo e dal Sangue di Cristo, pane di vita eterna e farmaco dell’immortalità divina.

Alla nostra Madonna della Bruna ci affidiamo e affidiamo la Chiesa che dobbiamo amare di più e servire in comunione con il Papa, senza lasciarci coinvolgere da quanti l’avversano sfruttando punti di debolezza linguistici. A Lei affidiamo l’umanità intera: figli nel Figlio, fratelli tutti, figli suoi che riconosciamo come Madre. A Lei presentiamo la nostra Chiesa di Matera-Irsina che l’ha accolta con entusiasmo, gioia e grande partecipazione di popolo nelle comunità della Vicaria Mare, durante la recente peregrinatio, accompagnata dal Delegato Episcopale Don Francesco Di Marzio e sostenuta dal Parroco D. Angelo Gallitelli. Grazie a tutti voi confratelli che avete accolto l’effigie della nostra Madonna che processionalmente ha portato a tutti Gesù che si è fatto carne nella sua carne.

Alla luce della peregrinatio di Maria, la processione del Corpus Domini ci insegna che l’Eucaristia ci vuole liberare da ogni sconforto, rialzandoci ci vuole far riprendere il cammino con la forza che Dio ci dà mediante Gesù Cristo, Lui che è la Via, il Cammino, il Pane della vita. Così sia.

†Don Pino

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